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Sabato, 21 Marzo 2015 09:35

Il chicco di grano che muore e dà frutto

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333Il contesto è quello della terza e ultima Pasqua vissuta da Gesù a Gerusalemme, quando ormai i sommi sacerdoti hanno preso la decisione di condannarlo a morte (cf. Gv 11,53), e dopo il suo ingresso messianico nella città santa acclamato da molta folla (cf. Gv 12,12-19). Come in occasione di ogni grande festa, erano saliti a Gerusalemme anche dei greci (héllenes), dei non ebrei, dunque dei pagani, i quali avevano certamente sentito parlare di Gesù, del suo carattere profetico, della sua autorevolezza nel rivolgersi alla gente. Gesù ha conosciuto un certo successo, che gli ha procurato fama, oltre che acerrimi nemici. Questo successo inquieta soprattutto gli uomini religiosi, impazienti di frenare ed estinguere il movimento nato dalla predicazione di Gesù. Costoro poco prima erano arrivati a dire: “Ecco, tutto il mondo gli va dietro!” (Gv 12,19), chiedendo dunque di fare qualcosa di definitivo riguardo a Gesù, di risolvere la questione una volta per tutte.

I pagani presenti a Gerusalemme, interessati a incontrare Gesù, avvicinano Filippo (il discepolo con un nome greco, proveniente da Betsaida di Galilea, città abitata da molti greci) e gli chiedono: “Vogliamo vedere Gesù”. Ciò però non è facile, perché incontrare dei pagani nella città santa, da parte di un rabbi, non è conforme alla Legge, non rispetta le regole di purità. Filippo, titubante, va a riferirlo ad Andrea, il discepolo più intimo di Gesù, il primo chiamato alla sequela secondo il quarto vangelo (cf. Gv 1,37-40); poi, insieme, i due decidono di presentare la richiesta a Gesù. Quest’ultimo, ascoltandoli, nella sua capacità di riflettere e di leggere gli avvenimenti percepisce che tale domanda è una profezia che riguarda i pagani: anche loro potranno essere suoi discepoli, credere in lui e fare parte della sua comunità.

La sua vita sta volgendo alla fine, la morte è decretata dalle legittime autorità della comunità religiosa, della sua “chiesa”, ma Gesù riesce a vedere oltre la morte, anzi riesce a vedere nella sua morte una fecondità inaudita: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. L’ora della morte in croce è l’ora della gloria, dell’epifania del suo amore vissuto all’estremo per gli uomini tutti (cf. Gv 13,1). Quell’ora di cui a Cana aveva detto alla madre: “La mia ora non è ancora giunta” (Gv 2,4), quell’ora che aveva annunciato come prossima e verso la quale andava con desiderio, quell’ora che era “la sua ora” (Gv 7,30; 8,20), finalmente è arrivata. Questa è l’ora decisiva, che inaugura un nuovo tempo per la fede, per l’adorazione di Dio (cf. Gv 4,21.23), per la salvezza dei morti e dei vivi (cf. Gv 5,25-29).

Per rivelarla, Gesù ricorre a una breve similitudine, pronunciata con grande autorità: “Amen, amen io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Ecco la necessitas della passione e morte, della croce. La sua morte è una semina, nella quale il seme deve cadere a terra, essere sotterrato, morire come seme e dare origine a una nuova pianta che moltiplica i semi nella spiga. Così Gesù legge la propria morte e così ci rivela che anche per noi, uomini e donne alla sua sequela, diventa necessario morire, cadere a terra e anche scomparire per dare frutto. È una legge biologica, ma è anche il segno di ogni vicenda spirituale: la vera morte è la sterilità di chi non dà, di chi non spende la propria vita ma vuole conservarla gelosamente, mentre il dare la vita fino a morire è la via della vita abbondante, per noi e per gli altri. Il cristiano che vuole essere servo del Signore, che dice di amare il Signore, deve semplicemente accogliere questa morte, accettare questa caduta, abbracciare questo nascondimento. E allora non sarà solo, ma avrà Gesù accanto a sé, sarà preceduto da Gesù, che lo porterà dove egli è, cioè nel grembo di Dio, nella vita eterna.

Con questa fede, con questa convinzione Gesù, anche se turbato dalla morte imminente, sa dire “amen”, sa dire “sì” a quell’ora che è la sua. Per questo anche la preghiera di Gesù così espressa dai sinottici: “Abba! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice!” (Mc 14,36; cf. Mt 26,39; Lc 22,42), nel quarto vangelo diventa un grido di vittoria: “Per questo sono giunto a quest’ora” e un’invocazione: “Padre, glorifica il tuo Nome”. Ed ecco che, in risposta, scende su di lui dal cielo una voce, come promessa e sigillo: “L’ho glorificato e lo glorificherò presto!”. È la voce del Padre il quale conferma al Figlio Gesù che quell’ora della croce è l’ora della gloria. Per questo Gesù può esclamare: “Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra”, come il serpente innalzato da Mosè (cf. Nm 21,4-9; Gv 3,14), “attirerò tutti a me”.

Tutti, giudei e greci, tutti attirati da lui potranno vederlo, ma sulla croce, mentre dona la vita l’umanità intera. Questa la risposta di Gesù a chi vuole vederlo!

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi 
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