Nell'avventurosa epopea del Deuteronomio, tempo della seconda legge, di una legge impugnata con nuovo slancio e rinnovata consapevolezza sulle rive del fiume Giordano, si capisce questa animosa rinfrescata di memoria che il grande Mosè impone all'ascolto della sua gente. Si interroghi la storia e si veda se qualcuno può vantare un'esperienza così sbalorditiva della presenza del divino. Israele sta buttando alle ortiche una storia che non ha precedenti. È da sempre che abbiamo a che fare con un dio strano, che non corrisponde a nessuna monolitica immagine di autosufficienza, ma che accetta di abbandonarla per attraversare la storia degli umani con disinvolto senso della dedizione. Il nostro è un Dio che ama uscire da sé.
Nella storia umana del Figlio ha trasformato questa sua predisposizione nel piano definitivo di una salvezza nella quale avvolgere ogni essere umano di questa terra. Dal primo all’ultimo. L'apparizione del Figlio ha significato il rinnovato accendersi dell'antica meraviglia per trovarsi di fronte a un Dio imprevedibile. Il nostro Dio ha l'istinto della comunione scritto dentro di sé. La sua propensione ad essere perennemente in moto, a generare la relazione, a evadere il pericolo della fusione narcisistica, la sua attitudine a generare mondi e ricapitolare storie, risiede già nei legami di cui la vita divina è costantemente alimentata. Dalle labbra di Gesù la testimonianza evangelica ne ha tratto pallide immagini antropomorfe e fragili nomi terreni: Padre Figlio Spirito. Questo dinamismo interiore della vita divina Gesù ci ha insegnato a guardarlo come una sorta di impulso primordiale ed eterno di tutto quanto nella vita si esprime secondo la forma del desiderio. Il nostro Dio, che essendo Padre ha da sempre un Figlio, non ha interesse, come nel sovrano dispotismo di quel sacro che ci è ancora tanto suadente, ad avere ai suoi piedi uno stuolo di intorpiditi e tremuli schiavetti, ma fa di tutto per prenderci per figli. Il Dio di Gesù fa tutto con questo Spirito.
Nella scena di Ascensione, con cui Matteo conclude la sua testimonianza, il compito storico assegnato agli amici comanda precisamente di allargare i cerchi concentrici di questa universale scelta di adozione. La meraviglia che Mosè voleva ridestare nei cuori di un piccolo popolo è destinata a cogliere di sorpresa gli stessi confini della terra. Compito del resto da assumere stando debitamente a distanza dagli equivoci. Non è un invito all’annessione delle coscienze, al reclutamento forzato, alla propaganda di massa, a tutte quelle strategie di incorporazione che smarriscono se non feriscono il sacrosanto senso della differenza, della libertà, della fraternità. Si tratta invece per i discepoli del Figlio di essere immagine e riflesso dei legami divini, casa ospitale per chi si sente amico, spassionato esercizio di libertà per chi si crede nemico, tenace segno della grazia per chiunque cerchi con tutto il cuore qualcosa di vero. In questo equilibristico esercizio di libertà lui non ci lascia soli. È con noi fino all'ultimo respiro di questo mondo. (Giuliano Zanchi)