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Sabato, 28 Aprile 2012 16:46

Il bel Pastore

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192Curioso questo dovere di Pietro di rendicontare al cospetto delle alte sfere della tradizione il beneficio recato a un uomo infermo. Curioso e istruttivo. La fede dell'alleanza ha perfettamente conosciuto la cura divina riservata all'uomo fragile. I suoi interpreti non sempre. La loro affezione per l'alterità sovrana del Dio degli eserciti li ha spesso resi unilaterali difensori di quel principio a scapito della viscerale passione dell'Altissimo per l'umanità offesa. Quale orizzonte religioso può trovare di che interrogarsi sul ristabilimento dell'integrità di un essere umano se non uno rimasto sordo al compiuto svelamento in Gesù di quel Dio che non dorme di notte se un uomo non è al sicuro? Tutta la straziante novità di questa rivelazione la si tocca con mano nell'incredibile contenzioso nel quale Pietro, ormai abitato dalla grazia della Pasqua, deve spiegare le circostanze di un episodio di prodigiosa rinascita umana. Davvero i tempi sono nuovi. Si sente dallo scricchiolare di quelli vecchi. Pietro dunque, nel cuore della sua requisitoria, confessa il nome di Gesù, non senza ricordare apertamente l'opera del suo misconoscimento e gli atti del suo rifiuto. Nonostante questo, avviene tutto grazie a lui. Come una pietra che tiene su tutto l'edificio. Ma la sua natura di fon­damento non proviene da ragioni prestazionistiche da sistema sanitario. Il mondo nuovo di cui Cristo è la chiave di volta si fonda piuttosto sull'inaudita intimità a cui egli stesso ha saputo riportare le trepide speranze di Dio e le confuse aspettative dell'uomo. Un nuovo incontro.

La letteratura giovannea è la più creativa nel verbalizzare questo perno affettivo della rivelazione. Essa esprime anzitutto la costernata meraviglia umana nel sentirsi attratta per sempre dall'orbita filiale della vita divina. Ci sarebbe bastato essere servi trattati bene. Dio ci ha presi per figli. Ma non per finta. Proprio davvero. Realmente. Ma quanto tempo abbiamo perso a crogiolarci nella paura del divino?  L'evangelista Giovanni libera la grazia delle sue metafore agresti facendone il vettore della natura intima e confidente della fede a cui il Dio di Gesù convoca al suo cospetto il precario nomadismo della vita umana. Sono sempre in grande numero quelli che si presentano a indicare la strada al disorientato cammino dell'uomo. Molti sono mercanti d'anime interessati all'affare. Avuta la controparte, scompaiono nel nulla. Tornano magari a illudere con nuovi prodotti per la felicità. Pronti a dileguarsi di nuovo. Solo il bel pastore giovanneo, sotto le cui sembianze si confida un Gesù in procinto di morire, offre la garanzia di una custodia a oltranza e di una intimità a prova di voce. La sua incondizionata dedizione al gregge umano ha il proprio fondamento in quel sentimento di appartenenza agli affetti divini che dà ragione di ogni spassionata consegna di sé. Tutto quanto è perso per amore conosce misteriose vie di conservazione. È l'intesa tacita e solida di ogni madre col suo bambino. Basta il suono della voce per farlo dormire in pace. (Giuliano Zanchi)

 
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