Agli occhi assuefatti di uno scriba integrato negli schemi delle convenzioni religiose appare già un'idea limite una remissione delle colpe da applicare a un paralitico la cui disgrazia è sufficiente ratifica del suo debito morale. La supponenza poi con cui Gesù se ne fa protagonista, beh, quello sembra del tutto intollerabile. I nodi delle questioni si assommano. La prima domanda è certamente quella che riguarda quest'uomo paralitico, ennesima prova vivente di un'equazione a cui persino l'antica fede non ha mai definitivamente rinunciato, continuando a leggere fra le righe della disgrazia umana la giustizia impeccabile della volontà di Dio: non vorremo noi assolvere qualcuno su cui l'Altissimo ha già emesso la sua evidente sentenza!
La seconda questione viene aperta da questo disinvolto rabbino deciso a pronunciare, con sconcertante leggerezza, parole di perdono come estraesse sostanze da un proprio patrimonio: non vorrà pretendere di giudicare al posto di Dio!
Marco prepara del resto molto bene il contesto di questa irritazione raccontando in modo molto plastico e molto commovente l'inventiva audacia di gente che ha deciso fino in fondo di essere fraternamente accanto allo sfortunato sfidando pure l'infausta scomunica di cui l'amico appare portatore. Pare di vedere questi teologi della Scrittura trattenere l'impazienza per l'invadente sceneggiata di scoperchiare un tetto e mettere al centro dell'attenzione un rifiuto umano già messo ai margini dalle leggi sempiterne di Dio. Pare di sentirli protestare mediante la cantilena del loro catechismo.
Tutto per un attimo rimane un semplice agone di parole. Una teologia contro un'altra. Un'eresia in faccia a un'ortodossia.
Il segno però interviene a sciogliere inutili equivoci di scuola. Disquisire del perdono è un'attitudine alla portata di tutti. Dare vita alla grazia è solo di chi può amministrarne le ragioni. Vogliamo vedere? Basta una parola, come il giorno della creazione, e l'informe ritrova integrità. Prendi la tua barella e torna a casa. La sapienza narrativa di Marco, con laconicità traboccante di ironia, disegna la silenziosa e quasi meccanica obbedienza del miracolato: che si alza, prende la sua barella, e se ne va. Manca solo il sonoro per l'ovazione di gente semplice perfettamente cosciente di aver visto compiersi, in quel preciso istante, la vera volontà di Dio. Non solo il Dio di Gesù non consegna alla disgrazia fisica l'uomo peccatore, ma quando ne incontra uno si comporta così. E i teologi, tutti a riscrivere i loro saggi.
Perché chi veramente ha penetrato, seppure nel confuso istinto della fraternità umana, i meandri dorati dei pensieri di Dio, sono quei quattro che si prendono la briga di calare una barella da un tetto. È il movente di quella prossimità quasi animale, immediata, tenace, che lambisce con più approssimazione di ogni altra sapienza teologica i lembi dei pensieri di Dio. A Gesù basta vedere lo spettacolo di questa fede, questa esibizione di elementare resistenza umana, per pronunciare parole che Dio ha in animo da sempre. (Giuliano Zanchi).