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Con Cristo
misurate le cose
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I l legame del male al peccato è arcano. Non si tratta naturalmente dell'ovvia corrispondenza fra un male perpetrato che configura immediatamente un peccato conclamato. Non è tanto in questione la colpa di chi ha compiuto il male. Ma, più enigmaticamente, del senso della colpa che affiora alla coscienza di chi il male gli tocca patirlo. Appena toccato nella carne, l'essere umano si chiede istintivamente per quale responsabilità debba patire quel dolore. Il paradosso è di quelli radicali che chiamano in causa la costitutiva contingenza umana. Il dolore, anche quando è semplicemente subìto, non è mai percepito come innocente. L'irragionevolezza del dolore invoca responsabilità che l'uomo si sente costretto a proiettare su di sé. La forza del male del resto, nella sua oscura invincibile potenza, fa sempre la sua apparizione con i tratti inconfondibili del sacro.
A questo enigma, incandescente e oscuro a un tempo, la religione ha offerto spesso la sua cornice teologale. Nemmeno nell'antica alleanza, patria letteraria e spirituale del Dio della misericordia e delle viscere, sa evitare l'equazione che collega i sintomi della malattia all’impurità morale, il dolore alla colpa, la sofferenza all'espiazione. La verità dell'equazione sta nel fatto che il male documenta quell'irresolutezza umana la cui ricomposizione rinvia necessariamente alla giusta relazione con Dio. La sua falsità sta nel semplificare questo rinvio in un atto di meccanica autoritaria decisione divina. Gli amici teologi di Giobbe, ci si ricorderà, sono l'insuperabile incarnazione letteraria della teorizzazione dogmatica di quella falsità. Potere e strapotere del sacro arcaico. La sua potenza, così onnipotente da essere prepotente, tutela la propria sovrana grandezza mediante un giustizialismo che adotta come moneta di scambio il dolore della carne. Essa è dunque documento della scomunica divina. Naturalmente si trasforma anche in esclusione sociale.
Di queste abiette e cupe convenzioni, come si sa, Gesù sarà metodico maestro di sospetto. In esse egli vede nascosta la propensione umana a forgiare caricature del divino a uso e consumo di ben discutibili ordini sociali. Ma la sua vocazione (fin dal principio dei tempi) di essere icona veritiera del Dio dell'alleanza gli impone di scagionare l'immagine di Dio dalle infamie attribuite ad essa da ogni religione da bancarella. I segni di guarigione, che il Figlio opera fra la costernazione stessa di chi ne è oggetto diretto, hanno precisamente questa ragione. Essi si intendono come rivelazione in atto del Dio vero che, di fronte all'uomo fragile, si china ristabilendone l'integrità. Di questo ordinario miracolo non si dovrà fare propaganda ai quattro venti. Il beneficiato ne farà personale atto di fede. Ma che almeno ai sacerdoti però ne sia mostrata la tangibile evidenza. Il loro accertamento è chiamato a leggere il fenomeno clinico come rivelazione dell’Altissimo. Eppure è difficile, per quanto maldestro, chiudere la bocca alla meraviglia. (Giuliano Zanchi)