Geremia è culturalmente diventato la figura emblematica della lamentazione. La sua predicazione contiene un elemento di resa dalla consistenza quasi irrinunciabile. La cronaca umana sembra semplicemente impotente di fronte a ogni invito alla conversione . Ma da questo realistico senso di vanità morale Geremia prende lo slancio per un’immaginazione proiettata oltre gli stretti orizzonti del provvisorio. I suoi lamenti difatti vanno costruendo con paziente progressione quel genere di sapienza che trasforma la profezia in annuncio apocalittico. Il suo contenuto parla della pervicacia di un Dio che getta il sasso della promessa oltre i blandi limiti della storia preconizzando un futuro nel quale un nuovo intervento creativo renderà l’uomo abile a una fedeltà degna dell’alleanza . In sintesi , un cuore nuovo, un rinnovato slancio della libertà, un nuovo respiro della volontà. Nel forgiare la materia di questo sogno la profezia biblica sposta inesorabilmente la barra del tempo direttamente verso i confini dell’escatologia. Saranno tempi in cui le cose appariranno compiute. Ma per compiere le quali Dio smette fin d’ora di limitare la sua viva presenza al contenitore santo della legge o alla voce fedele del profeta. Dio verrà di persona. In carne ed ossa. Si prenderà sulle spalle tutti gli oneri di una amicizia cui non è mai stato disposto a rinunciare. Ne sarà il garante pressoché unilaterale. Con la stessa determinazione con cui le madri, quando serve, sanno supplire col proprio invincibile supporto di fedeltà alle fisiologiche immaturità dei figli. Ecco, quando succederà, la storia sarà come finita. Questo salto oltre l’immediatezza della cronaca per inerpicarsi al di là delle dimensioni della storia spiega anche l’apparente indifferenza di Gesù che a un gruppo di greci smaniosi di incontrarlo, annunciatigli attraverso una commovente catena di passaparola, oppone la disarmante freddezza di un discorso che avrebbe tutta l’aria di essere liquidatorio. Questi ingenui stranieri sono ancora all’inseguimento dell’aura del tutto contingente del profeta famoso. Vogliono vedere l’oggetto vivente di una celebrità dai contorni tanto intensi quanto del tutto vaghi. Cercano la conferma diretta di un prodigio umano portato sul filo della meraviglia dalla frenesia dei racconti. Ma non è più tempo, nemmeno per la testimonianza del Regno, della consolazione immediata, dell’accudimento primario, della semplice accondiscendenza, giacché il momento si avvicina in cui del Figlio si deve vedere l’inaudito. A chi dunque vuol vedere ancora la sua umana figura di profeta strabiliante Gesù da appuntamento altrove, lasciando con premura tutta divina, le istruzioni per l’uso di un discernimento del quale quasi tutti rimarranno vittime. Il Figlio difatti sarà più interessante sulla croce. Benché più invisibile. Per vedere qualcosa di attraente e di umano in quel caso bisognerà possedere dei criteri di osservazione ben assimilati. Per esempio, che tutto quello che non muore resta morto. Ma per chi li avrà metabolizzati lo spettacolo sarà unico. (Giuliano Zanchi)