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Domenica, 13 Maggio 2012 09:32

Comunione non è confusione

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194Nell'imbarazzo con cui Pietro si ritrae dall’esasperata devozione di un uomo che gli rende omaggio, misuriamo il grado di secolare pulizia etica che la rivelazione evangelica ha giustamente introdotto nelle forme della relazione religiosa. Nemmeno chi è stato a fianco della sua incarnazione pensa più di presentarsi come intermediario semidivinizzato della grazia di Dio. Da che il Dio degli eserciti è stato uomo in Gesù, tutti lo possono essere senza sentirsene diminuiti. Spogliatosi per essere uguale a noi, egli scoraggia in tutti i modi l'ambizione a voler essere simili a lui. Che è peraltro il ritornello dell'antica tentazione (sarete simili a lui). Non esiste dunque più ragione che un uomo si debba prostrare davanti a un altro uomo. Lo Spirito, del resto, volteggia sul mondo degli umani con la sovrana libertà di avvolgerli tutti senza differenze. Dio difatti non fa diffe­renze. Nemmeno le cancella.

Nella logica degli affetti divini le identità si accendono dell'incandescenza con cui vengono unite. Il legame non sopprime le differenze. Dà loro il senso di esistere. Il principio con cui la rivelazione di Dio in Gesù si traduce in un nuovo definitivo esperimento di convivenza ruota attorno a una forma di unione che non è uniformità. Siamo uguali ma non equivalenti. Siamo prossimi ma non intercambiabili. Viviamo nella comunione ma non ci perdiamo nella confusione.

Per mantenere viva questa tensione, in cui le identità si fondano sul vincolo, occorre l'equilibrio di forze specifico del paradosso evangelico. Esso consiste alla sua radice nel comandare l'amore. Paradosso inciso nell'enigma umano del desiderio. Se, difatti, esiste qualcosa che, per definizione, non può prodursi sotto l'orizzonte dell'obbligazione, è l'affidamento amoroso. Esso, al contrario, nasce per principio come frutto della libertà. La nostra cultura ha poi contribuito a trasformare questo paradosso in alternativa. Nel dialetto libertario, con cui nessuno di noi può ormai fare a meno di esprimersi, la sfera del comandamento è per definizione contraddittoria rispetto all'esperienza dell'amore. Dove si impone l'uno, non esiste l'altra. Dove regna il vincolo della regola, non respira la libertà del sentimento. Ma spezzare in due i poli di questa corrente alternata ha immiserito la potenza dell'enigma umano che essi devono tenere vivo.

Gesù tiene saldamente uniti i due termini. L'amore è il senso della libertà. Ma proprio per questo esso ha i suoi perimetri di necessità. Il termine che ricompone eticamente il paradosso di un amore comandato, tenendolo in feconda sospensione è quello della responsabilità. La vita di ognuno sta nelle mani della cura dell'altro. Al di fuori di questo crocifiggente esercizio di fraternità, esiste spazio solo per identità perdute nella solitudine. Amarsi gli uni gli altri: semplice da morire, elementare fino all'impossibile. Se non fosse l'unilaterale anticipazione del Figlio. La sua incondizionata dedizione resta come matrice di ogni amore tentato nella sincerità. Amarsi, semplicemente. Come lui con noi. (Giuliano Zanchi)
 
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