L’ingenua presunzione del re Davide, di cui la Scrittura con superba libertà conserva dentro di sé il dettagliato documento, mette in mostra tutta l’improntitudine a cui può arrivare un uomo appagato, giunto al culmine dei propri progetti, avvolto dalla consolante agiatezza di una vita importante. Essa prende forma attraverso un’ambizione che va a toccare i limiti stessi di quella trascendenza grazie a la quale il Dio dell’alleanza cerca di proteggere l’infantile invadenza umana . Davide immaginando di barattare con la devozione il senso di colpa della sua esistenza agiata, formula la pretesa di mettere su casa a Dio, avvolgendo la presunzione nell’involucro di pretesti fatui e pelosi. Nell’ambizioso progetto di costruire una casa a Dio, per equiparare la felice condizione di un re che abita “in una casa di cedro”, sta innanzitutto tutta l’ambiguità di una devozione che pretende di determinare le condizioni del divino ad immagine e somiglianza dell’umano. Poiché il re vive in una casa, anche Dio deve averne una. Ma l’ambizioso progetto tradisce anche il potere con cui l’uomo devoto pensa di poter definire i confini entro i quali Dio può stare dentro la storia umana. Ogni volta che è successo, la religione si è affrettata a diventare uno strumento di preservazione di interessi molto umani. Naturalmente attraverso la voce del profeta, l’Altissimo stesso ironizza su questa boriosità regale travestita da filiale sentimento religioso. Dio ride dell’uomo che si prende troppo sul serio che dimentica la grazia invisibile che ha costruito la sua fortuna, che trasforma una fortuna avuta in dono nell’arroganza paternalistica dell’uomo che si è fatto da sé. La voce di Dio annuncia che sarà ancora una volta l’iniziativa divina a garantire una casa alla boriosa vicenda umana di questo piccolo re terreno. La promessa di una casa risuona come l’offerta di un destino, sulla linea di una discendenza lungo l’asse di una promessa antica secondo la quale, nella catena delle generazioni, l’Altissimo resta implicato fino a legare a sé il sangue dell’uomo. La casa di Davide, quella che il Dio del’alleanza si premura di costruire, disegna un progetto che attraversa le generazioni, fino ad incontrare l’assenso scandaloso di una ragazza nubile, a cui Dio si rivolge con la libertà con cui ci si rivolge ad un uomo. Un Dio femminista che toglie di mezzo i maschi di casa, si rivolge direttamente ad una giovane femmina, mettendola in croce di fronte alle ferree convenzioni della sua tradizione, cercandone trepidamente l’assenso per un progetto che l’antico e potente re nemmeno sarebbe stato in grado di immaginare. Solo la sovranità divina può essere così umile da stare con il fiato sospeso di fronte alle labbra di una ragazza. Ma solo grazie a questa divina audacia la promessa rinnovata davanti alla presunzione di Davide ha trovato il suo definitivo compimento. Dio ha una casa. Ma la casa di Dio in mezzo agli uomini è la carne umana del Figlio (Giuliano Zanchi)