Mentre i “poteri forti” della cultura mondana divulgano l’apologia del soggetto vincente, emancipato, atletico, iperattivo, esaltando l’ideale della vita esuberante, il realismo della spregiudicatezza, la retorica libertaria dell’autocostruzione, noi riusciamo a rimanere affezionati alla narrazione cristiana di principi che si incarnano nella debolezza, nella nudità, nella dipendenza, la cui icona imperitura rimane l’inerme fragilità di un neonato. Se succede, significa che, nonostante tutto, non siamo ancora perduti. Abbiamo ancora un’anima. Per quanto avvolti e attratti da modelli umani che ci impongono l’eterna irresponsabilità di un’astratta giovinezza di plastica e che ci tengono sotto la mortificante morsa dell’inadeguatezza, ogni tanto, come per un sussulto di residua coscienza, sentiamo la voglia di rinascere, di tornare ad una immaginaria innocenza dove ancora tutto si può fare, dove nessuno ha già scritto per noi gli standard su come dobbiamo essere. La storia di Dio che nasce come ogni altro uomo possiede ancora l’energia narrativa sufficiente ad intercettare questi nostri bisogni di libertà umana. La storia di come è nato Gesù ci fa sentire meno soli. Attenua il nostro disagio, ci protegge dal narcisismo di massa. Il Figlio del Dio degli eserciti viene al mondo mentre l’imperatore, celebrando gli iperbolici riti del potere mondano, organizza un censimento, venendo così subito a contatto con la Storia, quella grande che va sui libri, portata di solito a fare violenza alla storia piccola, quella del limitato segmento delle vite personali. Imperterrita, la Storia fa le sue capriole e detta le sue leggi, senza guardare se una ragazza è incinta e non dovrebbe mettersi in viaggio. La Storia ci travolge spesso, con i suoi “unidicisettembre”, le sue crisi internazionali, le sue depressioni economiche, lasciandoci vagare in un sentiero invisibile alle rilevazioni satellitari. La Storia, con la complicità di coloro che la governano, riduce quasi sempre gli uomini a numeri da segnare su un registro. Però poi esiste il miracolo di questa memoria evangelica capace ancora di farci sentire che Dio conserva una passione illimitata per le piccole storie invisibili e che in quel Figlio che nasce risplende qualcosa che ci può salvare. Ci fortifica il coraggio del Dio dell’alleanza deciso a lasciarsi contenere nella minuscola storia di un uomo, così certo della bontà della propria creazione da farne la dimora del proprio Figlio, dalla quale ribadire, con la silenziosa e ostinata perentorietà della vita, che il senso del tempo sta tutto e solo nel gesto di reciprocità con cui l’amore trasforma solitudini in legami. Mentre un imperatore misura la grandezza del mondo sommando milioni di individui tutti uguali, il Dio della creazione, nel segreto di una nascita, annuncia che l’avvento di ciascun uomo vale l mondo intero. Non esiste complesso di inadeguatezza di fronte al gesto con cui il Dio di Gesù ci dichiara, con azzardo tutto umano, di ritenerci degni del suo amore, della sua passione, della sua stessa vita. (Giuliano Zanchi).