La sapienza concordistica di Matteo si adopera, con lussuoso talento letterario, a trasportare nell’immagine di questi indefiniti “sciamani” d’oriente, per metà mercanti e per metà astrologi, la potenza onirica dell’antica profezia isaiana, festosa apocalissi dominata dalla luce, immaginazione di un compimento in cui il mondo intero viene calamitato con la forza di attrazione di una splendida presenza. L’incarnazione del Figlio, se merita digressioni in merito alla cronaca simbolizzata della sua nascita umana, rappresenta l’apice dell’aspirazione originariamente universalistica dell’alleanza promessa dal Dio degli eserciti. Essa era da sempre immaginata come rivolta a tutte le genti della terra. La sua promessa, ancorché affidata alla testimonianza di un solo popolo, ha sempre avuto per oggetto l’indistinta passione di Dio per la creazione intera e come destinatario l’intangibile sacrario di ogni libertà umana. I magi attratti dalla stella simbolizzano le genti raccolte dal richiamo universale della rivelazione. L’ “Universalità” dell’evento cristiano, che persino la vicenda terrena di Gesù dovrà pazientemente imparare da una straniera che chiede briciole di pane per i propri cuccioli, sta già anche nella metafora del viaggio con cui l’evangelista confeziona il racconto. Da Ulisse a Pinocchio, da Marco Polo a don Chisciotte, la narrazione umana del senso non ha mai trovato di meglio che un racconto di viaggio per rinnovare le domande legate all’enigmatico itinerario dell’esistenza. Per tutti in fondo, l’avventura è sempre la stessa. Per trovare la propria identità occorre inseguire un desiderio, trovare qualcosa, stare in coda a una stella. Il problema sarà dopo cosa cercare, dove trovarlo, che strade percorrere, di chi fidarsi, come orientarsi. “Universale” è anche il male che ogni volta sorge per opporre la propria invidia al commovente affidamento umano. Sotto le mentite spoglie dell’ossequio e dietro la maschera della filantropia, il potere in cui il male si incarna si affida alla presunta ingenuità dei buoni per infrangere l’attraente e gratuita presenza del bene. Il male non sa esistere che travestendosi da bene. Lo dirà a ragion veduta anche Gesù da grande: state attenti a quelli che si fanno chiamare “benefattori”. Sicché l’ombra del male è già protesa a lambire la vita del Figlio non appena essa comincia a emettere i suoi primi fragili bagliori. Si è già nel pieno della passione in questo esordio di vangelo che fa muovere i suoi attori nello sfolgorio di una notte piena di luci. Questo segno “universale”, miracolosamente contenuto nella minuscola forma umana del neonato, capace di attrarre come un magnete le strade riottose degli umani, avrà il suo concreto compimento nell’immagine definitiva del Cristo crocifisso, incondizionato parto dell’alleanza, giunto a termine tra il ghigno dei malvagi e l’addolorato stupore degli amici. Quello che i magi vedono, attraverso la penna premonitrice dell’evangelista, è già il Figlio che, innalzato da terra, attira tutti a sé. (Giuliano Zanchi).