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Sabato, 25 Febbraio 2012 14:21

I primi passi

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183Questa specie di evangelo in nuce che Pietro, o chi scrive per lui, depone tra le righe di una lettura indirizzata alla sua comunità, ha tutta la consistenza di una Summa teologica ridotta ai minimi termini, ma in grado di avvitare in un unico punto di considerazione  tutte le tappe essenziali della costruzione salvifica amorevolmente edificata attorno alla vita umana. L’autore di questa lettera ricongiunge, con una sola manciata di parole, le arcate temporali di un’architettura della grazia che  nel Cristo risorto la sua chiave di volta. Si parte difatti dalla sua morte. Atto sacrificale dalla portata definitiva dal cui spiraglio il fendente della grazia divina  riesce a penetrare nei recessi dove stazionano in attesa le generazioni di un’alleanza ormai antica. Finalmente raccoglie i suoi frutti la pazienza divina. La salvezza di Noè si può guardare adesso come profezia di un miracolo incalcolabilmente più efficace. Stesso segno dell’acqua. Ma, grazie alla pasqua del Figlio, veicolo di una riconciliazione universale, capace ormai di vincolare i confini dello spazio e di penetrare, da cima a fondo i depositi del tempo. A partire da qui l’architettura teologica rimbalza direttamente oltre la storia e al di là del tempo. Solo dall’alto di questa vertiginosa visione si può inquadrare  nell’ampio reticolato viario della vocazione cristiana l’elementare segmento di conversione verso cui s’imbocca il discepolo di oggi, chiamato ancora alle elementari distanze della sequenza quaresimale, come i primi tentennanti passi di un bambino che impara ancora a muovere le gambe. La liturgia con le sue selezioni bibliche, ricollega simbolicamente il cammino al tempo delle origini, a quel discernimento originario degli spiriti che costituisce la sostanza del mito genesiaco, evocato in questo caso attraverso la grande prova del diluvio. Nell’economia dei primi undici capitoli di Genesi, che sono una sorta di unitario romanzo delle origini, la vicenda del diluvio rappresenta come l’esito di un dilagare inarrestabile del male che coincide con una ferma e irremovibile conferma dell’alleanza. Questo non è un Dio portato a pentirsi. Se necessario, rimodella all’infinito la sua creazione, ripartendo da quel poco di fango buono che rimane. Il resto è semplice congettura umana. L’accento è infatti posto sulla grande scena in cui il Dio degli eserciti viene descritto come un guerriero che appende in cielo il proprio arco, deciso ad attaccarlo per sempre al chiodo, per liquidare una volta per tutte la logica dispotica del sacro arcaico. Ma la prova non è originaria perché avviene in un presunto inizio cronologico. Essa è originaria perché rappresenta il motore enigmatico di ogni desiderio. Sempre e ovunque esista un essere che voglia considerarsi umano. Nemmeno il Figlio può realmente immettersi in una reale avventura umana senza attraversare il crogiolo del desiderio messo alla prova. Marco la racconta con laconica levità. A Marco basta assicurarci dal fatto che nulla è stato risparmiato al Figlio (Giuliano Zanchi)


 
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