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Archivio luce sul mistero

Archivio luce sul mistero (242)

Domenica, 24 Settembre 2017 20:12

IL PARADOSSO DI "UN FRATELLO STRANIERO"

il-paradossoMatteo 20, 1-16 – La Malattia dell’Invidia                                                         
Il mondo è una famiglia dei figli e figlie di Dio, abbiamo unica origine in Dio Padre dove siamo chiamati a riconoscere la nostra fratellanza.
Allora perché trattiamo i nostri fratelli e i nostri vicini come "sconosciuti"? Nella famiglia chiamiamo un fratello Giuseppe un sognatore, sulla strada lo vediamo come uno straniero, nel posto di lavoro egli è un intruso, quindi deve essere sempre lasciato dietro, egli è rozzi e dovrebbe sempre sottomettersi perché egli appartiene al livello basso. Lo spirito di non-fratellanza è la radice di ogni guerra, gli occhi che vedono solo gli stranieri e li chiamano altri "non-me", sono la sorgente delle invidie e gelosie.

La fraternità è lo spirto di amore e di solidarietà, essa dice che l'altro è una parte di me, grida per il bene comune. La fraternità non è egocentrica, non lotta per un fine egoistico, ma dice che il benessere di mio fratello è il mio perché siamo unica cosa, abbiamo un'origine, una paternità e maternità in una famiglia di Dio Padre.

Il Vangelo di Matteo ci porta la parabola di Cristo sugli operai della vigna dove il proprietario di questa vigna ha considerato tutti i suoi lavoratori come fratelli. All’alba del giorno, questo proprietario è partito alla ricerca di quelli che non hanno nulla da portare a casa per il pane quotidiano, aveva gli occhi di fraternità per il benessere comune, per lui la cosa più importante era dare a tutti il senso di appartenenza, il senso di unità, e il senso di fratellanza, questo era il motivo per cui ha radunato tutti nella sua vigna in diverse ore del giorno.

«La sera, il padrone della vigna disse al suo fattore, "Chiama i lavoratori e dai loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi"». Il padrone ha condiviso il suo bene con loro nello spirito di fratellanza, egli è stato generoso con la ricchezza che ha guadagnato con il suo sudore. Purtroppo il primo gruppo dei lavoratori chiamato nella vigna non aveva lo spirito di fratellanza, secondo questi, hanno meritato un trattamento speciale perché erano i primi ad essere chiamati, erano i primi in quella vigna-famiglia, essi sono i primi pionieri della vigna o dell'istituto, quindi tutti gli entrati dopo di loro dovranno essere posizionati  al secondo grado di appartenenza e non dovranno ricevere lo stesso trattamento con loro.

Il proprietario e fondatore della vigna mai ha lamentato della sua generosità, egli voleva che la sua famiglia fosse un luogo di lavoro o un istituto dove tutti fossero fratelli e sorelle, dove amore e comprensione regneranno, una comunità dove il tempo di arrivo non è un criterio di superiorità. Il padrone aveva desiderato di vedere una comunità dove le differenze sociali non servino nel determinare la dignità e la classifica di un fratello, il padrone aveva voluto una famiglia unita dove nessuno poteva essere lasciato dietro, egli non aveva mai l’intenzione di raccogliere nella sua vigna i gruppi in conflitto, perché egli non ha mai voluto fondare i partiti politici ma una famiglia.

Il primo gruppo dei lavoratori era d’accordo con il padrone della vigna sulla remunerazione del loro lavoro, sia la posizione che onere che gli aspettano, però hanno continuato a brontolare perché gli altri lavoratori della seconda ora erano trattati ugualmente anziché di essere soppressi. Ingiustizia!! Ingiustizia!!! esclamavano questi primi lavoratori, il padrone della vigna avrebbe dovuto retrocedere gli altri lavoratori che erano arrivati dopo, non hanno meritato la stessa posizione e lo stesso pagamento con noi, e non li potranno mai meritare, sono stranieri, non sono il nostro, invece sono un “altro da noi”, non ci appartengono.

La giustizia agli occhi di ‘non-fratellanza’ significa la sofferenza e l'umiliazione di un fratello, la giustizia nella mentalità di ‘non-fraternità’ significa avere tutti sotto il suoi piedi, significa essere il comandante dove gli altri sono i soggetti. Per i primi lavoratori, la fraternità significa discrepanza, un fratello è colui che sta sotto il loro comando e controllo, un fratello è un soggetto da sopprimere e non dovrebbe lamentarsi.

Non so proprio dove tu vivi la tua vita quotidiana, non so a quale famiglia appartieni tu, se nella tua famiglia naturale o in una famiglia religiosa, non so in quale gruppo ti trovi, se nel gruppo dei primi della tua famiglia, nel gruppo di coloro che si sentono parenti del fondatore della tua famiglia religiosa o istituzione, o nel gruppo di colore che sono al margine della tua Comunità di qualunque genere, non lo so se tu sei il fondatore della tua famiglia, ma quello che sono convinto è che abbiamo le stesse missioni e destinazione, so che siamo figli e quindi fratelli, io so che abbiamo gli stessi diritti e la stessa responsabilità verso la costruzione della nostra famiglia, siamo chiamati a lavorare per il bene comune, nessun fratello è un intruso, un fratello non è un estraneo, nessun fratello merita un trattamento speciale. Se il proprietario di questa vigna della nostra famiglia non ha maltrattato i suoi fratelli-lavoratori, noi come possiamo permettere una cosa di genere? Nessun membro della famiglia di Dio è meno importante, lo stato di ognuno come "figlio" di "dio" gli merita la posizione più alta che si può pensare, altri criteri di superiorità sono secondari e non ci devono dividere. Le nostre dignità ed uguaglianza stano nella nostra figliolanza, siamo veri figli nel Figlio.

La giustizia senza l’amore e la compassione è una mera legalità, ma noi non siamo sotto le leggi della guerra e dell’odio, ma sotto la grazia. Cristo è morto per noi perché possiamo essere liberi, Egli è venuto a raccoglierci insieme in una famiglia dove le pecore possono vivere in pace con i lupi, dove la legge di superiorità basata sulla mentalità pagana delle differenze sociali e  razziali è annientata.

Ciascuno deve domandarsi della sua appartenenza e cerca di accogliere quella verità interiora che solo lui possa riconoscere. Nonostante i nostri rancori e la nostra lamentazione, rimane esclusivamente il compito del padrone della vigna di pagare tutti come vuole lui. Fratelli miei, il nostro brontolare non può cambiare la volontà di Dio, e non può condizionare la sua generosità. Cari miei, mentre continuiamo nella nostra invidia, nel nostro brontolare, il nostro Padre celeste continua a benedire i suoi figli. Il destino può essere ritardato ma mai negato, il Dio della fraternità non è un Dio parziale, non guarda coloro o l’appartenenza sociale, guai a chi combatte contro il disegno di Dio. Dio ci ama come siamo, amiamo gli uni e gli altri, apprezziamo i nostri fratelli perché Dio è amore.

P. Kenneth Ani

Sabato, 09 Settembre 2017 14:12

UNO SGUARDO AVANTI

Luce di_speranzaSiamo tutti  pellegrini e dobbiamo continuare i nostro cammino
verso la destinazione, la forza non viene da noi ma da Colui che 
ci ha preparato un casa e ci guida verso la nostra casa. La fatica
del cammino della vita e della fede non ci bloccherà da continuare 
a vivere con la speranza di cantare un giorno nella vita che non 
finisce mai la gloria di Dio, solo se in ogni nostra condizione cerchiamo 
di mantenerci calmi ed ottimistici che dopo la notte arriva il giorno, carissimi 
guardiamo avanti, fissiamo lo sguardo su Colui, Cristo che guida i nostri passi.

                                                                              P. Kenneth Ani
Domenica, 26 Marzo 2017 07:14

Gesù, Luce del Mondo

378La quarta Domenica di Quaresima è conosciuta come “Laetare (Rallegratevi) Domenica”, esprimendo la gioia della Chiesa in attesa della risurrezione di nostro Signore. Le letture di oggi ci ricordano che è Dio che ci dà una visione corretta nel corpo, così come nell'anima e ci insegnano che dovremmo essere costantemente in guardia contro la cecità spirituale. La prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele, descrivendo l'unzione di Davide come secondo re d'Israele, illustra come ciechi siamo nei nostri giudizi e quanto abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio. Nella seconda lettura, San Paolo ricorda agli Efesini della loro nuova responsabilità come figli della luce per vivere come figli della luce, producendo ogni tipo di bontà e giustizia e verità. Presentare il miracolo del dono di Gesù di vista a un uomo cieco nato, Vangelo di oggi ci insegna la necessità di aprire gli occhi della mente per fede, e ci avverte che coloro che assumono che vedono la verità sono spesso ciechi, mentre coloro che riconoscono la loro cecità sono date visione chiara. In questo episodio, la persona più improbabile, vale a dire il mendicante cieco dalla nascita, riceve la luce della fede in Gesù, mentre i farisei, legge-istruiti religione orientata rimangono spiritualmente ciechi. Per vivere da cristiano è quello di vedere, di avere una visione chiara su Dio, su noi stessi e sugli altri. Le nostre preghiere e sacrifici quaresimali dovrebbero servire a guarire la nostra cecità spirituale in modo che possiamo guardare gli altri, vedere loro come figli di Dio e amarli come i nostri fratelli e sorelle salvati dalla morte e risurrezione di Gesù.

Sabato, 18 Marzo 2017 14:36

Il valore della quaresima

377Il mondo ha bisogno di un richiamo forte al valore della quaresima; tre sono le realtà che dominano il nostro cammino quaresimale:

1. LA CROCE, abbracciata da Cristo, è altare dove Lui si offre ed offre se stesso al Padre per la salvezza dell’uomo. La Croce diventa il cuore e il centro della nostra vita cristiana. Essa è il segno del nostro MORIRE PER VIVERE. Ce lo insegna Gesù: “Se il grano di frumento cadendo a terra non muore, resta solo. Se muore, rinasce moltiplicato”. In questo insegnamento c’è la grande legge del cammino quaresimale: BISOGNA MORIRE PER VIVERE, cioè, la vita nasce e sboccia dove c’è la morte. Bisogna morire all’egoismo, alla superbia, al proprio “io”, a tutto ciò che non piace a Cristo.

2. LA PENITENZA! Ossia, l’esigenza di una continua conversione di una costante verifica evangelica da fare con forza e costanza.
Penitenza, significa: mutamento totale, rinnovamento intimo del cuore, del sentire, del giudicare, del vivere… La Quaresima deve divenire tempo favorevole, occasione per riscoprire che la Pasqua si celebra dove c’è un cuore pentito e rinnovato, libero e convertito.

3. LA VOCAZIONE BATTESIMALE. Oggi, anche tra noi cosiddetti “cristiani praticanti” c’è una grave ignoranza religiosa sul battesimo. Riscoprire il battesimo , deve diventare la preoccupazione più impegnativa sempre, ma specialmente nella Quaresima. Il Battesimo ha cambiato totalmente la nostra condizione. E’ un “dono divino” e comporta esigenze divine di vita; è rinascita e comporta, esige, “novità di vita” è liberazione dal peccato e perciò esclude ogni compromesso con il male; è incorporazione alla Chiesa e perciò impegna a una comunione di vita e di solidarietà con i fratelli; è speranza della gloria futura perciò deve orientare la vita nostra verso il ritorno glorioso del Signore.

P. Beno, omd.




Venerdì, 10 Marzo 2017 17:20

Messaggio per la Quaresima 2017

quaresima-17Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» ( Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l 'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19- 31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.


1. L'altro è un dono

La parabola comincia presentando i due personaggi principali , ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato.

La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco.


2. Il peccato ci acceca

La parabola è impietosa nell'evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come "ricco". La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell'argento e dell'oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest'uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013).

Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace.

La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza (cfr ibid., 62).

Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l'uomo corrotto dall'amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell'attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione.

Guardando questo personaggio, si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l'amore per il denaro: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).


3. La Parola è un dono

Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un’esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell'aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7).

Anche il nostro sguardo si apre all'aldilà, dove il ricco ha un lungo dialogo con Abramo, che chiama «padre» (Lc 16,24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché finora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c’era posto per Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso.

Solo tra i tormenti dell'aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po' di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell'aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene.

La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all'obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31).

In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore - che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore - ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell'incontro nell'unica famiglia umana. Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.

Dal Vaticano, 18 ottobre 2016,
Festa di San Luca Evangelista

FRANCESCO
376La parola del Signore che ci invitava, domenica scorsa, a perseverare nella preghiera - Dio ascolterà coloro che perseverano nella loro preghiera - risuona ancora alle nostre orecchie mentre il testo evangelico di oggi completa l’insegnamento sulla preghiera: bisogna certamente pregare, e pregare con insistenza. Ma questo non basta, bisogna pregare sempre di più. E il primo ornamento della preghiera è la qualità dell’umiltà: essere convinti della propria povertà, della propria imperfezione e indegnità. Dio, come ci ricorda la lettura del Siracide, ascolta la preghiera del povero, soprattutto del povero di spirito, cioè di colui che sa e si dichiara senza qualità, come il pubblicano della parabola.

La preghiera del pubblicano, che Gesù approva, non parte dai suoi meriti, né dalla sua perfezione (di cui nega l’esistenza), ma dalla giustizia salvatrice di Dio, che, nel suo amore, può compensare la mancanza di meriti personali: ed è questa giustizia divina che ottiene al pubblicano, senza meriti all’attivo, di rientrare a casa “diventato giusto”, “giustificato”.

Sabato, 04 Giugno 2016 09:56

Ragazzo, dico a te, alzati!

375Incontrando il corteo funebre, Gesù, che si trova sul suo tragitto, è commosso dal pianto inconsolabile della madre.

“Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere”. Due parole vere, di consolazione umana, che scaturiscono dal cuore colmo di misericordia dell’Uomo-Dio. Quale fiducia ci deve dare l’amore del Signore! Davanti alla nostra lotta per essere cristiani migliori, nella quale noi commetteremo talvolta degli errori e dei peccati, se questi ci fanno soffrire - come soffriva il cuore di quella madre -, il Signore avrà anche per noi misericordia. Dal canto nostro, dobbiamo imparare a guardarci intorno e ad accogliere le chiamate che Dio ci manda attraverso il nostro prossimo. Non possiamo vivere rinchiusi negli stretti limiti dell’egoismo, voltando le spalle alle situazioni di molte persone che hanno bisogno del nostro aiuto.

Il giovane si alzò, e il suo corpo che era divenuto cadavere sentì che la vita scorreva nuovamente nelle sue vene. Capiterà lo stesso molto spesso nell’apostolato, perché il Signore è sempre disposto a rifare miracoli come quello di Nain: anime che “risusciteranno” alla vita cristiana. Quando Cristo passa tra gli uomini, se lo sappiamo portare con noi, molti occhi vedono di nuovo, molte orecchie ascoltano la parola di Dio e anime morte rinascono a una vita nuova per mezzo del sacramento della penitenza.

Sabato, 28 Maggio 2016 11:51

Voi Stessi Date Loro Da Mangiare

375Onoriamo e adoriamo oggi il “Corpo del Signore”, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra “vita nello Spirito”. Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci per nutrire la folla che lo seguiva: il cibo fisico agisce in me anche quando non ci penso, anche quando dormo si trasforma in carne, sangue, energie vitali. Il cibo spirituale è diverso: è efficace se io collaboro con Cristo, che vuole trasformare la mia vita nella sua.

L’Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: “Qui c’è il Signore!”. Se guardo a me stesso, mi trovo sempre piccolo, imperfetto, peccatore, pieno di limiti. Eppure Dio mi ama, come ama tutti gli uomini, fino a farsi nostro cibo e bevanda per comunicarci la sua vita divina, farci vivere la sua vita di amore.

L’Eucaristia non è credibile se rimane un rito, il ricordo di un fatto successo duemila anni fa. È invece una “scuola di vita”, una proposta di amore che coinvolge tutta la mia vita: deve rendermi disponibile ad amare il prossimo, fino a dare la mia vita per gli altri. Secondo l’esempio che Gesù ci ha lasciato.

Sabato, 21 Maggio 2016 12:43

Una comunione d’amore e di vita

373Il giorno di Pentecoste Gesù comunica se stesso ai discepoli per mezzo dell’effusione dello Spirito Santo. La piena rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo si ha nel mistero della Pasqua, quando Gesù dona la vita per amore dei suoi discepoli. Bisognava che questi sperimentassero innanzitutto il supremo dono dell’amore compiuto da Gesù per comprendere la realtà di Dio Amore che dona tutto se stesso. Egli, oltre a perdonare i peccati e a riconciliare l’uomo con sé, lo chiama ad una comunione piena di vita (“In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi”: Gv 14,20); gli rivela la ricchezza dei suoi doni e della speranza della gloria futura (Ef 1,17-20); li chiama ad una vita di santità e di donazione nell’amore al prossimo (“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”: Gv 15,12). Anch’essi sull’esempio del loro maestro sono chiamati a dare la vita per i fratelli (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”: Gv 15,13). Per ora essi sono incapaci di accogliere e accettare tali realtà. Lo Spirito Santo farà entrare nel cuore degli apostoli l’amore di Cristo crocifisso e risuscitato per loro, li consacrerà a lui in una vita di santità e d’amore, li voterà alla salvezza delle anime. Non saranno più essi a vivere, ma Gesù in loro (cf. Gal 2,20). Ogni cristiano nel corso del suo cammino è chiamato ad arrendersi all’amore e allo Spirito di Cristo crocifisso e risorto. Oggi è il giorno della decisione.

Sabato, 14 Maggio 2016 10:27

Respirare lo Spirito santo

372Oggi è il giorno della Pentecoste, il giorno della discesa dello Spirito Santo. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù, e improvvisamente discese su di loro, sotto forma di lingue di fuoco, lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità. Gesù aveva promesso ai suoi Apostoli che non li avrebbe lasciati orfani e aveva detto loro: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Questa promessa si è realizzata proprio nel giorno della Pentecoste.
La prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, descrive quel giorno, nel quale fu formata la Chiesa. A Nazareth, lo Spirito Santo era disceso sulla Vergine Maria per formare il corpo di Cristo; nel Cenacolo a Gerusalemme il Paràclito discese per formare il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Prima della discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli erano timidi e timorosi, non osavano predicare al popolo; mentre, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, essi iniziarono a predicare con coraggio, e così fecero fino alla suprema testimonianza del martirio.
Nel giorno di Pentecoste, che era già una festività giudaica, erano riuniti a Gerusalemme ebrei giunti da diverse parti del mondo allora conosciuto. Alcuni venivano dalla Mesopotamia, altri dalla Cappadocia, dall'Egitto e dall'Arabia. La cosa più sorprendente fu che ciascuno di loro sentì predicare gli Apostoli nella propria lingua. Fu chiaramente un miracolo che indicava come il Vangelo doveva essere predicato in tutto il mondo, fino a raggiungere gli estremi confini della terra. Nella loro predicazione, gli Apostoli erano istruiti interiormente dallo Spirito Santo. Gesù lo aveva detto chiaramente: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Lo Spirito Santo lo abbiamo ricevuto in dono anche noi. Lo abbiamo ricevuto già con il Battesimo, ma è soprattutto con la Cresima che il Paràclito è disceso su di noi e ci ha arricchiti con i suoi Sette Doni. Lo Spirito Santo è il nostro Santificatore. Lo dobbiamo pregare frequentemente, affinché, come dice san Paolo nella seconda lettura, non ci facciamo dominare dalle opere della carne (cf Rm 8,8), ovvero dal peccato che continuamente ci minaccia. Sarà una cosa molto bella ripetere ogni giorno, magari al mattino, la bella Sequenza allo Spirito Santo che abbiamo recitato prima della lettura del Vangelo. Con questa stupenda preghiera abbiamo domandato al Paràclito che ci invada nell'intimo del nostro spirito, che lavi la nostra anima, che la irrighi se arida, che la sani se piagata, che la scaldi se gelida. Recitiamo questa Sequenza con amore e attenzione.
La parola Paràclito, con cui è chiamato lo Spirito Santo, significa Consolatore. Egli ci consola nelle nostre miserie e guida la nostra preghiera, ispirandoci ciò che è bene domandare al Padre. Lo Spirito Santo arricchisce la nostra anima con i suoi Sette Doni, che ci fanno essere dei santi cristiani. Essi sono come dei piccoli semi che devono essere irrigati dalla nostra preghiera per giungere a maturazione. Nella vita dei Santi possiamo vedere il loro pieno sviluppo.
Il primo dono è la Sapienza, che ci permette di ragionare non secondo il mondo, ma secondo la profondità di Dio, e ci dona il gusto inesprimibile di Dio e delle realtà divine; poi abbiamo il dono dell'Intelletto, che ci consente di approfondire le verità della nostra Fede e di aderire ad esse quasi per un istinto soprannaturale; segue poi il dono della Scienza, che ci dà la capacità di risalire al Creatore partendo dalle creature e di vedere in ciascuna delle creature un riflesso di Dio; poi abbiamo il dono del Consiglio, che, nei momenti più importanti, ci suggerisce la decisione giusta da prendere secondo la Volontà di Dio, e, innanzitutto, ci suggerisce di ascoltare con docilità il consiglio di una saggia guida spirituale; vi è inoltre il dono della Fortezza che ci dà l'energia per resistere al male che c'è intorno a noi e, tante volte, anche dentro di noi; in seguito, c'è il dono della Pietà che perfeziona il nostro amore e lo dilata oltre l'umana ristrettezza, per poter così amare Dio e il prossimo nostro fino all'eroismo; infine, abbiamo il dono del Timor di Dio, che ci consente di evitare il peccato, non tanto per paura dei castighi, ma per puro amor di Dio.
Preghiamo con fiducia lo Spirito Santo che questi piccoli semi, nella nostra vita, giungano a perfetta maturazione.
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