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La sua dignità di cerniera che collega e, nello stesso tempo, separa l’economia dell’Antico Testamento da quella del Nuovo, lo assimila il più possibile alla vicenda umana del suo straordinario e definitivo successore. Anche la nascita di Giovanni precorre in qualche maniera quella di Gesù. Intanto, come nel caso del figlio di Maria rinnova la meravigliosa attitudine di un Dio abituato a confermare i segni tangibili delle sue migliori promesse attraverso la grazia di nascite impossibili, mediante il soccorso premuroso alla fragilità umana, alla sua impotenza a creare. Giovanni è uno dei tanti figli entrati in case senza speranza. In questi casi quello che conta non è l’idea di una sterilità biologica vinta dal prodigio soprannaturale. Quello che conta sta nell’invito a vedere ogni nascita come il prolungarsi del primordiale impulso della creazione. Nella catena delle generazioni il Dio dell’alleanza plasma la storia. Non gli servono fulmini, pestilenze, catastrofi. Ma solo la fede elementare nella quale ogni madre e ogni padre mettano al mondo un figlio sapendo che la vita nuova viene comunque da Dio.
Ma le storie dei due protagonisti dei tempi nuovi sono parallele nel loro insieme. Luca gioca con abilità a preparare anche per Giovanni un’annunciazione, una gestazione consumata fra i misteri, una nascita costellata di prodigi, un’infanzia assistita dallo Spirito, insomma una biografia spirituale necessaria a portarlo più da vicino possibile al cospetto della dignità del Figlio. Davvero simili in tutto. Eppure differenti nell’essenziale. Giovanni è come Mosè. Vede la terra promessa ma non entra. Giovanni precorre il Nuovo Testamento ma rimane una figura dell’antica Legge. Ma la sua nascita è già il punto di non ritorno di un disegno della salvezza per il quale Dio non mostra pentimenti. L’Agnello è già da qualche parte. Ma anche lo sguardo capace di riconoscerlo. (Giulio Zanchi)