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Lunedì, 24 Settembre 2012 06:22

La misura del Regno

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212"Per via avevano discusso chi fosse il più grande". Chi è il più bravo, il più capace, il migliore tra noi? È l'istinto primordiale del potere che si dirama dovunque, nella famiglia, nel gruppo, nella parrocchia, sul posto di lavoro, tra i ricchi e tra i poveri alle porte della chiesa, tra i potenti e tra gli schiavi. A questo protagonismo che è il principio di distruzione di ogni comunità, Gesù contrappone il suo mondo nuovo. «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo, il servo di tutti». Il più grande è chi non si serve dell'altro, ma lo serve; chi non prende vite d'altri per i suoi scopi, ma suo scopo è la vita di qualcuno; chi saluta anche quelli che non lo salutano. Che il servizio sia la realizzazione più alta del vivere poteva essere vero per Gesù. Ma per noi? Servire: verbo dolce e pauroso insieme, che evoca sforzo e sacrificio, croce e sofferenza. La nostra gioia è comandare, ottenere, possedere, essere i migliori. Non certo essere i servi. E poi, servo "di tutti", senza limiti di gruppo, di etnìa, senza esclusioni, senza preferire i miei amici ai lontani, i poveri buoni ai poveri cattivi. La novità di Cristo: parole mai pensate, mai dette, liberate ora per raggiungere i confini del mondo intero. Sono quelle frasi abissali: o ti conquistano o le cancelli per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vita.

«Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciava dicendo: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me». Accogliere un bambino significa entrare nel suo mondo, grande appena quanto lo spazio dove arriva il grido con cui chiama la madre; il bambino che non basta a se stesso e vive solo se è amato; che riceve tutto e può dare così poco; improduttivo eppure tranquillo davanti al futuro, sicuro non di sè, ma dei suoi genitori; forte non della propria forza, ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre. La sua debolezza è la sua forza. «Se non diventerete come bambini», se non ritroverete lo stupore di essere figli, figli piccolini che sanno piangere che imparano a ridere, figli la cui forza è il Padre, non entrerete nel Regno.

«Chi accoglie un bambino, accoglie me, accoglie il Padre». Mi commuove l'ottimismo di Dio: il bambino è sua immagine; non tanto l'uomo, ma proprio il bambino. L'eterno si abbrevia nel frammento, anche lui vive solo se è amato. L'immagine ultima del vangelo di oggi è Gesù abbracciato ad un bambino. In tutta la sua vita si è "affannato" ad annunciare che Dio è solamente buono, padre che scorge il figlio da lontano e gli si butta al collo, pastore in cerca della pecora perduta, che trova e se la pone sulle spalle. E che a noi non resta che farci prendere in braccio. (E. Ronchi)
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