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Proprio durante la cena pasquale, quando Gesù anticipa con dei gesti sul pane e sul vino e con delle parole ciò che gli sarebbe accaduto nelle ore successive, proprio quando svela che la sua è una vita donata, spesa, offerta fino all’effusione del sangue per i discepoli, questi mostrano di entrare in tentazione e di essere sedotti. Innanzitutto uno di loro tradisce l’alleanza della comunità, la nuova alleanza sancita dal sangue di Gesù, consegnandolo nelle mani dei nemici; Luca ricorda poi che, mentre Gesù a tavola serve i suoi stando in mezzo a loro, questi litigano per sapere «chi poteva essere considerato sopra di loro il più grande»; infine Pietro, la roccia, proclama a Gesù una fedeltà che smentirà per tre volte con un rinnegamento. Sì, nell’ora della tentazione i discepoli soccombono alla prova, mentre Gesù lungo tutta la passione si mostra fedele a Dio e ai discepoli…
Venuto al monte degli Ulivi, durante la lotta spirituale decisiva Gesù invita i discepoli a «pregare per non entrare in tentazione»; lui stesso dà loro l’esempio e prega il Padre, restando pienamente sottomesso alla sua volontà, fino ad accogliere l’arresto senza difendersi, senza opporre violenza a violenza, senza mutare il suo stile e il suo comportamento di mitezza e di amore, ma rimanendo fedele alla verità che aveva contraddistinto la sua vita. Pregando, Gesù è entrato nella sua passione, e pregando ha fatto della morte violenta in croce un atto: ha chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori e, infine, ha invocato Dio dicendogli: «Padre, nelle tue mani consegno il mio respiro» (cf. Sal 31,6). Davanti a Dio, da lui chiamato e sentito come Padre, Gesù ha posto noi uomini e tutta la sua vita, e così è morto: in piena fedeltà a Dio, agli uomini, alla terra da cui era stato tratto come uomo, «figlio di Adamo» (Lc 3,38).
Quella di Gesù è stata una fedeltà a caro prezzo, perché anche in croce è stato nuovamente tentato, simmetricamente alle tentazioni da lui subite nel deserto, all’inizio della sua vita pubblica. Nell’ora conclusiva della sua vita terrena riecheggiano da parte degli uomini parole simili a quelle di Satana: «sei tu sei il re dei Giudei, se tu sei il Cristo, se hai salvato gli altri… salva te stesso!». Ma Gesù non vuole salvare se stesso; al contrario, vuole compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio, ossia amando e servendo la verità. Questo è causa di morte per lui, ma causa di vita per gli uomini tutti!
Quanto a noi che ascoltiamo questo racconto della passione, Luca ci invita a seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce. Allora potremo vedere in lui «l’uomo giusto», riconosciuto tale anche da Pilato, che per tre volte è costretto a proclamare che Gesù non ha mai commesso il male. Guardando a lui, il crocifisso che invoca il perdono per i suoi persecutori e si affida a Dio, entreremo nell’autentica contemplazione, come «le folle che, accorse a quella contemplazione–spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto». E con il centurione faremo un’autentica confessione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto». Sì, Gesù è il Giusto perseguitato, il Figlio di Dio (cf. Sap 2,10-20); è colui che il Padre ha richiamato dai morti in risposta alla vita da lui vissuta, segnata da un amore più forte della morte.
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI