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Con Cristo
misurate le cose
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Con Cristo
misurate le cose
La parabola dei talenti è una lieta notizia contro la paura, che stravolge il rapporto con Dio e rende sterile la vita. L'ultimo servo non ha capito che, affidandogli il talento, il padrone vuole fare di lui un amico; che quel talento è un dono di comunione, un atto di fiducia. Su tutto invece incombe la paura del castigo, e il dono da opportunità si trasforma in incubo. Il servo ha paura di Dio! Ne ha un'immagine orribile: sei duro... tu mieti dove non hai seminato... Errore fatale: si sbaglia su Dio e quindi sbaglia la vita; diviene, invece che amico, schiavo inerte, Adamo senza più giardino. Perché solo quando ti senti amato dai il meglio di te stesso, e mai la paura ti libera dal male. Dio invece sorprende i servi. Non vuole indietro i talenti affidati, raddoppia la posta, la moltiplica: sei stato fedele nel poco ti darò autorità su molto. Non di una restituzione si tratta, ma di un rilancio. Noi non esistiamo per restituire a Dio i suoi doni. Questa immagine, dettata dalla nostra paura, immiserisce Dio. Noi viviamo per essere come Lui, a nostra volta donatori: di pace, libertà, giustizia, gioia. Cose di Dio, che diventano seme di altri doni, sorgente di energie, albero che cresce, orizzonte che si dilata, grazia su grazia. Gloriosa e gioiosa pedagogia di vita. La parabola dei talenti è il poema della creatività. E senza voli retorici. Nessuno dei tre servi crede di dover salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di vite e di olivi, o, come nella prima lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa: fedele nel poco. Il mondo e la vita ci sono affidati come un dono che deve crescere, un giardino incompiuto che deve fiorire. Una spirale di vita crescente è legge alla creazione. Pena il non senso della vita. Dopo la lunga assenza di Dio, la sua lunga fiducia in noi, il giudizio non sarà sulla quantità del guadagno, ma sulla qualità del servizio; non sul numero, ma sulla verità dei frutti. Non esiste una tirannia della quantità nel Regno dei cieli: fedele nel poco. Quel giorno, dice un racconto chassidico, non mi sarà chiesto perché non sono stato come Mosè o Elia o uno dei profeti. Ma solo perché non sono stato me stesso. Devo camminare con fedeltà a me stesso, emozionato e disciplinato servo della vita, vero della verità tracciata in me da Dio. Nessuno è senza talenti. È legge della creazione. E vado avvolto da doni di Dio. Ogni creatura che incontro è un talento, da custodire e lavorare per fare ricca la mia e l'altrui vita. Ognuno è talento di Dio per gli altri. «Come talento io ho ricevuto te». Lo può dire la sposa allo sposo, il figlio al padre, l'amico all'amico: sei tu il mio talento! Poterlo dire a qualcuno, poterlo dire a molti, per entrare così con passo creatore nella liturgia della vita. (E. Ronchi)