La parola evangelica nasce proprio come esercizio di vigilanza. Marco è uno di quelli che ha avuto occhi per vedere. Quando “Gesù Cristo, Figlio di Dio” si è fatto vivo, lui lo ha riconosciuto. Nel suo perfetto atto di perspicacia teologale. Marco è anche uno di quelli che sa tirare subito i fili della storia, sa collegare le trame spesso invisibili di una vicenda che si spiega a partire da fatti lontani, sa gettare ponti fra l’apparente senzazione del presente e i chiari segni del passato. Stava già nella potente visione del profeta Isaia l’idea di qualcosache ora si traduce, sotto gli occhi di tutti, in un fatto evidente. Marco allora esplicita la coerenza di questa storia che, cantata con passione da un antico profeta, si è materializzata nella presenza reale di un mediatore atteso da sempre. Il primo evangelista, veicolo della testimonianza di Pietro, si disinteressa completamente di ricamare sulle origini umane di Gesù, allacciando la storia direttamente nel punto in cui essa manifesta le sue saldature più incandescenti con l’Antica Alleanza di Israele. La Nuova Alleanza irrompe attraverso l’irruente presenza dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento. Il Battista, così Marco lo fa entrare in scena, appare come un personaggio disegnato dalla penna di Isaia, direttamente proiettato dalla sua immaginazione nel cuore di un’alleanza in procinto di rinnovarsi. Di quell’antico spasimo profetico Giovanni conserva tutta la tensione penitenziale, ne eredita l’indignazione, ne prolunga il senso critico, concentrando nell’imminente comparsa messianica l’esigenza di un atteggiamento religioso fondato sulle basi solide di una giustizia anche molto umana e terrena. Giovanni Battista fa ricominciare tutto da qui, da quella conversione con cui, dalla notte dei tempi, il Dio dei profeti chiama la devozione dell’auomo a passare dai sacrifici alla misericordia, dagli olocausti alla giustizia, dalla presunzione di un’appartenenza alla responsabilità di una relazione. A meno di tanto l’avvento del Figlio resterebbe, per l’ennesima volta, un’occasione mancata. La storia va lavata dai molti fraintendimenti con cui essa ha tenuto l’immagine di Dio ostaggio delle caricature umane. Giovanni battezza e offre il perdono appropriandosi di una pratica in auge nel calore spirituale che lo circonda. La fa diventare strumento simbolico di una sorta di palingenesi universale di Colui che deve venire sarà la definitiva chiave di volta e che l’Apostolo Pietro scrivendo con leggittimo ed ingenuo realismo ai suoi cristiani, immagina come un vero dissolvimento della scena terrestre, una fusione al color bianco di tutti gli elementi di fronte alla presenza irresistibile e definitiva del Figlio che ritorna. La voce che chiama nel deserto, attraverso lo strumento riproduttore della liturgia, risuona nel presente di ogni discepolo, echeggia nello spazio di ogni nuovo cammino, ammonisce ancora il battezzato di oggi, mettendogli sotto gli occhi la mai raggiunta corrispondenza alla grazia secondo un battesimo di Spirito. Molto ancora resta da fare. (Giuliano Zanchi)