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Lunedì, 10 Ottobre 2011 19:21

La solennità di San Giovanni Leonardi



101011L’annuale solennità di san Giovanni Leonardi è stata vissuta con intensità nel santuario parrocchiale di Santa Maria in Campitelli che custodisce le spoglie mortali del santo. La festa che quest’anno coincideva con la domenica è stata preparata da momenti di preghiera, ascolto, adorazione. Il Concentus leonardino venerdì 7 ottobre con l’ascolto di alcuni sermoni del fondatore proclamati da Franca Salerno del programma Orizzonti cristiani della Radio Vaticana e accompagnati da intermezzi musicali eseguiti dalla  Ensamble Diego Carpitella dell’Università della Sapienza di Roma diretti dal M° Vincenzo Di Betta. Sabato il vespro solenne in polifonia con l’esecuzione gregoriana dell’inno Salve Joannes legifer e la processione con la reliquia del santo per le vie del quartiere di Campitelli. Domenica giorno della solennità, l’omaggio floreale alla statua del Santo presso l’abside esterno di san Pietro e l’Eucaristia presieduta dal Vescovo Enrico dal Covolo e concelebrata dai nuovi sacerdoti OMD P. Seelan, P. Sekar, P. Santhiyagu e P. Cruz. Durante l’omelia il Vescovo dal Covolo Rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense ha ritracciato la vita delLeonardi seguendo lo schema biblico della vocazione: “la chiamata; la risposta; la missione”. In effetti ha proseguito il vescovo: “Quella di san Giovanni Leonardi fu una risposta senza riserve alla volontà di Dio. E’ proprio questa una linea caratteristica della sua spiritualità: la matura consapevolezza della volontà divina, a cui lui – come il “servo biblico” – non poteva in alcun modo sottrarsi. Di fatto, la certezza di essere uno strumento nelle mani del Signore l’accompagnò sempre, dall’inizio alla fine della sua storia di vocazione”.
Martedì, 20 Settembre 2011 19:13

Professione Temporanea a Napoli



200911 2Domenica 18 settembre durante la celebrazione eucaristicadelle 11,00 nella Chiesa di Santa Maria in Portico a Napoli ha emesso la professione temporanea il novizio Lawrence Arockia Samy. I Voti sono stati emessi nelle mani di P. Rosario Piazzolla Vicario Generale dell’Ordine.


200911Lunedì 19 settembre il Cardinale Paolo Sardi Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, ha presieduto la celebrazione eucaristica nel trigesimo della morte di P. Lucio Migliaccio già XXIX Rettore Generale dell’Ordine della Madre di Dio. Alla cerimonia è intervenuto Il Cardinale Angelo Sodano Decano del Sacro Collegio. Durante l’Omelia il Cardinale Sardi ha mirabilmente intrecciato il vissuto singolare di P. Migliaccio con il Vangelo di Giovanni nel quale Gesù interviene “per la morte dell’amico”. Ci rendiamo conto, ha proseguito il presule citando Epicuro, dell’inesorabilità della morte, ma questa è stata vinta da Cristo con la sua Pasqua. Inoltre, ha ricordato i passaggi della vita terrena di P. Lucio ricchi di esperienza evangelica ed umana definendolo “Uomo dinamico”; “educatore di giovani generazioni”; “uomo di carità”; capace di mettere insieme le forze e le risorse per una solidarietà intelligente, creativa e a tutto campo. Al termine della liturgia animata dal Cappella Musicale di Santa Maria in Campitelli, che ha eseguito brani dello Stabat Mater del Pergolesi, il Cardinale Sodano ha ricordato la profonda amicizia che lo lega a P. Lucio e all’Ordine rinnovando la gratitudine ai numerosi convenuti. Erano presenti oltre i parenti del sacerdote defunto amici e personalità: il Principe Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta Matthew Festing; il Principe Prospero Colonna e molte altre legate ai Comitati Civici di cui P. Migliaccio è stato assistente Nazionale. In Sala Baldini è seguita la Commemorazione del Padre con numerose testimonianze di affetto e vivo ricordo. A nome del P. Generale P. Francesco Petrillo, il Vicario dell’Ordine P. Rosario Piazzolla, ha esortato tutti a continuare l’opera solidale di P. Lucio e la rete di amicizie che egli ha saputo tessere a favore dei bisognosi e dei poveri.
Sabato, 22 Ottobre 2011 17:52

Il prossimo simile a Dio



lsm166Amerai con tutto? con tutto? con tutto? Per tre volte Gesù ripete l’appello alla totalità, all’impossibile. Perché l’uomo ama, ma solo Dio ama con tutto il cuore, lui che è l’amore stesso. Ripete due comandi antichi e noti, ma aggiunge: il secondo è simile al primo. Amerai il prossimo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio, ha corpo, voce, cuore «simili» a Dio. Questo è lo scandalo, la rivoluzione portata dal Vangelo. Ama Dio con tutto il cuore. Eppure, resta ancora del cuore per amare il ma­rito, la moglie, il figlio, l’amico, il prossimo e perfino il nemico. Dio non ruba il cuore, lo moltiplica. Non è sottrazione ma addizione d’amore. La novità del cristianesimo non è il comando di amare Dio: amano il loro Dio molti uomini, lo fanno i mistici di tutte le religioni. Neppure quello di amare il prossimo come te stesso è proprio del cristianesimo, presente com’è nel primo Testamento. La novità del cristianesimo non è l’amore, bensì l’amore come quello di Cristo. Gli uomini amano, il cristiano ama al modo di Gesù. L’amore è Lui: quando lava i piedi ai discepoli, quando piange per l’amico morto, quando esulta per il nardo profumato di Maria, quando si rivolge al traditore chiamandolo amico, e prega per chi lo uccide, e neppure il suo sangue tiene per sé, e ri­comincia dai più perduti, e intende cancellare il concetto stesso di nemico. Amatevi come io vi ho amato. Non quanto, ma come; non la quantità ma lo stile. O rischiamo di esserne schiacciati. Impossibile amare quanto lui, ma possibile seguirne le orme, coglierne il sapore, il lievito, il sale e immetterlo nei giorni: come ho fatto io, così anche voi. Amerai. Tutto il nostro futuro è in un verbo, presentato però non come una ingiunzione, un secco imperativo, ma coniugato al futuro, perché amare è azione mai conclusa, perché durerà quanto durerà il tempo. Perché è un progetto, anzi l’unico. E dentro c’è la pazienza di Dio. Un futuro che traccia strade e indica una speranza possibile. Non un obbligo, ma una necessità per vivere, come respirare. Amare, voce del verbo vivere, voce del verbo morire. Cosa devo fare domani, Signore, per essere vivo? Tu amerai. Cosa farò l’anno che verrà, e poi dopo, per il mio futuro? Tu amerai. E l’umanità, il suo destino, la sua Storia? Solo questo: l’uomo amerà. Amare vuol dire non morire. Va’ e anche tu fa’ lo stesso. E troverai la vita. (E. Ronchi)
Sabato, 08 Ottobre 2011 17:49

La festa del re



lsm165Tre immagini riassumono la parabola di oggi: la prima è quella di una sala vuota, preparata per una festa cui nessuno partecipa. In principio il dono; in principio un Dio inascoltato e ignorato che sogna una reggia piena di volti felici e di canti. Neanche Dio può restare solo. Il suo è come un esodo perenne in cerca dell’uomo, primo di tutti gli esodi da ogni solitudine. In principio un Dio che ha bisogno di dare per essere Dio, che dall’eternità celebra il rito dell’amicizia: «Andate per le strade e quelli che troverete, buoni e cattivi, chiamateli». Disposto perfino a stare in compagnia di gente non all’altezza, inadatta, sbagliata o cattiva. E noi ci aspettavamo che accanto a Dio potessero sedere solo i buoni, i senza peccato, i puri, i meritevoli. Ma Dio non si merita, si accoglie! «E la sala si riempì di commensali». Il paradiso non è pieno di santi, ma di peccatori perdonati, di gente come noi. La seconda immagine è quella delle strade. Se il dono non è accolto e le case si chiudono, il Signore apre strade lungo le siepi. Sono le strade percorse dai servi, ma prima ancora dagli invitati che se ne vanno al pro­prio campo e ai propri affari. La strada è il simbolo della libertà delle scelte: alcuni le percorrono verso la festa, altri verso i campi e gli affari. In queste poche parole è nascosto il motivo del rifiuto: gli invitati sono troppo impegnati per avere il tempo di vivere, seguono una logica mercantile e contabile, estranea alla gratuità del tempo e del dono. Così siamo noi: pronti a dare a Dio qualcosa in cambio di qualcosa (preghiere in cambio di aiuto) ma non a dare e ricevere gratuitamente amicizia. Non ad amare riamati.  La terza immagine è quella dell’abito nuziale. L’uomo che non l’ha indossato non è peggiore degli altri, buoni e cattivi si confondono nella sala stracolma. Ma lui non si confonde con gli altri: isolato, separato, solo, non può godere la festa perché non porta il suo contributo di bellezza. Forse quell’uomo non ha creduto al re: non è possibile che un re inviti a palazzo straccioni e vagabondi. Ha la mentalità di quelli che hanno rifiutato, è lì come se fosse altrove. È il dramma dell’uomo che si è sbagliato su Dio, che non immagina un Regno fatto di festa, convivialità, godimento. Cos’è l’abito nuziale? È Cristo: «rivestitevi di Cristo», passare la vita a vestirci e rivestirci di Cristo, dei suoi gesti e dei suoi doni (E. Ronchi)
Sabato, 01 Ottobre 2011 17:43

Quotidiana vendemmia



lsm164Vigna d’uva selvatica in Isaia, vendemmia di sangue nel Vangelo di Matteo: è la domenica delle delusioni di Dio. Io sono così, vigna e delusione di Dio. Isaia e Matteo raccontano la cura appassionata di chi ha piantato la vigna, l’ha cinta come un abbraccio, vi ha scavato un tino, eretto una torre, e poi l’ha affidata alle cure d’altri: e inizia la storia perenne di un amore e di un tradimento. Da un lato la nobiltà d’animo del padrone, dall’altro la brutalità violenta e stupida dei vignaioli. Eppure il tradimento dell’uomo non è in grado di fermare il piano di Dio: la vigna darà frutto e Dio non sprecherà la sua eternità in vendette. Nelle vigne è stagione di frutti. In noi invece la vendemmia avviene ogni giorno, viene con le persone che cercano pane, Vangelo, giustizia, un po’ di coraggio e una breccia di luce. Cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba? Tutti cadiamo nell’errore dei vignaioli: l’atteggiamento sterile di calcolare e prendere ciò che la vigna (che è lo Stato, la Chiesa, il gruppo, la famiglia, la comunità), gli altri ci possono dare. Anziché preoccuparci di ciò che noi possiamo donare, far nascere e maturare. Ci arroghiamo il ruolo di vendemmiatori, anziché quello di servitori della vita. Anzi, il mio ruolo più vero è quello di una piccola vite, di un tralcio innestato su Cristo, chiamato a dare frutto, senza contare, per la fame e la gioia d’altri. Il sapore profondo di questo frutto è espresso da Isaia: «aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue». Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più op­pressi, sangue, ingiustizia e volti umiliati. «Cosa farà il padrone della vigna, dopo l’uccisione del Figlio?». La soluzione proposta dai Giudei è logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo indietro, ritornare a prima del delitto, mantenendo intatto il ciclo immutabile del dare e dell’avere. Ma Gesù non è d’accordo e introduce la novità propria del Vangelo. Il sogno di Dio non è il tributo pagato, ma una vigna che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, ma grappoli gonfi di sole e di luce. Per questo è ve­nuto Cristo, vite e vino di festa. Su di lui mi fondo, in lui mi innesto, di lui mi disseto, di lui godo. Cresco di lui, che riempie di vita le strade del mondo, di vino buono le giare di Cana.
Venerdì, 16 Settembre 2011 23:37

Lettera del Vicario Generale all’Ordine


160911 2“Inusuale”, così definisce la sua lettera all’Ordine P. Rosario Piazzolla, Vicario Generale. La missiva è redatta in questo tempo nel quale il Rev.mo Padre Generale P. Francesco Petrillo è impedito per motivi di salute. Tutto l’Ordine invoca l’intercessione della Madre di Dio e del Fondatore in attesa di una stabile ripresa del Padre. Nella lettera scansionata dalle citazioni di Qoelet 3, il Vicario riferisce oltre allo stato di salute del P. Generale il cammino dell’Ordine in Italia e nelle Delegazioni, le feste per i nuovi fratelli che entrano nell’Ordine o sono ordinati e fratelli che hanno lasciato la terra per contemplare Cristo in cielo.
Venerdì, 16 Settembre 2011 22:25

In Cile dedicato altare a San Giovanni Leonardi

160911 1A Ñipas, Ranquil (VII regione dal Cile) lo scorso 11 settembre è stato dedicato un altare a San Giovanni Leonardi nella chiesa con titolo "Dolce nome di Maria". La nova Chiesa è stata edificata dopo i danni del terremoto il 27 di febbraio dell’anno 2010. Il parroco di quella chiesa a marzo aveva ricevuto una reliquia del Santo, dal  Vescovo ausiliare Mons. Pedro Ossandon.  Durante il rito la reliquia è stata posta sotto l'altare maggiore. Il giorno precedente tutta la comunità, insieme ad alcuni chierici della Comunità formativa di Santiago, hanno preparato l’evento con una veglia di preghiera e di venerazione delle sante reliquie. In questa occasione gioiosa il Vescovo Mons. Ossandon ha affermato che: “Occorre approfittare perché San Giovanni Leonardi ci chiama alla Pace” (Da Santiago del Cile Javier González Donoso OMD).
Sabato, 24 Settembre 2011 17:55

Discepoli nei fatti


lsm163«Un uomo aveva due figli», e si potrebbe tradurre così: un uomo aveva due cuori. Siamo tutti così, contradditori e incerti, con due cuori: uno che dice sì e uno che lo contraddice. Abbiamo tutti due anime: quella dell’apparire e del fingere per gli altri, e quella dell’essere veri anche se nessuno vede e sa. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, in cui senza contraddizioni avvenga l?incontro perfetto del dire e del fare. Così noi: cristiani solo a parole o con i fatti? Primo attore della breve parabola è il padre, che va? verso i suoi figli, si fa vicino, li cerca, chiede loro di lavorare in una vigna che non dice «mia», ma sottintende «nostra», che al ri­fiuto non si scandalizza e non si deprime. C’è poi un figlio vivo e reattivo, impulsivo, che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, che non ha nulla di servile, libero da sudditanze e da paure. L’altro figlio, che dice e non fa', è invece un adolescente immaturo, che si accontenta di apparire, cui importa non la verità e la coerenza ma il giudizio degli altri. Qualcosa poi accade e viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no. Tutto in una parola: ' si pentì', cioè 'cambiò il modo di vedere' il padre e il lavoro. Il padre non è più il padre padrone cui obbedire o cui ribellarsi, ma colui che progetta il bene della casa, che non ha bisogno di lavoratori ma di figli. La vigna è più che fatica e sudore, diventa il luogo dove, nel vino, è racchiusa una profezia di gioia e di festa per tutta la casa. La differenza decisiva tra i due ragazzi: uno diventa figlio e coinvolto, l’altro rimane un servo esecutore di ordini. Chi dei due ha fatto la volontà del padre? È il passaggio centrale: volontà di Dio non è mettere alla prova l’obbedienza o la coerenza dei figli, è invece una vigna dai grappoli colmi di sole e di miele. Il suo pro­getto, suo e mio, si realizza nei frutti buoni che ognu­no può portare per la vita del mondo. Ciò che Dio sogna non è l?obbedienza o la fatica, ma far maturare la vigna della storia. Se agisci così fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella I lettura, fai viva la tua vita! E il vangelo si diffonderà a partire da tutte le piccole vigne nascoste, dove ciascuno si impegna a rendere meno ari­da la terra, meno soli gli uomini, meno contraddittorio il cuore. (E. Ronchi)
Venerdì, 16 Settembre 2011 17:48

Oltre la giustizia


lsm162Finalmente un Dio che non è un padrone, nemmeno il migliore dei padroni. È altra cosa: è il Dio della bontà senza perché, che crea una vertigine nei normali pensieri, che trasgredisce le regole del mercato, che sa ancora saziarci di sorprese. Intanto è il signore di una vigna: fra tutti i campi la vigna è quello dove il contadino investe più passione e più attese, con sudore e poesia, con pazienza e intelligenza. È il lavoro che più gli sta a cuore: per cinque volte infatti, da uno scuro all’altro, esce a cercare lavoratori. E' questa terra la passione di Dio, e coinvolge me nella sua custodia; è questa mia vita che gli sta a cuore, vigna da cui attende il frutto più gioioso. Eppure mi sento solidale con gli operai della prima ora che contestano: non è giusto dare la medesima paga a chi fatica molto e a chi lavora soltanto un’ora. È vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto, è un’altra cosa, è di più Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l’uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell’uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita d?altri oltre alla mia. Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o che sottrae, ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro. Non fermarti a cercare il perché dell’uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l’accrescimento, l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori. Nel cuore di Dio cerco un perché. E capisco che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meriti, ma conto sulla sua bontà. Dio non si merita, si accoglie. Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace, perché sono l’ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi. Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi capace di gustare il bene. (E. Ronchi)
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