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Archivio luce sul mistero

Archivio luce sul mistero (242)

Mercoledì, 27 Marzo 2013 20:27

Prende benedice e dona

241«Alla mensa è legata la promessa di fare abitare noi nel Cristo e il Cristo in noi: egli rimane in me e io in lui. Ma quando il Cristo dimora in noi, di che mancheremo ancora? Quale bene potrebbe sfuggirci? E, dimorando noi nel Cristo, che altro potremmo desiderare? Che può avere in comune col vizio chi è divenuto splendente a questa Mensa? Quale male potrà resistere a tale cumulo di beni?» (Nicolas Cabasilas, La vita in Cristo). Gesù prende, benedice, spezza e dona, sono i termini dell’Alleanza che compie la Pasqua. Il Signore riprende gli elementi essenziali del pasto rituale ebraico: «In quella circostanza gli israeliti rivivevano innanzitutto l’Esodo, ma con esso anche gli altri eventi importanti della loro storia: la vocazione di Abramo, il sacrificio di Isacco, l’alleanza del Sinai, i tanti interventi di Dio in difesa del suo popolo. Anche per i cristiani l’Eucaristia è “memoriale”, ma lo è in una misura unica: non ricorda soltanto, ma attualizza sacramentalmente la morte e la risurrezione del Signore» (Giovanni Paolo II, giovedì santo 2005). In questa prospettiva si comprende il senso del «benedire-rendere grazie», eucaristia appunto! La Pasqua ebraica è compiuta perché nella consegna di Gesù si manifesta il «si» totale e definitivo del Figlio al Padre ed in questa linea il suo è l’unico, e vero sacrificio.
 

Sabato, 23 Marzo 2013 07:25

La vittoria della vita

240Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. «Volete sapere qual­cosa di voi e di Me? - dice il Signore -. Vi do un appunta­mento: un uomo in croce. Volgete lo sguardo a Colui che è posto in alto».

Il giorno prima, giovedì, l'appuntamento di Dio è stato un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il tuo lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ma Tu sei tutto matto. E Lui a ribadire: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Il cristianesimo è scandalo e follia.

E io, nella vita, di fronte all'uomo che atteggiamento ho? Quanto somigliante a quello del Salvatore? Sono il servitore del bisogno e della gioia di mio fratello? Sono il lavapiedi dell'uomo?

Ve la immaginate una umanità dove ognuno corre ai piedi dell'altro? Dove ognuno si inchina davanti all'uomo, come il gesto emozionante del vescovo di Roma che si inchina, al balcone di San Pietro, al suo primo apparire, chiedendo preghiera e benedizione, dando venerazione e onore a ogni figlio della terra?

La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner).

Dio è così: è bacio a chi lo tradisce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici a me, sacrifica se stesso per me.

E noi qui disorientati, che non capiamo. Ma poi lo stupore, e anche l'innamoramento. Dopo duemila anni sentiamo, come le donne, il centurione, il ladro, che nella Croce c'è attrazione e seduzione, c'è bellezza. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morir d'amore. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.

Fondamento della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: un atto d'amore totale. La croce è domanda sempre aperta, so di non capire. Alla fine però ciò che convince è di una semplicità assoluta:

Perché la croce / il sorriso / la pena inumana?/ Credimi / è così semplice / quando si ama. (Jan Twardowski)

Si fece buio su tutta la terra da mezzogiorno fino alle tre. Una notazione temporale che ha il potere di riempirmi di speranza: perché dice che è fissato un limite alla tenebra, un argine al dolore: tre ore può infierire, ma non andrà oltre, poi il sole ritorna. Così fu in quel giorno, così sarà anche nei giorni della nostra angoscia.

«Ciò che ci fa credere è la croce, ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce, la vittoria della vita» (Pascal).
 
Sabato, 16 Marzo 2013 14:58

Non sono venuto a condannare

239Una trappola ben congegnata, per porre Gesù o contro Dio o contro l'uomo. Gli scribi e i farisei gli condussero una donna... la posero in mezzo.

Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è una cosa, che si prende, si porta, si conduce, si pone di qua o di là, dove a loro va bene. Che si può mettere a morte. Una donna su cui gli uomini possono fare la massima delle violenze, compiuta per di più dagli uomini del sacro, legittimata da un Dio terribile e oscuro, amante non della vita ma della morte. Una donna ferita nella persona, nella sua dignità, nella sua grandezza e inviolabilità. Contro la quale i difensori di Dio commettono un peccato più grave del peccato che vogliono punire.

Gesù si chinò e scriveva col dito per terra... Davanti a quella donna Gesù china gli occhi a terra, come preso da un pudore santo davanti al mistero di lei. Gli fa male vederlo calpestato in quel modo.

«Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei».Gesù butta all'aria tutto il vecchio ordinamento con una battuta sola, con parole taglienti e così vere che nessuno può ribattere.

Nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno. Ecco la giustizia di Dio: non quella degli uomini ma quella di Gesù, il giusto che giustifica, il santo che rende giusti, venuto a portare non la resa dei conti ma una rivoluzione radicale dei rapporti tra Dio e uomo, e di conseguenza tra uomo e uomo. A raccontare di una mano, di un cuore amorevole che ci prende in braccio e, per la prima volta, ci ama per quello che siamo, perdonando ogni errore, sciogliendo ogni ferita, ogni dolore. Più avanti compirà qualcosa di ancor più radicale: metterà se stesso al posto di quella donna, al posto di tutti i condannati, di tutti i colpevoli, e si lascerà uccidere da quel potere ritenuto di origine divina, spezzando così la catena malefica là dove essa ha origine, in una terribile, terribilmente sbagliata idea di Dio.

Va e d'ora in poi non peccare più: ciò che sta dietro non importa, importa il bene possibile domani. Tante persone vivono come in un ergastolo interiore. Schiacciate da sensi di colpa, da errori passati, e abortiscono l'immagine divina che preme in loro per crescere e venire alla luce. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono dare ai fratelli libertà e perdono.

Va', muoviti da qui, vai verso il nuovo, e porta lo stesso amore, lo stesso perdono, a chiunque incontri. Il perdono è il solo dono che non ci farà più vittime e non farà più vittime, né fuori né dentro noi. (E. Ronchi)
 
Sabato, 09 Marzo 2013 07:50

La fiducia che libera dal male

238Ogni volta davanti a questa parabola mi si allarga il cuore, sento gioia e un grande stupore. Qui sento palpitare il cuore di Dio, e tutto il mio vagabondare nel buio.

Il centro della parabola è un Padre buono, che ama senza misura, in modo illogico, quasi ingiusto, forte come una roccia nel saper attendere, dando fiducia e libertà, e tenero come una madre nel saper accogliere.

Questo Padre buono non vuole una casa abitata da servi, obbedienti e scontenti, ma da figli liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli che non si amano, forse perché non si sentono amati, forse perché si credono servi.

Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Il Padre non si oppone, non è mai contro la mia libertà, non la limita, anzi: «se c'è una preferenza nell'amore­passione è proprio verso la pecorella smarrita, perché essa, abbandonando le comodità dell'ovile, si avventura a sperimentare fino in fondo la sua libertà» ( G. Vannucci).

Il giovane parte e fa naufragio, il libero ribelle diventa schiavo. Eppure nel momento in cui la notte è più profonda, lì comincia a spuntare il giorno: «allora rientrò in se stesso: io qui muoio di fame».

E inizia il viaggio di ritorno. Non torna per amore, torna per fame. Non perché è pentito, ma perché la morte gli cammina a fianco. Cercava un buon padrone, non osava ancora, non osava più cercare un padre: «trattami come un servo».

Ma al padre non importa il motivo per cui un figlio ritorna, «lo vide da lontano, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Al solo muovere il piede già mi ha visto; io cammino, lui corre; io parlo: «non sono degno, trattami da servo», lui mi interrompe, per convertirmi proprio da quell'idea. Vuole salvarmi dal mio cuore di servo e restituirmi un cuore di figlio. Il peccato dell'uomo è di essere schiavo invece che figlio di Dio (S. Fausti). Dio è padre solo se ha dei figli, vivi.

«Accettare il perdono di Dio è una delle più grandi sfide della vita spirituale. C'è qualcosa in noi che si aggrappa ai nostri peccati e non lascia che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo» ( H. Nouwen). Accettare l'amore è forse più difficile che darlo.

Il Padre non chiede rimorsi o penitenze, a lui non interessa giudicare e neppure assolvere, ma aprire un futuro di vita. Non è il rimorso, non è la penitenza, non è la paura che libera dal male, non il pareggio tra dare e avere, ma un «di più» di vita, un disequilibrio gioioso, la fiducia, l'abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore. (E. Ronchi)
 
Sabato, 02 Marzo 2013 09:27

Il bene possibile

237Racconti di morte, nel Vangelo, e grandi domande. Che colpa avevano quei diciotto uccisi dalla caduta della torre di Siloe? È Dio che manda il terremoto? Per castigare qualcuno distrugge una città? Gesù prende le difese di Dio e degli uccisi: la mano di Dio non produce morte; l'asse attorno al quale gira la storia non è il peccato. Chi soffre si chiede: che cosa ho fatto di male per meritarmi questo castigo? Gesù risponde: niente, non hai fatto niente. Dio è amore e l'amore non conosce altro castigo che castigare se stesso. Smettila di pensare che l'esistenza si svolga nell'aula di un tribunale, Dio non spreca la sua eternità in condanne, o in vendette. La gente interroga Gesù su fatti di cronaca, ed è chiamata a guardarsi dentro.

Se non vi convertirete, perirete tutti. Due torri gemelle sono crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo letto solo un fatto di cronaca, non un richiamo alla conversione. Se l'uomo non cambia, se non imbocca altre strade, se non si converte in costruttore di pace e giustizia, questa terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e dell'ingiustizia. Gesù l'ha messo come comando che riassume tutto: amatevi, altrimenti vi distruggerete tutti. Il Vangelo è tutto qui. Amatevi, altrimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili. Nella parabola del fico sterile chi rappresenta Dio non è il padrone esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fiducioso: «voglio lavorare ancora un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto».

Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest'albero è buono, darà frutto! Tu sei buono, darai frutto! Dio, come un contadino, si prende cura come nessuno di questa vite, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io sono, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l'anno prossimo porterà frutto». In questo forse c'è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante sono sufficienti a Dio per attendere e sperare. Si accontenta di un forse, si aggrappa a un fragile forse. Per lui il bene possibile domani conta più della sterilità di ieri. Convertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore. Salvezza è porta­re frutto, non solo per sé, ma per altri. Come il fico che per essere autentico deve dare frutto, per la fame e la gioia d'altri, così per star bene l'uomo deve dare. È la legge della vita. (E. Ronchi)
 
Venerdì, 22 Febbraio 2013 13:06

Volto grafia dell’anima

236La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la grafia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di luce. Il volto di Gesù è il volto alto dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e prezioso che è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Teilhard de Chardin). Il volto del Tabor trasmette bellezza: è bello stare qui, altrove siamo sempre di passaggio, qui possiamo sostare, come fossimo finalmente a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravida di luce, dentro questa umanità che si va trasfigurando. È bello essere uomini: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tenebra.

La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come impigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade: - la prima strada è la preghiera ( e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana; - è necessario poi conquistare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei 7 demoni vede la discepola, in Zaccheo vede il generoso...; allenare cioè gli occhi a vedere la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cercando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confermare l'altro che ha luce in sé, allora lui camminerà avanti; - terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati. Il salmo 66 augura: Il Signore ti benedica con la luce del suo volto. La benedizione di Dio non è ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per camminare e scegliere, luce da gustare. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, come Pietro sul monte: è bello essere con te! Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce.
 
Venerdì, 15 Febbraio 2013 16:29

Il male non vince il male

editoriale-OK Le tre tentazioni di Gesù nel deserto, sono le tentazioni dell'uomo di sempre. «Le grandi tentazioni non sono quelle di cui è preoccupato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle, ad esempio, che riguardano il comportamento sessuale, ma quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clément). C'è un crescendo nelle tre prove: vanno da me, agli altri, a Dio. La prima tentazione: pietre o pane? Una piccola alternativa che Gesù apre, spalanca. Né di pietre né di solo pane vive l'uomo. Siamo fatti per cose più grandi; il pane è buono, è nel Padre Nostro, è indispensabile, ma più importanti ancora sono altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni. È l'invito a non accontentarsi, a non ridurre i nostri sogni a denaro. Non di solo pane vive l'uomo! Il pane è buono, il pane dà vita, ma più vita viene dalla Parola di Dio.
Poi il tentatore alza la posta. Da me agli altri: io so come conquistare il potere! Tu ascoltami e ti darò il potere su tutto... È come se il diavolo dicesse a Gesù: Vuoi cambiare il mondo? Allora usa il potere, la forza, occupa i posti chiave. Vuoi salvare il mondo con niente, con l'amore, addirittura con la croce? Sei un illuso! Cosa se ne fa il mondo di un crocifisso in più? Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane, autorità, spettacolo, allora ti seguiranno! Ma Gesù vuole liberare, non impossessarsi dell'uomo, lui sa che il potere non ha mai liberato nessuno. Il male del mondo non sarà vinto da altro male, ma per una insurrezione dei cuori buoni e giusti.
Il diavolo chiede ubbidienza e offre potere. Fa un commercio, un mercato con l'uomo. Esattamente il contrario di come agisce Dio, che non fa mercato dei suoi doni, ma offre per primo, dà in perdita, senza niente in cambio...
L'ultimo gradino è una sfida aperta a Dio, demolisce la fede facendone l'imitazione: «Chiedi a Dio un miracolo». E ciò che sembra essere il massimo della fede, ne è invece la caricatura: non fiducia in Dio ma ricerca del proprio vantaggio, non amore di Dio ma amore di sé, fino alla sfida. Buttati verranno gli angeli. Gesù risponde «no»: «Io so che Dio è presente, ma a modo suo, non a modo mio. Dio è già in me forza della mia forza». E gli angeli mi sono attorno con occhi di luce. Dio è presente, è vicino, intreccia il suo respiro con il mio. Forse non risponde a tutto ciò che io chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve. Interviene, ma non con un volo di angeli, bensì con tanta forza quanta ne basta al primo passo. (E. Ronchi)
 
Sabato, 09 Febbraio 2013 17:00

Dio riempie la vita

235Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono. Senza neppure sapere dove sarebbero andati, dove li avrebbe condotti! Lasciano il lago e trovano il mondo. Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. Un gruppetto di pescatori delusi, indifferenti alla folla eccitata e al Maestro. E Gesù entra con delicatezza nelle loro vite, prega Simone di staccarsi un po' dalla riva. Lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca: «Simone, per favore, ti prego!». Gesù maestro di umanità ci insegna quali sono le parole che, nel momento difficile, trasmettono speranza ed energia: non l'imposizione o la critica, non il giudizio o l'ironia, neanche la compassione. Ma una preghiera che fa appello a quello che hai: per quanto poco; a quello che sai fare: per quanto poco! Pietro, hai una barca, hai delle reti: ripartiamo da questo. Prendi il largo e getta le reti per la pesca. E si riempiono. Dio riempie la vita, dà una profondità unica a tutto ciò che penso e faccio; riempie le reti di ciò che amo e la vita di futuro. Simone si spaventa: «Allontanati da me perché sono solo un peccatore!». Gesù sulle acque del lago ha una reazione bellissima. Non risponde: «Non è vero, non sei peccatore, non più degli altri», non giudica, non minimizza, neppure assolve. Pronuncia due parole: «Non temere. Tu sarai». Ed è il futuro che si apre, il futuro che conta più del presente e di tutto il passato. Non vale la pena parlare del peccato: il bene possibile domani vale più del male di ieri, e le reti piene oggi più di tutti i fallimenti di ieri. Non temere, anche la tua barca va bene! La tua zattera, il tuo guscio di noce, la tua vita va bene per fare qualcosa per gli uomini. Il peccato rimane, ma non può essere un alibi per chiudersi a Dio e al futuro. Gesù dà fiducia, conforta la vita ma poi la incalza, riempie le reti ma poi te le fa lasciare lì. Ti impedisce di accontentarti. Sarai pescatore di uomini. Vuol dire: cercherai uomini, li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un'altra vita! E il miracolo del lago non consiste nelle barche riempite di pesci, non nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai miei difetti, non è deluso di me, ma mi affida il suo vangelo: seguimi, anche tu puoi fare qualcosa per gli uomini e per Dio.
 
Sabato, 02 Febbraio 2013 08:19

Lo stupore inizio della sapienza

234«Fai anche da noi i miracoli di Cafàrnao!». Più che Dio vogliono miracoli, il cielo a portata di mano a garantire salute e benessere. Anch'io preferisco apparizioni e prodigi ai profeti, come loro: assicura pane e miracoli e saremo dalla tua parte! Moltiplica il pane e ti faremo re (Gv 6,15). Gesù stesso ha dovuto affrontare la tentazione dei miracoli: buttati, verrà un volo di angeli a portarti!

Ma Gesù sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone, piuttosto ci si impossessa di loro. Dio invece non si impossessa di nessuno, Dio non invade, si propone.

Perché l'uomo non ama colui chi si impone: sarà anche ubbidito, ma non amato. E Dio vuole essere amato da questi liberi, splendidi e meschini figli.

Non farò miracoli qui, dice Gesù, li ho fatti a Cafarnao e a Betsaida, il mondo è pieno di miracoli eppure non bastano mai, non fanno credere: Gesù risuscita Lazzaro e i farisei decidono non di seguirlo ma di ucciderlo!

Il punto di svolta del racconto è in una domanda: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Che un profeta sia un uomo straordinario, una personalità eccezionale, siamo pronti ad accettarlo. Ma che la profezia sia di casa nella casa del falegname, in uno che non è neanche sacerdote o scriba, che ha le mani segnate dalla fatica, come le mie, che ha più o meno i problemi che ho io, con quella famiglia così così, ci pare impossibile. Ma lo Spirito accende il suo roveto all'angolo di ogni strada. La Parola è dispersa in sillabe in ogni volto. Non sprechiamo i nostri profeti!

Nessuno è profeta in patria: è detto a me che non so più ascoltare con attenzione, guardare con meraviglia le persone di tutti i giorni. L'abitudine ha spento l'incanto.

Eppure non devo cercare lontano per intuire l'eco della voce di Dio, lo scintillio della sua luce: basta che riprenda a guardare con occhi nuovi, come se fosse la prima volta, ciò che credo di conoscere bene: i volti di chi mi vive accanto, il quotidiano ritorno della luce, le parole della preghiera che ripeto distratto, i riti dell'amicizia e dell'amore...

I miracoli accadono davvero. Io li ho visti: ho visto genitori risorgere dopo il dramma atroce di un figlio morto, famiglie disarmarsi e perdonare la violenza subita, donne violate e tradite riprendere a sorridere e ad amare, persone capaci di dare tutto per un familiare o un bimbo sconosciuto, ho visto la primavera. I miracoli sono perfino troppi, per chi ha l'occhio puro. Salviamo lo stupore! È l'inizio della sapienza.
 
Sabato, 26 Gennaio 2013 10:58

I poveri principi del Regno di Dio

233Luca ci racconta la scena delle origini, scena da stampare nel cuore. Lo fa quasi al rallentatore, per farci comprende­re l'estrema importanza di questo momento. «Gesù arrotola il volume, lo consegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui». Ri­suonano le prime parole ufficiali di Gesù, «oggi la parola di Isaia diventa carne»: si chiudono i libri e si apre la vita. Dalla carta scritta al respiro vivo. Dall'antico profeta a un rabbi che non impone pesi, ma li toglie, non porta precetti, ma libertà. L'umanità è tutta in quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Sono i quattro nomi dell'uomo. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo.

Con quattro obiettivi: portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione. E poi con un quinto perché spalanca il cielo, delinea uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l'anno di grazia del Signore», un anno, un secolo, mille anni, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente buono, incondizionatamente buono. I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra. È importante: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. La Buona Notizia non è una morale più esigente o più elastica, ma Dio che si china come madre sul figlio che soffre, come ricchezza per il povero, come occhi per il cieco, come libertà da tutte le prigioni, come incremento d'umano.

Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l'uomo; il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su una umanità ribelle e la riconduce all'ubbidienza, per essere servito, ma il Regno è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, dall'occhio luminoso e penetrante, incamminato nel sole.

Un sublime capovolgimento. Dio dimentica se stesso, non di sé si ricorda, ma di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.

La parola chiave del programma di Gesù è libertà, ripetuta due volte.

Come mi libera Cristo? «Cristo è dentro di me come una energia implacabile, fintanto che tutto il nostro essere non diventa lumi­noso; dentro di me come germe in via di rag­giungere la maturazione; come un sogno di pienezza di vita, indomabile e attivo, un de­siderio di libertà» (G. Vannucci); come un lievito mite e possente che trasforma il mio pianto in danza, il mio sacco in veste di gioia. (E. Ronchi)
 
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