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Archivio luce sul mistero

Archivio luce sul mistero (242)

Venerdì, 05 Luglio 2013 23:04

La casa della pace

editoriale 07-07-13Partono senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi senza nemmeno le cose più utili. Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico a sorreggere il cuore. Senza cose. Semplicemente uomini. Perché l'incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forza o di mezzi, ma nel bruciore del cuore dei discepoli, sta in quella forza che ti fa partire, e che ha nome: Dio. La forza del Vangelo, e del cristianesimo, non sta nell'organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero. Ancora oggi passa di cuore in cuore, per un contagio buono.  Partono senza cose, perché risalti il primato dell'amore. L'abbondanza di mezzi forse ha spento la creatività nelle chiese. Il viaggio dei discepoli è come una discesa verso l'uomo essenziale, verso quella radice pura che è prima del denaro, del pane, dei ruoli. Anche per questo saranno perseguitati, perché capovolgono tutta una gerarchia di valori.  Gesù affida ai discepoli una missione che concentra attorno a tre nuclei: Dove entrate dite: pace a questa casa; guarite i malati; dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio. I tre nuclei della missione: seminare pace, prendersi cura, confermare che Dio è vicino. Portano pace. E la portano a due a due, perché non si vive da soli, la pace. La pace è relazione. Comporta almeno un altro, comporta due in pace, in attesa dei molti che siano in pace, dei tutti che siano in pace. La pace non è semplicemente la fine delle guerre: Shalom è pienezza di tutto ciò che desideri dalla vita. Guariscono i malati. La guarigione comincia dentro, quando qualcuno si avvicina, ti tocca, condivide un po' di tempo e un po' di cuore con te. Esistono malattie inguaribili, ma nessuna incurabile, nessuna di cui non ci si possa prendere cura. Poi l'annuncio: è vicino, si è avvicinato, è qui il Regno di Dio. Il Regno è il mondo come Dio lo sogna. Dove la vita è guarita, dove la pace è fiorita.  Dite loro: Dio è vicino, più vicino a te di te stesso; è qui, come intenzione di bene, come guaritore della vita.  E poi la casa.  Quante volte è nominata la casa in questo brano! La casa, il luogo più vero, dove la vita può essere guarita. Il cristianesimo dev'essere significativo nel nostro quotidiano, nei giorni delle lacrime e della festa, nei figli buoni e in quelli prodighi, quando l'amore sembra lacerarsi, quando l'anziano perde il senno e la salute. Lì la Parola è conforto, forza, luce; lì scende come pane e come sale, sta come roccia la Parola di Dio, a sostenere la casa.
 
Sabato, 29 Giugno 2013 12:07

Dipendenti dal cielo

editoriale 29-06-13Tre brevi dialoghi su come seguire Gesù. Il primo personaggio che entra in scena è un generoso e dice: Ti seguirò, dovunque tu vada!  Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve aver apprezzato l'entusiasmo giovane di quest'uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, ancora strada. Non un posto dove posare il capo, se non in Dio, quotidianamente dipendente dal cielo. Così è Gesù: nudo amore che deve essere amato in nuda povertà. Eppure seguirlo è scoprire una ricchezza che mai avrei immaginato; è diventare ricchi, non di cose, di luoghi o nidi, ma di incontri, di opportunità, di luce. Gesù non ha una casa, ma ne trova cento sul suo cammino, colme di volti amici. Le parole di Gesù sono sempre, anche quelle dure, una risposta al nostro bisogno di felicità. Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E questi risponde: sì. Solo permettimi di andare prima a seppellire mio padre. La richiesta più legittima che si possa pensare, dovere di figlio, compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più dure del vangelo: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Parole che dicono: è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita spenta, una religiosità oscura, tenebrosa, intrisa di paure. Parole dure che sottintendono però: segui me, io ti darò il segreto della vita autentica! Il Vangelo è sempre un inno alla vita, scoperta di bellezza, incremento di umanità. Infine il terzo dialogo: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa. Una richiesta delicata e naturale. È così duro il cammino senza amici e senza affetti! Tutto si gioca attorno a una parola-simbolo: «prima». La cosa da fare prima, indica la priorità del cuore, quello che sta in cima ai tuoi pensieri, il tuo Dio o il tuo idolo. La risposta di Gesù: Non voltarti indietro, non guardare a ciò che ti mancherà, ma a ciò che ti viene donato. Non guardare alle difficoltà, ma all'orizzonte che si apre. Non alla nostalgia, ma alla strada e ai grandi campi del mondo. La fede spalanca orizzonti più grandi. Chi si volta indietro non è adatto al Regno. Ma allora chi è adatto? Chi non si è mai voltato indietro? Non Pietro, non Giacomo e gli altri. Non ce l'hanno fatta i Dodici, come posso pensare di farcela io? Ma Gesù non cerca eroi incrollabili per il suo regno, ma uomini e donne autentici che sappiano sceglierlo ogni giorno di nuovo, che sappiano rispondere «sì», ogni volta, come Pietro, all'unica domanda: mi vuoi bene?
 
Sabato, 22 Giugno 2013 08:59

Una risposta mai finita

editoriale 21-06-13Le folle chi dicono chi io sia? La risposta è bella e sbagliata. Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e di luce, voce di Dio e suo respiro.

La seconda domanda arriva diretta, esplicita: Ma voi chi dite che io sia? Preceduta da un «ma», come se i Dodici appartenessero ad un'altra logica. Scrive Cristina Campo: ci sono due mondi / noi siamo dell'altro.

La terza domanda, sottintesa, è diretta a me: ma tu chi dici che io sia? Gesù non chiede una risposta astratta: «chi è Dio», o «chi sono io»; mette in questione ciascuno di noi: tu, con il tuo cuore, la tua fatica, il tuo peccato e la tua gioia, «Chi sono io per te?» Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nella tua esistenza. Allora chiudere tutti i libri e aprire la vita. Gesù ci educa alla fede attraverso domande, perché niente è ovvio, né Dio né l'uomo, né il bene né il male. Non servono studi, letture, catechismi, ma fame di pane e di assoluto. Ciascuno, che ha Dio nel sangue, deve dare la sua risposta.

Ed è una risposta infinita, mai finita. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui; non è le mie parole ma la mia passione. La verità è ciò che arde. «Il Tuo nome brucia su tutte le labbra: Tu ardi» canta Efrem Siro. Se Cristo non è io non sono. Gesù stesso offre l'inizio della risposta: il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, venire ucciso e poi risorgere. Ecco chi è: un Crocifisso amore, dove non c'è inganno. Che inganno può nascondere uno che morirà di dolore e di amore per te? Disarmato amore che non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero, che non ha assoldato guardie, che i nemici non li teme, li ama. Amore vincente. Pasqua è la prova che Dio procura vita a chi produce amore.

Amore indissolubile, da cui «nulla mai ci separerà» (Rm 8,38). Nulla mai: due parole assolute, perfette, totali. Niente fra le cose, nessuno fra i giorni. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Non è un invito alla rassegnazione, non occorreva Gesù per questo. La Croce è invece la sintesi della sua storia: scegli per te una vita che sia il riassunto della mia vita. Prendi su di te la tua porzione d'amore, altrimenti non vivi. Accetta la porzione di croce che ogni passione porta con sé, altrimenti non ami.

Non un invito a patire di più, ma a far fiorire di più la zolla del cuore, a conquistare la sua infinita passione per Dio e per l'uomo, per tutto ciò che vive sotto il sole, e oltre il grande arco del sole.
 
Sabato, 08 Giugno 2013 21:29

Parole di vita

252Una donna, una bara, un corteo. Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo. Quel buco nero che inghiotte la vita di una madre, di un padre privati di ciò che è più importante della loro stessa vita. Quel freddo improvviso e spaventoso che ti stringe la gola e sai che d'ora in poi niente sarà più come prima.

Quella donna era vedova, aveva solo quel figlio, che per lei era tutto. Due vite precipitate dentro una sola bara. Quante storie così anche oggi, quante famiglie dove la morte è di casa. Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili? Il Vangelo non dà risposte, mostra solo Gesù che piange insieme alla donna, e sono due madri che piangono, sono due vedove. Gesù non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei.

 Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? Gli avevano chiesto. Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile. Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna. Vede il pianto e si commuove, non prosegue ma si ferma, e dice dolcemente: donna, non piangere. Ma non si accontenta di asciugare lacrime. Gesù consola liberando. Si avvicina a una persona che, forse, in cuor suo sta maledicendo Dio: «Perché a me, perché a me? Cosa ho fatto?»

Nessun segnale ci dice che quella donna fosse credente più fervida di altri. Nessuno. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù, il Signore amante della vita, è il suo dolore. Quella donna non prega, ma Dio ascolta il suo gemito, la supplica universale e senza parole di chi non sa più pregare o non ha fede, e si fa vicino, vicino come una madre al suo bambino. Si accosta alla bara, la tocca, parla: Ragazzo dico a te, alzati. Levati, alzati in piedi, sorgi, il verbo usato per la risurrezione. E lo restituì alla madre, restituisce il ragazzo all'abbraccio, all'amore, agli affetti che soli ci rendono vivi, alle relazioni d'amore nelle quali soltanto troviamo la vita.

E tutti glorificavano Dio dicendo: è sorto un profeta grande! Gesù profetizza Dio, il Dio della compassione, che cammina per tutte le Nain del mondo, che si avvicina a chi piange, ne ascolta il gemito. Che piange con noi quando il dolore sembra sfondare il cuore. E ci convoca a operare «miracoli», non quello di trasformare una bara in una culla, come lui a Nain, ma il miracolo di stare accanto a chi soffre, lasciandosi ferire da ogni gemito, dal divino sentimento della compassione.
 
Sabato, 01 Giugno 2013 21:38

La moltiplicazione del cuore

251Mandali via, è sera ormai e siamo in un luogo deserto. Gli apostoli hanno a cuore la gente, ma solo in parte, è come se dicessero: lascia che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Gesù non li ascolta, lui non ha mai mandato via nessuno, vuole fare di quel deserto, di ogni nostro deserto, una casa dove si condividono pane e sogni.

 Per i discepoli Gesù aveva finito il suo lavoro: aveva predicato, aveva nutrito la loro anima, era sufficiente. Per Gesù no. Lui non riusciva ad amare l'anima e a non amare i corpi: «parlava alle folle del Regno di Dio e guariva quanti avevano bisogno di cure». In tutta la Bibbia l'uomo non «ha» un corpo, «è» un'animacorpo senza separazioni.

 Il Vangelo trabocca di miracoli compiuti sui corpi di uomini, donne, bambini. I corpi guariti diventano come il laboratorio del Regno, il collaudo di un mondo nuovo, risanato, liberato, respirante. Diventato casa: «fateli sedere in gruppi», metteteli in relazione tra loro, che facciano casa. Il miracolo della condivisione dei pani e dei pesci il Vangelo non parla di moltiplicazione - inizia con una richiesta illogica di Gesù ai suoi: Date loro voi stessi da mangiare. Ma gli apostoli non sono in grado, hanno soltanto cinque pani, un pane ogni mille persone. La sorpresa di quella sera è che poco pane condiviso con gli altri è sufficiente, che la fine della fame non sta nel mangiare a sazietà, da solo, il tuo pane, ma nello spartire con gli altri il poco che hai, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d'altri.

 Gesù avanza questa pretesa irragionevole e profetica (voi date da mangiare) per dire a noi, alla Chiesa tutta di seguire la voce della profezia, non quella della ragione; di imparare a ragionare con il cuore, il cuore sognatore di chi condivide anche ciò che non ha.

 Dona, allora, anche il tempo che non hai. Non conta la quantità ma l'intensità. E vedrai che il tempo e il cuore donati si moltiplicheranno. Vedrai che torneranno a te ore più liete, giorni più sereni, battiti danzanti del cuore. Tutti mangiarono a sazietà. Quel «tutti» è importante. Sono bambini, donne, uomini. Sono santi e peccatori, sinceri o bugiardi, donne di Samaria con cinque mariti e altrettanti divorzi, nessuno escluso.

 Così Dio immagina la sua Chiesa: capace di insegnare, guarire, saziare, accogliere senza escludere nessuno, capace come gli apostoli di accettare la sfida di mettere in comune tutto quello che ha. Capace di operare miracoli, che non consistono nella moltiplicazione di beni materiali, ma nella prodigiosa e creativa moltiplicazione del cuore.
 
Sabato, 25 Maggio 2013 14:21

Sapienza del vivere

250Trinità: un solo Dio in tre persone. Dogma che non capisco, eppure liberante, perché mi assicura che Dio non è in se stesso solitudine, che l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. C'è in Dio reciprocità, scambio, superamento di sé, incontro, abbraccio.

L'essenza di Dio è comunione.

Il dogma della Trinità non è un trattato dove si cerca di far coincidere il Tre e l'Uno, ma è sorgente di sapienza del vivere: se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per l'uomo. I dogmi non sono astrazioni ma indicazioni esistenziali.

In principio aveva detto: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». L'uomo è creato non solo a immagine di Dio, ma ancor meglio ad immagine della Trinità. Ad immagine e somiglianza quindi della comunione, del legame d'amore. In principio a tutto, per Dio e per me, c'è la relazione. In principio a tutto, qualcosa che mi lega a qualcuno.

«Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete portarne il peso». Gesù se ne va senza aver detto e risolto tutto. Ha fiducia in noi, ci inserisce in un sistema aperto e non in un sistema chiuso: lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera. La gioia di sapere, dalla bocca di Gesù, che non siamo dei semplici esecutori di ordini, ma - con lo Spirito - inventori di strade, per un lungo corroborante cammino. Che la verità è più grande delle nostre formule. Che in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga (Luis De Leon). Che nel Vangelo scopri nuovi tesori quanto più lo apri e lo lavori.

La verità tutta intera di cui parla Gesù non consiste in formule o concetti più precisi, ma in una sapienza del vivere custodita nella vicenda terrena di Gesù. Una sapienza sulla nascita, la vita, la morte, l'amore, su me e sugli altri, che gli fa dire: «io sono la verità» e, con questo suggeritore meraviglioso, lo Spirito, ci insegna il segreto per una vita autentica:

in principio a tutto ciò che esiste c'è un legame d'amore. L'uomo è relazione oppure non è. Allora capisco perché la solitudine mi pesa tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione.

La festa della Trinità è come uno specchio: del mio cuore profondo, e del senso ultimo dell'universo.

Davanti alla Trinità mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero.

Abbracciato, come un bambino.

Abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione.
Sabato, 18 Maggio 2013 07:37

Il respiro di Dio

249Viene lo Spirito, se­condo il vangelo di Giovanni, leggero e quieto come un respiro: «A­litò su di loro e disse: rice­vete lo Spirito santo» (Gv 20,22).
Viene lo Spirito, nel rac­conto di Luca, come ener­gia, coraggio, vento che spalanca le porte, e parole di fuoco (Atti 2,2ss).
Viene lo Spirito, nell'espe­rienza di Paolo, come do­no, bellezza, genio diverso per ciascuno (Gal 5,22). Tre modi diversi, per dire che lo Spirito conosce e fecon­da tutte le strade della vita, rompe gli schemi, è ener­gia imprudente, non di­pende dalla storia ma la fa dipendere dal suo vento li­bero e creativo.
La liturgia ambrosiana pre­ga così: «O Dio, che hai mandato lo Spirito, effusio­ne ardente della tua vita d'amore». Lo Spirito è il de­bordare di un amore che preme, dilaga, si apre la strada verso il cuore del­l'uomo.
Effusione di vita: Dio effon­de vita. Non ha creato l'uo­mo per reclamarne la vita, ma per risvegliare la sor­gente sommersa di tutte le sue energie.
Effusione ardente: lo Spiri­to porta in dono il brucio­re del cuore dei discepoli di Emmaus, l'alta temperatu­ra dell'anima che si oppo­ne all'apatia del cuore.
Meraviglia del primo gior­no: «com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?» Lo Spirito di Dio si rivolge a quella parte profonda, nativa, originaria che è in ciascuno e che viene prima di tutte le divisioni di razza, nazione, ricchezza, cultura, età. La lingua nativa di ogni uomo è l'amore. Lo Spirito non solo ricompone la frattura di Babele, fa di più: parla la lingua comune, di festa e di dolore, di stanchezza e di forza, di pace e sogno d'a­more. La Parola di Dio di­venta mia lingua, mia pas­sione, mia vita, mio fuoco. Ci fa tutti vento nel Vento.
Nella Messa di Pentecoste, ripeteremo parole tra le più forti della Bibbia: del tuo Spirito Signore è piena la terra (salmo 103). È piena. Tutta la terra. Ogni creatu­ra. È piena anche se non è evidente, anche se ci appa­re piena invece di ingiusti­zia, di sangue, di follia. È un atto di fede che porta gioia e fiducia in tutti gli in­contri.
Il mondo è un im­menso santuario. Egli è qui, sugli abissi del mondo e in quelli del cuore. Anche se ci pare impossibile. Entra per porte chiuse, per fes­sure quasi invisibili, mette in moto, suscita energie. Guardati attorno, ascolta gli abissi del cosmo e il re­spiro del cuore: la terra è piena di Dio.
Cerca la bellezza salvatri­ce, l'amore in ogni amore. Piena è la terra. E instan­cabile il respiro di Dio por­ta pollini di primavera e disperde le ceneri della morte.
Sabato, 11 Maggio 2013 08:02

Siede alla nostra destra

248«E, alzate le mani, li benediceva». L'ultima imma­gine di Gesù sono le sue ma­ni alzate a benedire. «E, mentre li benediceva, veni­va portato su, in cielo». Quella benedizione è la sua parola definitiva, raggiunge ciascuno di noi, non è più terminata, non è mai finita. Una in-finita benedizione che rimane tra cielo e terra, si stende come una nube di primavera sulla storia inte­ra, su ogni persona, è trac­ciata sul nostro male di vivere, sull'uomo caduto e sulla vittima, ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite.

Nella Bibbia la benedizione indica sempre una forza vi­tale, una energia che scende dall'alto, entra in te e pro­duce vita. Come la prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «cresce­te e moltiplicatevi». Vita che cresce, in noi e attorno a noi. La benedizione è questa for­za più grande di noi che ci avvolge, ci incalza; un flus­so che non viene mai meno, a cui possiamo sempre at­tingere, anche nel tempo delle malattie e delle delu­sioni.

Una benedizione ha lascia­to il Signore, non un giudi­zio; non una condanna o un lamento, ma una parola bel­la sul mondo, di stima, di e­norme speranza in me, in te, di fiducia nel mondo: c'è del bene in te; c'è molto bene in ogni uomo, su tutta la terra. Di questo voi sarete testi­moni: il Cristo doveva pati­re e risuscitare; nel suo no­me annunciate a tutti la conversione e il perdono. Sono le ultime parole di Gesù, con le tre cose es­senziali: - ricordare la croce e la Pa­squa. L'abbraccio del croci­fisso che non può più an­nullarsi, ci raggiunge tutti e ci trascina in alto con lui. E la Pasqua: i massi rotolati via dall'imboccatura del cuore, come da quella del sepol­cro. E nel giardino è prima­vera.
- la conversione. Non è un comando, ma una offerta; non un dovere ma una opportunità: nascere di nuo­vo. Seguendo Gesù, vedrai, la vita è più bella, il sole più luminoso, le persone più buone e felici.
- il perdono. Non quello di uno smemorato, che di­mentica il male, ma quello di un creatore: che ti fa ri­partire ad ogni alba verso terre intatte; che apre futu­ro, fa salpare la tua vita co­me una nave prima arena­ta.

Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre e nel profondo. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede al­la destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, nella luce dell'alba, «nel­l'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore».
 
Venerdì, 03 Maggio 2013 20:07

Ama e comprendi

246Se uno mi ama. Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante e dirompente del mondo umano: l'amore. Entra nella nostra parte più intima e profonda, ma con estrema delicatezza. Tutto poggia sulla prima parola «se», «se tu ami». Un fondamento così umile, così libero, così fragile, così puro, così paziente. «Se mi ami osserverai la mia parola» e non esprime un ordine, non formula un comando, ma apre una possibilità; non un verbo all'imperativo, ma al futuro e che esprime il rispetto emozionante di Dio, che bussa alla porta del cuore e attende: se ami, farai. E subito rovescia il nostro modo di pensare. Noi avremmo detto: se osservi la mia parola arriverai ad amarmi, senza avvertire che questa logica capovolge il Vangelo, perché vede Dio come uno specchio su cui far rimbalzare i propri meriti, Dio della legge e non della grazia. Un detto medioevale afferma: «I giusti camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano». L'amore mette una energia, una luce, un calore, una gioia in tutto ciò che fai, e ti pare di volare. Volare a osservare la sua Parola, così è scritto, e noi invece abbiamo subito capito male come se Gesù avesse detto: a osservare i miei comandamenti. E invece no, la Parola non coincide con i comandamenti, è molto di più. La Parola salva, illumina, traccia strade, consola. La Parola fa vivere, semina i campi della vita, ti incalza, porta Dio in te.

Solo se la ami, la Parola si accende, porta pane, soffia nelle vele. Solo se hai scoperto la bellezza di Cristo partirà la spinta a vivere il suo Vangelo. Perché la nostra vita non avanza per colpi di volontà ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza. In me l'amore per Gesù sgorga dalla bellezza che ho intuito in lui, dalla sua vita buona, bella e beata. Poi una seconda serie di espressioni: verremo a lui, prenderemo dimora presso di lui, tornerò a voi. Un Dio che ama la vicinanza, che abbrevia instancabilmente le distanze. E prenderemo di­mora: in me il Misericordioso senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora, solo un povero riparo. Ma una cosa Lui mi domanda: essere un frammento di cosmo ospitale. Dio non si merita, si ospita.

Ma se non pensi a lui, se non gli parli dentro, se non lo ascolti nel segreto, forse non sei ancora casa di Dio. Se non c'è rito nel cuore, una liturgia segreta e intima, tutte le altre liturgie sono maschere del nulla. Custodiamo allora i riti del cuore.
 
Sabato, 27 Aprile 2013 08:22

Amare è capire la verità

247Amatevi, come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare (lo fanno molti, dovunque, sempre, e alcuni in un modo che dà luce al mondo) ma amare come Cristo. Con il suo modo unico di iniziare dagli ultimi, di lasciare le novantanove pecore al sicuro, di arrivare fino ai nemici.

La prima caratteristica dell'amore evangelico: amare come Cristo. Non: quanto Cristo, impresa impossibile all'uomo, il confronto ci schiaccerebbe. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile.

Con quel suo amore creativo, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. Amore che ti fa debole eppure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male.

La seconda caratteristica: «Come io ho amato voi». L'amore cristiano è anzitutto un amore ricevuto, accolto. Come un'anfora che si riempie fino all'orlo e poi tracima, che diventa sorgente. L'amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l'amore viene da Dio, non dalla mia bravura: amare comincia con il lasciarsi amare. Non siamo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio.

È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l'ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l'idolo del denaro.

Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo.

Amore guerriero e lottatore.

Ma se il male è contro di Lui allora è agnello mite che non apre bocca.

Terza caratteristica «Amatevi gli uni gli altri»: tutti, nessuno escluso; guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore e chi no. È l'uomo. Ogni uomo, perfino l'inamabile. Gli uni gli altri significa inoltre reciprocità. Non siamo chiamati solo a spenderci per gli altri, ma anche a lasciarci amare: è nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita.

Amore è intelligenza e rivelazione; amare è capire più a fondo: Dio, se stessi e il cuore dell'essere. Come Gesù quando fa emergere la verità profonda di Pietro: «Mi ami tu, adesso?». E non gli importa di quando nel cortile di Caifa, Cefa, la Roccia, ha avuto paura di una serva. Amore che legge l'oggi, ma intuisce già il domani del cuore. E ripete a Pietro e a me: il tuo desiderio di amore è già amore.
 
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