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Con Cristo
misurate le cose
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Con Cristo
misurate le cose
Da un sermone sulla domenica in albis (C. 338)
"A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 5,33)
Vedete carissimi, ciascuna cosa cerca il proprio ordine, la propria disciplina. Infatti, per quanto riguarda la pace, ciò che Dio fece nell’universo, lo realizzò nel mondo più piccolo, nell’uomo che egli ha fatto giusto (Cf. Qo 7,29). Ora nell’ordine divino, dato che i sensi sono sottoposti alla volontà, non vi è tranquillità e pace davanti al peccato. […] Occorre essere in pace con Dio e con se stessi, pace con il prossimo come comanda il Signore, è necessaria la pace tra le nostre famiglie cosicché ne provenga beneficio a colore che le abitano.
Pace ai governanti, perché abbiano davanti ai loro occhi, l’ordine stabilito da Dio ed il suo onore. Ugualmente sia fatta giustizia al povero come al ricco, perché il Signore sta in mezzo a noi. Pace affinché i poveri siano soccorsi.
E finalmente questa pace ha sempre voluta Cristo. Per questo venne dal cielo in un tempo di pace e gli angeli cantarono la pace, apparve ai suoi discepoli e lasciò loro la pace, ma soprattutto sul duro legno della croce egli fu la nostra pace.
Dal sermone sulla sofferenza (C.189)
"Chiunque ascolta queste mie parole sarà simile ad un uomo saggio” (Mt 7,26)
[…] Il Signore oggi ha sparso il sangue come prezzo per la redenzione delle anime. Non ti sembra patire maggior persecuzione da colui il quale, con maliziosa suggestione ed esempio nocivo, o occasione di scandalo, strappa le anime da colui che le ha comprate a caro prezzo e nel cui sangue ogni giudizio spense?
Fuggite da coloro che si riuniscono per impedire la salvezza delle anime. Fuggite dal peccato e da coloro che mettono le loro mani sacrileghe sul Signore della Maestà. Sembrava fosse cessato il tempo della persecuzione, ma è chiaro che né al cristiano, né allo stesso Cristo mancano persecuzioni. I tuoi stessi parenti ed amici sono contro di te! […]
Da un sermone sulla Passione (C.246)
"… E gli mostrò tutti i regni del mondo" (Mt 4,8)
Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno” (Lam 3,19). Lo disse Cristo con la voce del profeta Geremia affinché ci ricordassimo dei suoi dolori e della sua passione.
La passione di Cristo è proposta come un libro nel quale leggiamo ed apprendiamo ogni virtù, come rimedio in ogni nostra tentazione e come uno specchio per conoscere le nostre imperfezioni. Si dice che questo libro è quello che vide san Giovanni nell’Apocalisse segnato con sette sigilli (Cf. Ap 5).
In esso si leggono tutti gli attributi di Dio e tutte le nostre miserie. E si dice anche che era scritto all’interno e all’esterno. Il profeta dice che nel libro trova rimedio, perché fu figurato nel serpente di bronzo e come in uno specchio nel quale è possibile vedere le virtù di Cristo e riconoscere in noi i vizi contrari.
Sulla Divina bellezza (C. 244)
…”E fu trasfigurato davanti a loro” (Mt 17,1)
Tutti desiderno l’umana bellezza e l’amano come ci ricorda la Sacra Scrittura. Alcuni furono da essa accecati perché possiede una grande forza. Per tale motivo alcuni santi passarono la loro vita senza guaradre in faccia nessuno.
Ora se le realtà umane muovono tanto l’uomo ad amarle, come non ci attirerà Dio che è somma bellezza? Ma per parlare della bellezza di Dio è come scorgere le gocce in mezzo la mare e sarebbe più facile perché della sua magnificenza è scritto: “è mia la bellezza dei campi” (Cf Sal 49,11).
In effetti questo campo di cui parla il salmista è l’universo.Cosiché difficilmente si può comprendere tale bellezza. Per questo è necessario ascendere dalle creature al Creatore essendo che queste sono, come affermano alcuni santi, vestigia della divinità.
Contempla dunque la bellezza degli Angeli e dei Santi. Ma tutte queste appartengono a Dio in grado più eminente, poiché egli è origine di tutta la bellezza.
Per questo riflettendo la nobiltà di Dio le creature devono muoverci e attrarci ad amarlo. Come molti per godere della bellezza affrontano tanti disagi, quanto più noi mossi dall’eterna bellezza di Dio?
Da un Sermone sulla parabola delle dieci Vergini (C. 478)
"Le dice Gesù: dammi da bere!" (Gv 4,7)
Non definiremmo noi stolto quel contadino che possedendo un campo pieno di pietre e spine non si mettesse a riordinarlo, ma dirà di farlo a suo tempo? Non sarà giudicato altrettanto insensato colui che, avendo inimicizia mortale con il suo avversario e avendo la possibilità di pacificarsi, dicesse che occorre attendere la debolezza dell’avversario a causa della mancanza di armi e che il nemico ha più forza in sé.
Sarebbe da stimare imprudente colui che dovendo cavare un chiodo dal duro legno, lo rimandasse all’indietro pensando in questo modo di poterlo rimuovere. Infine, sarebbe demenziale che il servo si privasse del favore dei suoi padroni a rischio della propria vita. Così, o anime devote, presumere di se stessi e sprecare davanti a Dio il dono della penitenza. […]
Da una meditazione sulla Passione (C. 245v.)
"Gesù spalmò il fango sugli occhi del cieco" (Gv 9,6)
Afferma [Giovanni nell’Apocalisse] che l’albero della vita i cui frutti erano soavissimi e le foglie di gran virtù per sanare ogni infermità. Quei frutti sono immagine dei benefici spirituali che si ottengono meditando la passione. Le foglie che risanano sono gli sputi, le piaghe, il sangue del Crocifisso. Tali foglie che seppur destinate al tormento, offrono anche ornamento e spandono celeste amore.
Dio stesso volle che fosse custodito il bastone di Mosè con il quale compì diversi prodigi, e volle altrettanto che la Croce fosse anche conservata nella mente umana attraverso la contemplazione perché potessimo ricordare quanto Dio ha fatto per noi. Dopo aver creato ogni cosa Dio scelse il luogo più degno del Paradiso per porvi l’albero della vita. Allo stesso modo la Chiesa fa con l’albero della croce. All’Apostolo Giovanni gli fu mostrata quella grande città che era la Chiesa in mezzo ad essa vi era un albero che aveva dodici buoni frutti per ciascun mese (Cf. Ap 22,2). Questo albero è la croce che possiede infiniti frutti, ma dodici sono molto speciali.
Il primo è dato a coloro che ascoltata la passone ne ottengono luce. Infatti, osserva il salmista: Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti (Sal 33,6). Nel secondo frutto attraverso questa illuminazione spirituale l’anima conosce il suo stato e come il figlio prodigo piange i peccati. Nel terzo frutto viene donata la devozione, la quale non solo è molto utile, ma senza il suo ausilio non si può vivere né rimanere molto tempo nel divino amore. Nel quarto frutto è concessa la fortezza in ogni tribolazione. Nel quinto la fuga dai peccati. Nel sesto la dolcezza nelle tribolazioni. Nel settimo la conoscenza della nobiltà dell’anima. Nell’ottavo la purificazione dei peccati. Nel nono la pienezza della divina dolcezza. Nel decimo veniamo trasformati in Dio. Come afferma nella Scrittura: attirerà a sé ogni cosa (Cf. Gv 12,32). Nell’undicesimo il cuore è riscaldato ed eccitato il fervore. Nel dodicesimo la fiamma del divino amore.
Dal Sermone sulle nozze regali (C.468)
“Gesù gridò a gran voce: Lazzaro vieni fuori!”
Entrando nella sala di nozze per vedere gli invitati, il re scrutando, ne scorge uno senza la veste nuziale, tanto da offendere con la sua presenza il convito. Costoro sono coloro che si recano a ricevere l’Eucaristia con addosso il proprio peccato. […].
Tuttavia entra Cristo nelle loro anime e questi riprendono la strada. Infatti, chi non tremerebbe in un tale convito? Per questo cristiani, chiamandovi il buon pastore alle sue nozze, al suo convito, deponete le seduzioni ed oggi apprendiamo dal Vangelo e dall’Apostolo Paolo come entrare in questo convito. Egli è il buon pastore e vuole riconoscere le sue pecore. Questo desidera realizzare oggi con noi!
Anzi è lui che esorta e invita a queste nozze! Venite dunque e le vostre preoccupazioni non siano gli svaghi o gli affari! Venite, venite con la veste nuziale, solamente per Dio rivestiti di virtù. Affinché giungendo l’ospite alla mensa, possa egli stesso intrattenervi alla sua cena in un convito eterno.
Da un sermome sull’Esaltazione della Croce (C. 500)
"Nostra gloria è la croce di Cristo!"
La croce fu piantata nel mezzo della terra perché ricorda il salmista: in mezzo alla terra Dio ha operato la sua salvezza (Cf. Sal 73,12). E questo perché noi possiamo intendere, o diletti, che la croce del Signore è fissa nel mezzo della nostra umanità, cioè nella nostra anima.
Infatti, la Croce fu piantata nel nostro cuore tante volte. Quando Dio introdusse in noi la sua grazia. Egli piantò la croce in noi nel Battesimo quando fummo rigenerati in questo lavacro benedetto.
La piantò nella confermazione, quando fummo chiamati tra le sue schiere. La radica in noi ancora oggi quando ci confessiamo con viva contrizione.
Pianta la croce ogni volta che si celebra il sacrificio nel santo Sacramento. La innesta continuamente nella mente dei suoi fedeli quando in essi accende il fuoco della sua passione.
Da un sermone sulla domenica in albis (C. 338)
"Venne Gesù stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi! (Gv 20,19)
[…] Stette Gesù in mezzo! E’ stato sempre suo desiderio essere in mezzo alla nostra umanità: quando nacque in un presepe; stette in mezzo tra i due ladroni sulla croce, piantato sulla terra; oggi è in mezzo ai suoi discepoli. Questo per mostrarci, o carissimi, che è lui la regola della vita cristiana.
Pace a voi! (Gv 20,19) Dolce voce, soave voce, poiché come dice la Scrittura: egli dispone le fondamenta della terra (Cf. Pr 8,29). Ora mi voglio soffermare sul senso della pace […]
Vedete carissimi, ciascuna cosa cerca il proprio ordine, la propria disciplina. Infatti, per quanto riguarda la pace, ciò che Dio fece nell’universo, lo realizzò nel mondo più piccolo, nell’uomo che egli ha fatto giusto (Cf. Qo 7,29). Ora nell’ordine divino, dato che i sensi sono sottoposti alla volontà, non vi è tranquillità e pace davanti al peccato. […] Occorre essere in pace con Dio e con se stessi, pace con il prossimo come comanda il Signore, è necessaria la pace tra le nostre famiglie cosicché ne provenga beneficio a colore che le abitano.
Pace ai governanti, perché abbiano davanti ai loro occhi, l’ordine stabilito da Dio ed il suo onore. Ugualmente sia fatta giustizia al povero come al ricco, perché il Signore sta in mezzo a noi. Pace affinché i poveri siano soccorsi.
E finalmente questa pace ha sempre voluta Cristo. Per questo venne dal cielo in un tempo di pace e gli angeli cantarono la pace, apparve ai suoi discepoli e lasciò loro la pace, ma soprattutto sul duro legno della croce egli fu la nostra pace.
Dal Sermone beati gli occhi che vedono (C. 346)
"Allora aprì loro la mente per comprendere le scritture" (Lc 24, 45)
“Beati i vostri occhi che vedono”. Bellissima e degna di considerazione, questa sentenza di Gesù. Quattro cose vi si ossevano. La prima, riguarda gli occhi a cui il Signore si riferisce. La seconda, di che beatitudine si tratta. Cosa vedono gli Apostoli per essere beati? La quarta, in che senso gli Apostoli sono lodati.
Per intendere questa massima dobbiamo tenere presente il ringraziamento che Gesù fa al Padre per aver manifestato attraverso la parola i suoi segreti, nascondendoli ai malvagi (Cf. Mt 11,25).
Così il Maestro, chiamati da parte i discepoli con volto pacato dice loro: beati i vostri occhi perché vedono. Quasi volendo esprimere loro: Beati e felici voi ai quali è fatta tanta grazia, offerto tanto dono, nel vedere cose grandi e comprendere tanti misteri!
Di quali occhi parla il Salvatorie? Non certo quelli del corpo, perché sarebbero stati beati anche i Fariseri che vedevano come gli Apostoli. Gesù parla degli occhi dell’anima, cioè dell’intelletto, nel quale risiede la fede. L’intelligenza umana è come un occhio, attraverso il quale l’anima vede le cose appartenenti alla nostra salvezza.