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Con Cristo
misurate le cose
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Con Cristo
misurate le cose
Dal Sermone nella quarta domenica dopo Pasqua (C.371)
Quanto è grande la bontà di Gesù Cristo verso coloro che lo servono fedelmente. Essi non di meno sono percossi da flagelli e nella stessa tribolazione egli è presente come amorevole padre, li conforta in tal modo che, le persecuzioni appaiono come consolazioni. Se nel Vangelo gli apostoli sono afflitti per la dipartita di Gesù egli subito li consola mostrando loro che: “è bene che io vada, perché se non me ne andrò non verrà a voi il Consolatore” (Cf. Gv 16,7).
Questa parola del Vangelo mi offre l’opportunità di riflettere con voi sulla consolazione che sentono i servi di Dio nel servirlo soprattutto nella sofferenza. Contrariamente, coloro che vivono immersi nei loro piaceri, sentono in sé una grande amarezza […]. Ora fate bene attenzione. E’ stata sempre tra le caratteristiche divine la consolazione per chi è nell’afflizione. Ascoltate cosa dice l’apostolo Paolo: “Benedetto sia Dio che ci consola in ogni nostra tribolazione” (Cf. 2Cor 1,3). Così i numerosi esempi della Scrittura, attraverso gli angeli buoni inviati a Noè e ad Abramo.
[…]Se noi come gli antichi non percepiamo questa dolcezza nella tribolazione, è perché non diamo a Dio la possibilità di operare in noi. Poiché stando ad una causa ne segue un effetto se non impedito. Dio ha sempre fatto questo con anime disposte ad essere tali. Pertanto gustate queste dolcezze. “Gustate e vedete come è buono il Signore” (Cf. Sal 33, 9)[…].
Dal Sermone “Solo Dio acquieta il Cuore” (C. 521)
E’ ufficio del sapiente ordinare e disporre le cose al debito fine, cosicché allontanandosi da quell’ordine, mancano non poco di perfezione e sarà cosa buona e ragionevole, o anime benedette, che il sommo sapiente, il Dio Signore nostro, come ordinatore di tutte le cose, con sommo ed infinito ordine, le abbia disposte in modo che quelle che preferiscono eccedere, non tendono più alla perfezione, ma all’imperfezione, non alla quiete, ma all’inquietudine. […]
Tuttavia, è da notare che essendo ben considerato quest’ordine delle creature per il loro fine ed il loro proprio luogo che, quanto più da esso si allontanano, tanto più si inquietano, patiscono, e si distruggono. In effetti, se tu al cavallo gli dai del cattivo fieno, lo vedrai contristato. Se i pesci abituati alle profondità del mare li conduci ad acque basse, li vedrai sguazzare e contristarsi, se poi li poni all’asciutto ancora peggio.
Se togli l’aria agli uccelli del cielo, se al cane togli la terra e gli dai acqua altrettanto si contristerà! Da questo puoi notare l’importanza del fine che è in ciascuna realtà senza il quale, non potrà chetare ciò che è inquieto, poiché proprietà del fine è placare l’appetito di quella cosa di cui è fine. […].
Ora l’uomo essendo il più nobile tra le creature deve avere un fine ed un luogo nobili. E questi non è altro che il suo Dio. E se le creature nei propri fini si placano, l’uomo potrà farlo solo in Dio. Così anima cara, quando ti allontanerai dal tuo Dio, sarai sempre inquieta […]. Poiché il tuo appetito non potrà essere saziato da altri, se non solo dal tuo Dio.
Sermone sull’onore dovuto ai genitori (C. 244)
Nel precetto onora il Padre e la madre non s’intende solo l’onore che si deve ai genitori. ma anche agli altri superiori, e al contempo la cura che i superiori devono avere verso i sudditi.
Occorre essere soggetti ai superiori come ai propri padri, perché ognuno sia conservato nel proprio stato. Ciò si dimostra dal fatto che i principi e tutori sono come dei padri e ad essi si deve amore, obbedienza e riconoscenza.
Oh quanto agisce male chi trasgredisce con portare odio o non obbedisce e straparli o mormora! Guarda bene che nella trasgressione di questo precetto possono cadere sia i sudditi che i superiori.
Dal sermone (C. 254)
Gli occhi del Signore sui giusti (Sal 33,15). Questa provvidenza è così grande che se appunto Dio li ritira da noi cadremmo a terra come dei bambini che non sanno camminare. Essi sono ritti, quando sono custoditi dalla madre, ma una volta che questa li lascia andare da soli si precipitano, e così Dio nei nostri confronti.
Accade anche che colui il quale vuole far rappresentare la sua immagine in uno specchio, questo sguardo ci fa stare rivolti a Dio.
Così come quando uno vuole vedere la sua immagine, occorre che guardi nello specchio. In effetti, noi non possiamo guardarci da soli, solamente in Dio possiamo ammirare la nostra immagine.
Pertanto occorre accettare che fra la nostra visione e quella di Dio c’è molta differenza. Da parte nostra siamo portati a vedere bassezze o varie cose per conoscenza.
La visione di Dio è produttrice di bene, e questo lo potrai notare nelle parole pronunziate dalla Vergine Maria: Egli ha guardato l’umiltà della sua serva (Cf Lc 1,48)
Dal sermone sulla bontà del consigliarci (C. 322)
Avendo Nostro Signore fornito la bontà umana dell’originale giustizia, e come il freno agisce su un cavallo feroce, così la parte sensibile della nostra umanità si trova soggetta alla ragione, per cui con gran facilità l’uomo si libera dall’amor proprio, ma il peccato è sempre alle porte: “Più fallace di ogni altra cosa è il cuore difficilmente guaribile chi lo può conoscere?” (Ger 17, 9).
Ciò è segno divino che ai medici non è permesso di curare se stessi, né a coloro che guidano di essere al contempo, pastori e pecore. Vedi come l’infinita bontà divina fra gli altri rimedi alle miserie pose quello contro la tirannia dell’amor proprio. E se nelle nostre cose non vogliamo errare occorre che prendiamo qualche buon consiglio.
Per questo afferma la Scrittura: “ Figlio non agire senza consiglio”. Ci viene ricordata così la nostra miseria. Mentre vogliamo costruirci da soli, è conveniente umiliarci davanti agli uomini. E questo perché? “La sapienza si trova presso coloro che prendono consiglio”. Questi sono i veri sapienti. Ed è Dio che regge coloro che con sano consiglio si governano e con tutte le loro azioni lo onorano e lodano.
In quel tempo Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono (Mc 6,1)
Da un sermone sul Paradiso (C.294)
Benedite il Signore voi tutti suoi eletti (Cf. Tb 13,10) […]. Quasi volesse dire riempite i vostri giorni di letizia e lodate il Signore. Beati tutti coloro che amano te Gerusalemme e si rallegrano per la tua pace […]. Benedite la casa di Dio!
Oh casa di Dio risplendente e bella! Io ho amato la bellezza ed il fuoco dove abita la gloria del mio Signore che ti ha creato e ti possiede. A te sospiro lungo il mio pellegrinaggio, giorno e notte, desidera e brama te il mio cuore, a te anela la mente mia, all’amicizia della tua felicità e gloria desidera giungere la mia anima. Io dico a colui che ha fatto te che possieda me, me in te, perché lui ha fatto me e te. Che io mi consumi per la dolcezza di te o patria sì bella!
Oh città del mio Dio! Oh abitazione suprema! Oh luogo di riposo e di pace! Sede della letizia! dimora sopra ogni felicità! Cumulo di delizie! A te sospiro, a te grido, a te supplico e ti dico: Ho Gerusalemme, Casa di Dio, dopo l’amor di Gesù tu sia la mia allegrezza e consolazione, la dolce memoria di te sia refrigerio nella mia amarezza.
Tutti leviamoci di dosso questo fango, stacchiamoci da questo mondo infelice, saliamo in cielo a godere del riposo di Dio, per trovarci in quella suprema luce, ammirare quella incredibile bellezza e starcene con il nostro Dio per sempre. Amen.
Da un sermone nella quinta domenica dopo Pasqua (C.375v.)
Dopo aver ascoltato il Vangelo i nostri animi dovrebbero essere accesi e infiammati nel voler servire il nostro amabilissimo Creatore. Abbiamo ascoltato che se anche colpisce con calamità i suoi servi, è sempre pronto a sostenerli e consolarli in queste situazioni. […]
Così c’insegna come aiutarci nelle tribolazioni, e ancora ci indica tutto ciò che l’anima desidera per essere consolata. Infatti, come afferma la Scrittura: tutto ciò che chiederete al Padre nel mio nome egli ve lo concederà (Gv 16,23). Nota come sia importante essere servo di Dio in quanto egli stesso si sentirà obbligato a concedere quanto si domanderà. […]
Chiedete e otterrete perché la vostra gioia sia piena (Gv 16,24) Ho! Come sarà piena la nostra gioia. Infatti come si dice pieno quel vaso che in sé non ha alcuna parte vuota, così si dirà dell’anima nella celeste patria della gioia, in quanto vedremo faccia a faccia. Non più speranza perché saremo tra le mani di Dio. Nella patria celeste la nostra intelligenza sarà unita per la luce della gloria alla divina essenza.
Qui la volontà sarà rapita dalla profondità dell’amore divino. Qui la memoria si ricorderà dei doni ricevuti. Qui l’occhio, qui l’orecchio, qui il gusto, qui l’odorato, qui il tatto, qui ciò che si desidera, qui ciò che ci irrita, qui le malattie della carne, qui non più nostalgia, non più il mondo.
Oh che gaudio pieno! Oh che dolcezza piena! Signore Dio mio, Gesù mio, chi non domanderà una tale gioia? Chi non la desidererà?
Dal Sermone sul profeta Giona (C.138v.)
Grande fu il grido di Giona dal profondo del mare. Poiché penetrò i cieli e giunse al trono di Dio, dal quale potè ottenere di essere libero ed uscire dalla tempesta. Non pensate che la voce di Giona fosse potente, lo era il suo affetto, grandi erano il desiderio, l’intenzione e le lacrime; grande l’unità di spirito, ed il proposito santo di servire Dio.
Per cui affermò nel suo grido: “con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore” (Gio 2,10). Tale era la preghiera e Dio nella profonda calma gli rispose: “perché chiami?” ( Es 14,15).
Come il profeta che prega: Dal profondo ho gridato al Signore” (Sal 129,1). Dice ho gridato e non grido, per indicarci come seguitare nella perseveranza della preghiera che deve essere insistente. Dice ho gridato per mostrarci la forza della preghiera. Supplicare con fortezza Dio, amarlo con affetto e mostrargli il proprio cuore.
Si dice ancora “dal profondo” sale il grido della preghiera. Fu così potente il grido di Giona che penetrò il cielo, placò Dio, ottenne il perdono, il mare si fece tranquillo ed il pesce lo restituì alla terra. Fu veramente grande ed efficace la voce di Giona. [...]. Dal profondo, dall’intimo del cuore, dalle midolla dell’anima e dall’affetto interiore nasce questo grido. Ma ciò che non viene dal profondo dell’anima da ogni piccola occasione viene abbattutto.
Dal Sermone sulla parabola del granello di senape (C.397)
Per mostrare la regalità di Cristo la grandezza di questa parabola dice per ben due volte a cosa rassomiglierò il Regno dei cieli? (Cf Mc 4,30)
[…] In molte maniere il Regno dei cieli viene indicato da Gesù. In esso è possibile scorgere il Paradiso. Così afferma il ladrone sulla croce, “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Il Regno è innanzitutto il Cristo Santo, il “il re dei regnanti il signore dei signori” (1Tm 6,15). La Chiesa santa che è comunione con il Sangue di Cristo (1 Cor 10,16). Questi si manifesta per mezzo della divina Scrittura, per la grazia e la croce con le quali si giunge alla fede, per l’anima pervasa dalla grazia, sede della sapienza e regina del cielo fra i regni. […]
Come il piccolo granello di senape,
Cristo è piccolo verbo. Egli si chinò su di noi, spogliò se stesso, fu annunziato dai piccoli, tra disprezzo e persecuzioni.[…]. Con la sua piccolezza e grandezza è contemplato in tutti i troni del mondo fondati sopra la terra.
Dal Sermone sulle nozze regali (C.468)
Qual è il convito delle nozze spirituali? Altro non è, che il convito del Santo Sacramento del Corpo del Signore. Perché questi, prima per mezzo della penitenza, ci sposa unendoci a sé attraverso la sua grazia, poi ci nutre con il suo Corpo.
Come per le carni degli animali grassi e forti chi se ne ciba riceve la stessa forza, così da questo alimento divino.
Oh alto segreto! Oh profondo mistero!
Considerate che ciò avviene per il Corpo di Cristo. Coloro che si cibano del suo corpo diventano più robusti, proprio perché, uno degli effetti del Santo Sacramento è dare forza e consolazione interiore, come avvenne per il profeta Elia che fu confortato dal cibo divino, il quale prefigurava questo Sacramento. E che tutto ciò corrisponde al vero, ascolta cosa dice il salmista: “il pane che sostiene il cuore dell’uomo” (Cf. Sal 103 15) e altrove: “per me tu prepari una mensa” (Cf. Sal 22,5). […] Tutto questo manifesta la Chiesa quando canta: “E’ il pane che fornisce delizie al re”. O sacro convito!