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Con Cristo
misurate le cose
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Con Cristo
misurate le cose
Il 9 ottobre nel giorno la festa del nostro fondatore è festeggiato in Nigeria con la professione solenne del nostro chierico Nduka Micheal. L’ Eucaristia è stata presieduta dal P. James Methos, il delegato del Nigeria, ed insieme ai confratelli religiosi, sacerdote, famiglia e fedeli.
Il Chierico Nduka Micheal è nato il 13 Giugno 1982 a Enugu in Nigeria. Ha ammesso il suo voto temporaneo dopo il noviziato il 24 ottobre 2008. Nel suo percorso dei studi Chierico Micheal ha presso la laurea in Filosofia nel Seat of wisdom seminary in Owerri, qui continua ancora la sua quarto anni di teologia. Lo ricordiamo sempre nella nostra preghiera finche il Signore lo accompagna nel suo percorso di formazione.
10 ottobre 2014
La parabola evangelica di questa domenica è rivolta da Gesù in modo particolare ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo (cf. Mt 21,23), cioè a quelli che avevano il compito di reggere, guidare, istruire il popolo appartenente al Signore. Potremmo dire che costoro erano i pastori, i capi della comunità dei credenti. Gesù li invita con forza ad accogliere questa parabola che li riguarda più di tutti gli altri: “Ascoltate!”.Come sempre, le immagini della parabola sono “trovate” da Gesù nel suo quotidiano, nella realtà concreta, attraverso il suo vedere, pensare, contemplare. Il protagonista è un contadino che possiede una vigna, la lavora, la rende bella e la dota di quanto è necessario per fare il vino: una cantina, un torchio e le anfore per contenere il vino. È un vero vignaiolo, che ama la sua vigna; e tutti sanno che per un vignaiolo la vigna, la quale impiega anni per dare frutto, richiedendo tanto lavoro faticoso e tanta cura, è un po’ come una sposa. Non a caso nel profeta Isaia vi è addirittura un canto di un vignaiolo innamorato della sua vigna (cf. Is 5,1-7), oggi scelto come prima lettura della liturgia eucaristica.Proprio in questo testo vi è un particolare evocativo per l’uditorio di Gesù: Dio è un vignaiolo (cf. anche Gv 15,1) che ha Israele come vigna amata, da lui fedelmente coltivata e dalla quale attende frutti (cf. Is 5,2.4). Questo padrone della vigna, Dio, dopo averla piantata strappandola dall’Egitto (cf. Sal 80,9), l’ha affidata a dei vignaioli quali custodi, facendosi distante da essa, come se fosse partito per un viaggio – dice Gesù – che però alla fine prevede un ritorno. Il padrone, dunque, è come assente, e la responsabilità del lavoro è interamente affidata a questi vignaioli, suoi rappresentanti nella sua proprietà.Giunta l’ora della vendemmia, il padrone invia dei servi per ritirare dai gestori della vigna i frutti che gli spettano. Ma per i custodi il padrone lontano diventa un padrone assente, che non interviene più, e dunque sono tentati di sentirsi loro i padroni della vigna. Ecco la tentazione più grande di chiunque è chiamato e poi inviato per un servizio: pensare se stesso come colui che invia, non sentirsi servo ma padrone, presumere di poter agire come il padrone e non più secondo un mandato preciso.Sì, diciamolo, è la tentazione di quanti guidano chiese o comunità: papi, vescovi, presbiteri, abati, priori… A un certo punto la chiesa, la comunità è sentita come se fosse cosa loro; la presenza del Signore sbiadisce e si fa lontana; ed essi, a forza di stare al centro nelle liturgie e nelle riunioni, pensano di tenere il posto che spetta al Signore. Così non si sentono più servi, e “servi inutili” (Lc 17,10), sempre mancanti, ma assolutamente necessari, infallibili nel loro governare, in qualche modo “padroni”.Il vero padrone, invece, è il Signore, che continua a inviare i suoi servi per reclamare i suoi frutti. Ma i vignaioli li scacciano, li colpiscono, li maltrattano, li uccidono: tanti inviati quali porta-parola del Signore, dunque pro-feti che parlano a nome di Dio, ma per questi c’è solo rifiuto, ostilità, persecuzione… È la storia di Israele, certo, della sua ribellione all’amore fedele di Dio, che non si stanca di inviare i profeti; ma è anche la storia della chiesa, perché la tentazione dei pastori della chiesa è la stessa dei pastori di Israele. “Da ultimo mandò loro il proprio figlio, dicendo: ‘Avranno rispetto per mio figlio!’”. E invece ecco che, al solo vederlo, “i contadini dissero tra loro: ‘Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!’”.Così hanno fatto di fronte a Gesù di Nazaret, il Messia e Figlio di Dio (“lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”), e lo farebbero ancora se tornasse… Egli certamente tornerà, e allora vedremo con i nostri occhi ciò che si è visto con la venuta di Gesù sulla terra; ma questa volta la gloria del Signore si imporrà, e quel rifiuto, quelle ferite di cui il Veniente porta i segni sulle mani e nel costato (cf. Gv 20,25-27), narreranno l’amore del padrone, del Signore, per la sua vigna: l’ha amata tanto da accettare che i vignaioli rifiutassero suo Figlio.Qui si dovrebbe leggere la “Leggenda del santo inquisitore” di Dostoevskij, e capiremmo ancora di più, ancora meglio… In ogni caso è Gesù che ci dà la sua interpretazione autorevole e nel contempo paradossale della parabola, ricorrendo all’immagine di un salmo (cf. Sal 118,22-23) per narrare la sorprendente logica di Dio: gli uomini rigettano quella pietra che Dio invece sceglie e rende angolare, fondamento della sua comunità. Quella pietra che è Gesù stesso, il crocifisso risorto.
Commento al Vangelo di
ENZO BIANCHI
Il sabato 18 di ottobre si svolgerá il I Congresso Eucaristico Leonardino dal Ordine in Cile. Questo incontro ha come titolo: “Eucaristia: Missione permanente” perche vuole unire il tema che abbiamo come Ordine quest´anno come anche quello che vive la Chiesa Cilena sulla misione territoriale.Sono invitati tutti quelli persone che servono nelle nostre parrocchie e diverse opere social, anche religiose, diaconi, etc.
Il testo del vangelo odierno è molto breve: una parabola di due versetti, e altri due versetti che contengono considerazioni di Gesù sui destinatari delle sue parole. La parabola è inquadrata da due domande, quella finale (“Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”) e quella introduttiva (“Che ve ne pare?”), presente anche altrove (Mt 18,12). Gesù intende intrigare, coinvolgere quanti lo ascoltano – in questo caso “i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo” (Mt 21,23) –, suscitando la loro risposta. Sono dunque importanti non solo le sue parole, ma anche le parole dei suoi ascoltatori, quelli di allora e quelli di adesso, noi! Cerchiamo pertanto di ascoltare, di pensare, di indagare e di rispondere in verità. Un padre, che ha due figli, comanda al primo di andare a lavorare nella vigna. Costui reagisce male, opponendosi a lui con un atteggiamento di disobbedienza: “Non ne ho voglia”. Poi però quel comando ascoltato, custodito nel cuore, lo porta alla consapevolezza di aver mancato verso il padre, e così egli decide di andare nella vigna. Si era opposto a parole ma poi, pentito (metameletheís, paenitentia motus), va a realizzare la volontà del padre e lavora nella vigna, come questi gli aveva chiesto. Lo stesso comando è rivolto al secondo figlio, il quale risponde subito: “Sì, signore”, ma in realtà non va nella vigna, disobbedendo nei fatti. Insomma, c’è una “volontà del padre” (tò thélema toû patrós: cf. anche Mt 7,21; 12,50) che è realizzata da chi dice “no” ed è contraddetta da chi dice “sì”. Chi sbaglia, chi fa un errore, chi dice “no” a Dio, ha la possibilità di pentirsi, di ritornare a lui. Nessuno che abbia peccato è rinchiuso per sempre nella sua rivolta, ma ha la possibilità di riprendere una relazione, un rapporto venuto meno. Certo, uno sguardo fisso su quell’atto di disobbedienza, su quel “no”, può portarci a un giudizio negativo, di condanna, ma l’uomo va misurato nel tempo, sull’insieme del cammino compiuto, non sull’istante a volte cattivo. Dio, poi, pazienta perché vede e sente in grande, nella sua makrothýmia (cf. Mt 18,26; 2Pt 3,9), e quando ci giudicherà guarderà tutto il cammino percorso, tutta la fatica fatta, non si fermerà sulle nostre cadute… Quanto al figlio che dice: “Sì, signore”, che appare pronto e obbediente al padre, ma poi non realizza la sua volontà, che dire di lui? Spesso noi siamo, ciascuno di noi è così! Purtroppo la nostra vita cristiana è fatta di tante confessioni di fede, di tante invocazioni: “Signore, Signore!” (Mt 7,21.22; Lc 6,46), di tante liturgie in cui ripetiamo continuamente: “Amen!”, cioè “Sì!” al Signore, e poi, abbandonata l’assemblea liturgica, nel quotidiano non facciamo ciò che Dio ci ha chiesto con la sua parola ma ciò che vogliamo noi… Davanti a Dio conta non ciò che di noi appare agli altri, ma ciò che noi facciamo e siamo: Dio vede la nostra coerenza o la nostra ipocrisia di credenti che “dicono e non fanno” (Mt 23,3), come Gesù stesso ha ricordato; ovvero, la nostra doppiezza di persone che hanno in bocca il nome del Signore, mentre in verità il Signore determina poco o nulla del loro vivere e comportarsi. È l’atteggiamento di quei cristiani che dicono di amare Dio e si esercitano anche in “affetti spirituali” per lui, avendo sete di lui, cercandolo, dichiarando il loro ardente desiderio della sua presenza (tutte espressioni dei salmi), ma ignorando e contraddicendo la sua volontà. No – ha detto Gesù – “non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21); “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti … Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama … Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,15.21.23), la metterà in pratica. Alla fine non contano i “sì” o i “no” dichiarati, ma la realtà del nostro vissuto! Ed ecco allora che Gesù fa un’applicazione della parabola per i suoi uditori. Egli dice che i pubblicani, cioè i peccatori manifesti, pubblici, riconosciuti tali da tutti, e le prostitute, donne visibilmente peccatrici, precederanno nel regno di Dio tanti credenti, tanti discepoli. Per quale motivo? Perché, a causa della vergogna per il loro peccato manifesto e del giudizio di condanna che ricevono da parte di molti, sentono il bisogno di cambiare vita, di dire “sì” con la loro vita. Al contrario, molti credenti, con i loro peccati nascosti, non visti, non giudicati, sono onorati da tutti come persone giuste e religiose; per questo non sentono il bisogno di convertirsi, ma anzi custodiscono i loro peccati, li amano e continuano a realizzarli: solo loro ne sono a conoscenza, perché dovrebbero cambiare? E così la loro vita, anche se apparentemente impeccabile, è di fatto un “no” a Dio! Questo è successo con Giovanni il Battista – dice Gesù –, quando i peccatori pubblici hanno ascoltato la sua predicazione e gli hanno creduto; questo è successo anche con Gesù (non a caso definito dai suoi avversari “amico di pubblicani e di peccatori”: Mt 11,19; Lc 7,34) e la sua buona notizia; questo succede ancora oggi, tra di noi, nella chiesa. Sì, alla buona notizia di Gesù e del suo Vangelo rispondono più facilmente i peccatori pubblici, riconosciuti, che le persone religiose e apparentemente “giuste”, le quali non sono spinte a cambiare nulla della loro vita.
Commento al Vangelo di
ENZO BIANCHI
Nuovo incontro di Formazione Permanente a Roma nella nostra comunità di Campitelli dal l9 al 11 & dal 16 al 18 Ottobre con due sessioni sulla cura della comunicazione a livello comunitario e pastorale. A condurre questi giorni Prof. Tonino Solarino e la Dottoressa Rosaria Lisi del gruppo Paideia, psicologa, psicoterapeuta e biblista che con le sue competenze ha aiutato i partecipanti a comprendere e attuare una comunicazione efficace attraverso un ascolto empatico e un comunicare rappresentativo che sappia esprimere con chiarezza e verità i propri sentimenti. Attraverso momenti teorici seguiti ad esercitazioni pratiche e laboratorali, tutti hanno compreso la difficile arte del comunicare ma anche la necessità per una efficacia comunicativa che ci aiuti a essere testimoni autentici del vangelo della gioia e della comunione in comunità come in parrocchia o altri contesti pastorali. Una sessione è stata dedicata al parlare in pubblico, contestualizzato principalmente alla pratica omiletica ed un altro ad un approccio psicologico al testo biblico della guarigione del sordomuto (Mc 7, 31-37) in vista di una Lectio umana e divina che sia veramente fruttuosa nella vita e della comunicazione quotidiana. Sono stati giorni veramente belli e proficui, certamente stancanti ma carichi di stimoli e di elementi concreti attuabili nella nostra vita. Si è respirato un clima di serenità e di cordialità incorniciato da una preghiera semplice e ben curata veri spazi di una comunicazione, speriamo efficace con il Signore.
Nella Festa della Santa Croce 14 settembre 2014 nella Chiesa di Santa Maria in Portico in Napoli ha emesso la professione solenne nelle mani del Rev.mo P. Generale P. Francesco Petrillo il Chierico Lawrence. P. Generale nell’omelia ha narrato che è l’incontro tra due libertà: la libertà del Cristo che da deciso di introdurre Lowernce nella sua intimità; la libertà di Lawrence che, docile alla chiamata del Signore, si è offerto al suo servizio.
Lawrence proviene dalla Delegazione indiana dell’Ordine della Madre di Dio, ha iniziato la sua prima formazione nella comunità di Samayapuram e di Madurai dove ha compiuto gli anni di postulato .poi è stato mandato nella comunità formativa di Napoli ha percorso l’itinerario della formazione religiosa Noviziato poi insieme a quella accademica in teologia. Nella Comunità Napoli ha espletato le ultime tappe formative che oggi lo portano a compiere il segno della Professione Solenne che chiude un percorso e ne apre un altro alla piena sequela di Cristo.
Nei riti della Professione solenne si manifestano appieno i segni di quella sequela del Signore che San Giovanni Leonardi ha vissuto e che ha lasciato come carisma nell’Ordine. Così il P. Generale durante l’omelia ha riferito che: la Parola di Dio oggi ci dice, mette in piena luce che la persona di Lawrence da oggi è definita da una relazione: la relazione a Gesù, rivelazione del Padre. Anzi, la cosa è così profonda che al suo nome aggiungerà: "del Volto di Cristo". La vita di Lawrence da questo momento in poi è una vita vissuta nella fede. Essa infatti è l’incontro della nostra persona col mistero di Dio rivelato da Gesù sulla Croce. Credere significa accogliere docilmente l’iniziativa di Dio che in Gesù si allea colla persona umana, liberandola da ogni idolo, ed introducendola gradualmente nell’intimità divina. Il cammino di Lawrence sarà semplicemente un cammino di fede.
Le Comunità di Roma, Torre Maura, Lariano, Lucca, San Ferdinando e Santa Brigida si sono strette intorno a Lawrence per celebrare insieme la gratitudine e la gioia per la sua consacrazione.
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Festa della Santa Croce
Quando noi cristiani pensiamo alla croce, vediamo in essa soprattutto un legno che è strumento di esecuzione capitale, un supplizio che racconta tortura, sofferenza, morte. Questo, in effetti, è la croce della storia degli uomini, la croce che Cicerone e Tacito descrivono come “crudelissimo supplizio”, la croce di cui la Torah parla come luogo di morte riservato a chi è considerato nocivo per la società umana, dunque un maledetto da Dio e dagli uomini (“Maledetto chi è appeso al legno”: Gal 3,13; cf. Dt 21,23). Ebbene, dobbiamo confessare che nella storia tanti sono stati crocifissi, uccisi con violenza inaudita e sempre nuova, perché giudicati pericolosi per la società da parte del potere religioso e politico, che in questi casi facilmente vanno a braccetto. Si pensi alla crocifissione inflitta agli schiavi dell’antichità, alla tortura nelle carceri delle diverse comunità politiche rette da ideologie e tiranni…Proprio per questo non sempre comprendiamo nella sua verità la croce di Cristo: non è infatti la croce ad aver dato gloria a Gesù, ma è Gesù che ha vissuto anche la croce in modo da rendere questo strumento mortifero segno ed emblema di una vita offerta, spesa, perduta per amore, un amore vissuto “fino all’estremo” (eis télos: Gv 13,1) nei confronti degli uomini, anche dei suoi carnefici. Per far comprendere questa verità ai cristiani e per non confinare la croce all’interno di una visione dolorista, la chiesa ha sentito il bisogno di celebrarla anche in un giorno diverso dal venerdì santo, al fine di raccontare la gloria che, grazie a essa, Gesù ha mostrato: la gloria dell’amore. Così nel IV secolo a Gerusalemme è sorta questa festa che la chiesa cattolica e quella ortodossa celebrano ancora oggi il 14 settembre: festa che, essendo solenne, prevale sulla 24a domenica del tempo ordinario di quest’anno.La croce gloriosa, la croce nella gloria: non uno strumento di morte può essere glorioso, ma ciò che è diventato come simbolo, ciò che Gesù ha vissuto sulla croce deve essere visto e sentito come glorioso. “Gloria” (kabod) è un termine che nell’Antico Testamento indica il peso, dunque la gloria di Dio è il suo peso nella storia, è la traccia della sua azione, del suo Regno. Gesù, che ha accettato questo supplizio da parte dell’impero totalitario romano istigato dal potere religioso giudaico, lo ha fatto mostrando tutta la sua gloria: gloria-peso del suo amore vissuto fino all’estremo. Sulla croce, certo, Gesù umanamente appare un reietto, un riprovato, un condannato sofferente e impotente, ma in verità egli mostra la gloria, il peso che Dio ha nella sua vita. Quel Dio Padre che sembrava averlo abbandonato, in realtà, essendo obbedito nella sua volontà di amore da parte di Gesù, mostra nella vita del Figlio tutta la sua gloria. L’orribile croce diventa così un segno luminoso; l’essere issato in alto, su un palo, racconta il regnare di Gesù, esaltato da Dio (cf. anche Gv 8,28; 12,32-33); la corona di spine sul capo di Gesù rivela la sua qualità di Re che serve quell’umanità che lo rifiuta; le sue ferite nelle mani, nei piedi e nel costato mostrano come Gesù ha accolto la violenza, senza vendetta né rivalsa, interrompendo così la catena dell’odio, dell’inimicizia, della violenza (cf. Is 53,5-6.12).Per questo il quarto vangelo, il vangelo “altro”, che ha un’ottica diversa dai sinottici, legge la passione di Gesù come evento di gloria, legge la crocifissione come intronizzazione del Messia, legge le bestemmie dei presenti quali titoli che riconoscono la vera identità di Gesù: egli è “il re dei Giudei” (Gv 19,19), nome che viene scritto e proclamato in ebraico, greco e latino, le tre lingue dell’oikouméne, le quali affermano dunque “il suo vero Nome che è al di sopra di ogni nome” (cf. Fil 2,9).Non solo nei vangeli sinottici (cf. Mc 8,31 e par.; 9,31 e par.; 10,33-34 e par.), ma anche nel quarto vangelo la croce è stata profetizzata da Gesù come “necessitas” in questo mondo ingiusto, in cui l’uomo giusto finisce per essere rifiutato, condannato e ucciso. Aveva infatti detto a Nicodemo che, come nel deserto era stato innalzato da Mosè un segno di salvezza per Israele (cf. Nm 21,4-9), così sarebbe stato innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque guardasse a lui con fede e invocazione potesse trovare la vita. E non aveva forse anche detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)? Ecco chi è colui che attira: un uomo che si manifesta non come un superuomo, nella potenza e nel trionfo mondani, ma un uomo sfigurato e colpito dagli ingiusti (cf. Is 53,2-3) semplicemente perché egli è il solo giusto capace di dare la sua vita per gli altri.La croce gloriosa di Gesù è il segno di come Dio ci ha amati: suo Figlio è steso su un legno a braccia aperte, è un servo, è uno che ha offerto la vita e che vuole abbracciare tutti. Preghiamo dunque con fede:O croce,su te Cristo ha trionfatoe la sua morte ha distrutto la morte.Tu sei il vessillo del Re che viene,e viene presto nella sua gloria!
(Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI )
I primi giorni di Settembre, con la ripresa della vita sociale e le attività parrocchiali, i Chierici Regolari della Madre di Dio sono pronti a festeggiare e ringraziare il Signore per averli chiamati in questa piccola Barchetta, dedicata alla Vergine Maria e proprio a lei si rivolgono per dire grazie perché in questi molteplici anni il suo manto non si è accorciato e il suo rifugio non si è rimpicciolito, al contrario si è allargato per accogliere fratelli di diversa provenienza geografica.
Il 1 Settembre rimane per tutti noi dell’Ordine, una data davvero significativa che ci spinge e ci pungola anno dopo anno, a desiderare di vivere le origini con una fedeltà creativa a passo con i tempi, proprio come ci ha insegnato San Giovanni Leonardi.
Quest’anno festeggiando i 440 anni dalla fondazione, si sono riuniti il Consiglio Generale e i Delegati del Chile, dell’India e della Nigeria.
E’ stato questo il secondo incontro (il primo c’è stato nell’agosto del 2012), davvero sorprendente per il clima di ascolto e di serenità, di dibattito e di franchezza, di preghiera e di fraternità. Tutto a ritmi serrati e veloci che certo hanno procurato stanchezza ma anche ristoro e fiducia per il futuro.
Siamo antichi di 440 anni ma pieni di vitalità, siamo antichi eppure nuovi, poiché, ci siamo ridetti, vogliamo narrare anche noi il Vangelo della gioia, che papa Francesco ci ha additati.
Nei tre giorni importanti (dal 1 al 3 Settembre) che si sono succeduti sono state presentate dopo la relazione del Rev.mo p. Generale, P. Francesco Petrillo, quelle di ciascun Delegato, ciascuna nella sua propria lingua (una grande novità!): p. Alejandro Abarca per il Chile, p. Lurdu Raja per l’India, p. James Methos per la Nigeria.
Sono state riportate anche due testimonianze delle nuove comunità aperte: p. Carlos Mendez ha raccontato della Colombia e p. Bastin ha presentato le prime impressioni in terra indonesiana.
Ad ogni Relazione (che presentava una verifica del biennio trascorso, alcune prospettive al futuro e alcune domande aperte) è corrisposta un confronto franco e sereno e un discernimento in vista del prossimo biennio.
Globalmente si è visto un cammino più unitario e un’attenzione decisamente maggiore e di qualità verso la Formazione Permanente vissuta in conformità alle richieste fatte dal 110° Capitolo Generale; l’anno delle Costituzioni è stato visto come una grande opportunità di conoscenza e di invito all’Osservanza; lo spirito di evangelizzazione e pastorale delle diverse attività; la voglia di essere Delegazioni più autonome dal punto di vista economico (tranne che per il Chile che lo è da diverso tempo); le problematiche cogenti che richiedono una attenzione e una cura più forte; lo Statuto delle Delegazioni si è rivelato uno strumento utile di governo e di comunione, anche se potrebbe essere migliorato.
A queste Relazioni se n’è aggiunta una ulteriore fatta dal Rev.mo padre Vincenzo Molinaro Economo Generale (un’altra novità dell’evento): al di là delle entrate e delle uscite e delle cifre, si vede il grande sforzo per la formazione e soprattutto la grande mano della Provvidenza che si manifesta nell’apporto economico di tantissime persone oltre che delle nostre comunità. Per il futuro, tuttavia, si dovranno fare scelte più oculate e sicure e soprattutto rendere autonome le Delegazioni, anche se un primo passo è stato fatto con la English School in India e la Scuola per l’infanzia ad Amakoia in Nigeria.
E’ stato anche una bella sorpresa sapere che non abbiamo molte proprietà e che viviamo una povertà in tempo di crisi, che ci mette proprio in sintonia con gli uomini del nostro tempo e che incontriamo nelle nostre parrocchie, un motivo in più per affidarci nelle mani del Signore certi che darà il sovrappiù a chi prima cerca il Regno di Dio.
Altre tematiche affrontate riguardano la Casa Internazionale di studi e formazione a Roma che è stato da tutti riconosciuto come uno strumento utile in vista della comunione e della multiculturalità alla quale ci siamo aperti.
Sebbene non manchino problemi (logistici, economici, relazionali) è un esperienza che va continuata e che darà frutti al tempo opportuno.
Si è ribadito inoltre che sia una Casa per preti o professi solenni mentre la formazione iniziale sia svolta nelle diverse Delegazioni, tanto più che sono ora sono state preparate, non senza sforzi, i diversi formatori.
Si è ipotizzata (anche se qualche accenno era stato fatto nel Capitolo Generale del 2010) la concreta possibilità di una Delegazione Italiana e/o di trasformare alcune Delegazioni in Provincie (con tutto ciò che comporta).
Infine, si è presa consapevolezza che fra meno di due anni ci sarà il prossimo Capitolo Generale che va preparato per tempo mettendo insieme: obiettivi che si vogliono realizzare, risoluzioni di alcune problematiche istituzionali (es. Delegazioni, internazionalizzazione del Consiglio Generale…), stile di vita in conformità alla nuova evangelizzazione.
Da sfondo, come già additato nel 110° Capitolo ci sarà la Vergine Maria, Discepola di Cristo, Madre e nostra Patrona e il religioso omd discepolo di Cristo.
In questo senso il 2016 sarà quasi un anno mariano di preghiera, di studio, di proposte per questo aspetto del carisma ultimamente un po’ trascurato. Esso sarà preceduto dalla Visita fraterno, altro luogo opportuno di verifica, di rilancio, di discernimento e di proposta.
Ci sono molti modi di festeggiare. Il brindisi del 440° anno è un lungo ringraziamento
alla Madre di Dio per i favori accordati al Santo Fondatore e ai suoi figli attraverso i secoli e in questo nostro tempo, tempo di grazia e di missione.
Il 14 Settembre 2014 ore 10,30 in S. Maria in Portico -Napoli.Sarà occasione per noi di stringerci intorno Lawerence per rivivere la nostra consacrazione e ringraziare il Signore per il dono di avere un altro confratello che cammina con noi sulle orme di S Giovanni Leonardi, sotto la protezione della Madre di Dio.
Quattrocento anni fa: l’unione con le Scuole Pie È del 14 gennaio 1614 il breve di Paolo V che stabilisce l’unione fra i Chierici riformati della Beata Vergine fondati a Lucca dal Leonardi è l’opera delle Scuole Pie istituita dal Calasanzio. Si compiono in questi giorni i quattrocento anni dall’unione. L’avvio dell’opera non fu facile: tra il 1604 e il 1612 (anno in cui la scuola venne trasferita presso la chiesa di San Pantaleo) si avvicendarono all’insegnamento nella scuola oltre ottanta maestri, ma di questi solo quattro o cinque rimasero a lungo legati a Calasanzio. Per assicurare un futuro alla sua scuola, il fondatore pensò di legare la sua congregazione all’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio di Giovanni Leonardi e papa Paolo V sancì l’unione delle due famiglie religiose il 13 giugno 1614; ma l’insegnamento non era tra le finalità principali dei leonardini e l’unione non si rivelò proficua né per loro né per le scuole, così nel 1616 Calasanzio fondò una nuova scuola a Frascati e chiese al pontefice di sciogliere l’unione (cosa che avvenne il 6 marzo 1617).
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12 Carta Conjunta ESP
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12 Carissimi confratelli orig ITA
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12 letter IN GL
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12 Lettre conjointe FRANC