Curia Generale dell'Ordine
Rev.mo Padre Generale P. Luigi Antonio Piccolo OMD
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P. Rafael Andres Pereira Barbato OMD
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Il P. Generale, il suo Consiglio e l'Ordine tutto, esprimono il cordoglio a P. Alejandro Abarca OMD per la perdita del papà Sig. Raúl Abarca di anni sessanta, uomo semplice di grande fede e lavoratore. Affiliato all'Ordine. Assicuriamo a lui i benefici spirituali, mentre eleviamo la preghiera di suffragio e l'intercessione della Madre di Dio e di San Giovanni Leonardi nostro Padre.
Il Venerabire Servo di Dio Cesare Franciotti OMD nasce a Lucca il 3 luglio1557 da Michele Franciotti e da Maria Bertolini. La nobile famiglia vantava relazioni parentali con papa Sisto IV Della Rovere (1414-1484) e con il cardinale Galeotto Franciotti (1471-1507) che, sotto il pontificato di Giulio II (1443-1513) diede nobile lustro al casato. Il servo di Dio visse l’infanzia nell’agio nobiliare, ma anche nel rigore e nell’esercizio dei sani principi evangelici. I testimoni descrivono Cesare «di indole buona e di carattere vivace», tuttavia legato da soggezione e rispetto alla sua famiglia. Si distinse fra i figli di Michele Franciotti per l’ingegnoso acume e la profonda preparazione umanistica. Le prime testimonianze lo ritraggono assorto contemplatore del divino mistero eucaristico, oggetto della sua futura riflessione teologica e spirituale. Alla regola di San Domenico Cesare desiderava legare la vocazione che sentiva sorgere nell’animo. All’età di quindici anni il 2 Luglio 1572, il padre lo indirizzò presso i domenicani del Convento di S. Romano a Lucca sotto la guida di P. Paolino Bernardini (1518-1585), nobile lucchese e riformatore dell’Ordine negli Abruzzi. La vocazione del servo di Dio fu saggiata dalla prova per il rifiuto paterno e per i progetti che altri avevano su di Lui. In questi anni è decisivo l’incontra con San Giovanni Leonardi (1541-1609) fu lo stesso Michele Franciotti a sceglierlo come precettore per il figlio. Presso il Leonardi, Cesare apprese l’esercizio delle virtù cristiane, l’orazione mentale, la contemplazione affettiva dei misteri divini, l’umiltà, la mortificazione, l’obbedienza, la povertà; ma sarà l’assidua frequenza dei sacramenti: la confessione e la comunione, allora concessa di rado, che forgeranno il teologo e l’apostolo dei Chierici Regolari della Madre di Dio fondati a Lucca dal Leonardi il 1 settembre 1574. Cesare divenuto sacerdote nel 1581 fu apprezzato per la finezza della sua predicazione. La sua voce richiamò le coscienze e fece risuonare la bellezza del Vangelo e la devozione eucaristica nei borghi sperduti, tra gli ultimi, ma anche fra i nobili pulpiti delle cattedrali italiane: Lucca, Siena, Firenze, Roma, Napoli. Una «predicazione che rigenera il cuore e lo prepara alla conversione» testimoniò il Cardinale Cesare Baronio (1538-1607) con il quale il servo di Dio strinse amicizia e al contempo, ricevette la personale stima di San Filippo Neri (1515-1595) che lo accolse insieme al Leonardi nella Chiesa di San Girolamo della Carità nel 1584. La fama del mite e coraggioso predicatore cresceva, e riceveva la stima di numerosi ecclesiastici impegnati nell’ambito della Riforma Cattolica tra i quali il Vescovo di Rimini Giovanni Battista Castelli (+1583) discepolo di San Carlo Borromeo (1538-1584) e Visitatore Apostolico; l’Arcivescovo di Bologna Alfonso Paleotti (1531-1610) ed altri. Nel 1588 studia teologia presso il Collegio Romano. Di ritorno a Lucca nel 1591 il servo di Dio fu eletto Rettore della Casa Madre al posto del Leonardi a causa delle numerose persecuzioni e vessazioni che la piccola Congregazione subiva dai concittadini. La recente esperienza dell’oratorio filippino di Roma, lo spinse a fondare la «Scuola di Santa Maria Corteorlandini a Lucca», che gli costò numerose tribolazioni. Sono frutto di questa esperienza di pedagogia cristiana i saggi composti dal Franciotti per l’educazione della gioventù. Nel 1594 accolse fra i postulanti il beato Pietro Casani (1572-1647) che in seguito passò alla Congregazione delle Scuole Pie di san Giuseppe Calasanzio (1557-1648) dopo la breve unione dei due istituti (1614-1617). Gli ultimi anni del cinquecento vedono il Franciotti accanto al Leonardi nell’opera di visitatore e riformatore a Siena, Aversa e Napoli nel celebre santuario della Madonna dell’Arco. Il servo di Dio con la sua «opera spirituale» rispose al ristagno dell’ignoranza biblica e agli estremismi della riforma protestante con «la Parola meditata». Esempio sono i «soliloqui» e le «pratiche spirituali» editi fin dal 1600, strumenti ascetici con i quali prepararsi a ricevere il corpo eucaristico del Signore e prolungare nell’intimo colloquio la contemplazione adorante del mistero. Cesare nelle sue «pratiche devote» ha come sfondo la dottrina eucaristica tridentina e nello stesso tempo, il patrimonio spirituale e ascetico che segna questo singolare tempo a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, caratterizzato dall’«ascesi volontaristico-affettiva» e dall’«umanesimo devoto». L’opera coniuga catechesi liturgica e spiritualità eucaristica. Il continuo ricorso alle fonti scritturistiche, le numerose citazioni dei Padri della Chiesa e le note storico-liturgiche, si mescolano con esempi nati dalla vivace trasmissione della «Dottrina Cristiana» sperimentate sul campo durante l’instancabile predicazione. Le diverse edizioni e traduzioni soprattutto in tedesco, testimoniano che si tratta di un’opera in costruzione e di notevole interesse spirituale che ebbe diffusione nell’Europa del XVII e XVIII secolo, le ultime edizioni sono del XIX secolo. Fu lo stesso Leonardi che ingiunse al Franciotti di pubblicare la gran mole di riflessioni e meditazioni per un servizio maggiore al processo di riforma degli animi e dei costumi. Il servo di Dio morì a Lucca il 9 dic. 1627 il processo ordinario fu aperto nel 1641 e introdotto a Roma l’11 lug. 1898 la causa per l’approvazione delle virtù eroiche è ancora in corso presso la Congregazione per le Cause dei Santi.
Pubblichiamo il saluto che il P. Generale ha diretto al direttivo al corpo docenti ai genitori e alunni presenti nella St. Leonardi Matric. Hr. School di Samayapuram Tamilnadu India, sabato 25 novembre in occasione dell'11 anniversario di istituzione. Nell'indirizzo di saluto P. Piccolo, ha richiamato alcuni temi sulla custodia e protezione del creato cari al magistero di Papa Francesco. Su queste prospettive gli alunni delle classi scolastiche, attraverso alcune rappresentazioni, ne hanno espresso la profonda attualità e urgenza.
Good evening everyone. I am very happy to be here among you. First of all, I thank my brothers, the delegate Father Cyril and the correspondent of this school, Father Donathius for inviting me. I extend a warm greeting to the civil authorities present here. I greet and wish all the teachers, parents and relatives, above all my warmest greeting to you my dear children and young people and I thank you in advance.
I am very happy to be here as the successor of San Giovanni Leonardi, the school bears his name (“St.Leonardi”) and I am very pleased with the theme of this School annual day that is “Save the Nature”, which sees us in great communion with the appeal made several times in recent years by Pope Francis for the care for Creation. We must grow more and more in the awareness that we are part of Creation. Indeed, we are the noblest part of Natures Creation, More than that God wanted to make us Guardians of nature, he entrusted us with his house (Nature), the house he prepared for all men so that we have to respect it and love it. Always find that the Nature and life comes to us from God, and collect the fruits of the Earth to nourish ourselves and share them with brothers and sisters.
You, certainly know that San Giovanni Leonardi is the patron saint of pharmacists, because before becoming a priest he was a pharmacist, an apothecary was called in those times, that is, he was a man who knew nature, plants and herbs well and knew how to obtain from these plants medicines to cure illnesses, to cure man's body. Nature is a gift from God so that man could serve God and serve his brothers with all that he received from God. This tells us, that every Christian, is called to respect and to be harmony with creation, to take what the earth offers in a harmonious way, without violating it, to share with others what the earth offers, to provide for the good of all.
Pope Francis is very concerned about the fact of our common home, so much so that he wrote an encyclical in 2015, "Laudato sii" and then in October 4 on the feast day of Saint Francis of Assisi, the apostolic exhortation "Laudate Deum"
But before Pope Francis, Pope Benedict XVI and even before Pope Saint John Paul II had said that all of us, men and women, have a debt with our children, he had stated that we have had the nature on loan from our children. This is to make us understand, how important it is to consider the earth as everyone's home, it is not a personal possession, not an asset to be exploited at all costs without looking at the consequences of this exploitation and violating it. With the consequences that we are seeing: climate change, desertification, the impoverishment in many countries on earth. How many wars have been waged to take possession of land, nature, oil or diamond deposits, to obtain money and power, without asking ourselves who will pay the price today and tomorrow, and if this is right in the eyes of God .
But each of us can do our part, from the children to the oldest, we can use water well without wasting or polluting it, we can pay attention to the use of plastic which ends up in the sea and causes many environmental disasters, we can try not to waste the food. Small, simple things within the reach of all of us.
Thank you dear guys for this beautiful message that you are giving us today, because it reminds us that we are living in the time of creation and we must live it well for humanity to have a future. Thank you, because from now onwards you feel responsible for Creation, for other men and you have desired the happiness of your brothers. Thank you because you open up hope for a better future.
I wish you to grow in culture and wisdom, I wish you to always give your contribution for the protection of creation and respect for the dignity of all men, I wish you all to hand over this land in which we live to our future generation better than what we have now.
Thank you. May God bless you all.
Il Padre Generale, il suo Consiglio e l'Ordine tutto, si uniscono a P. Emmanuel Udoh OMD per la perdita della cara mamma, signora Glory Udoh Alphonsus. Memtre invitano i confratelli tutti ad elevare preghiere di suffraggio, l'affidano alla misericordia del Signore e all'intercessione della Madre di Dio e del nostro Fondatore
A 20 anni dalla morte di P. Alceste Piergiovanni OMD abbiamo chiesto a Paola e Paolo Boncristiano di tracciarne alcuni tratti.
Padre Alceste Piergiovanni nacque in quel di Tuscania il 28 marzo del 1929; a soli 10 anni entrò in seminario e nell’ottobre del 1954 fu ordinato sacerdote. Non passarono due anni da quel momento, quando fu inviato in Cile. Imbarcato in una nave piena di emigranti, il giovane Alceste sbarcò in quella terra lontanissima, soprattutto per quei tempi, dove pensava di svolgere un compito missionario solo per alcuni mesi.
Le cose non andare proprio in tal senso, perché il lavoro tra i bambini orfani e tra i ragazzi con famiglie problematiche o già provati da vicende giudiziarie, lo toccarono profondamente: sperimentò e comprese la sete d’amore che questi bambini, tutti questi bambini, avevano e comprese come questo bisogno corrispondesse perfettamente al suo. Fu il primo incontro tra due necessità di amore. Amore desiderato ed amore donato che ultimamente si intrecciano e si scambiano reciprocamente. Questa sarà poi la dinamica di ogni successivo incontro tra il bambino adottato e la famiglia adottiva. Sì, perché padre Alceste, per tutti in Cile padre Pier, si rese conto che il suo amore non sarebbe stato sufficiente: era necessario dare a ciascun bambino una famiglia, un padre ed una madre.
Quello per lui fu il punto di non ritorno: il Cile sarebbe diventata la sua terra e quei bambini, tutti, sarebbero diventati suoi figli sino a quando non avrebbe trovato loro una famiglia reale, fatta di un padre ed una madre che li accogliessero tra le braccia con amore.
Nell’arco dei cinquant’anni della sua vita missionaria, il suo grande carisma fu di aver donato a più di mille bambini una famiglia.
La prima volta che ho incontrato padre Alceste fu nel 1999. Da tempo io e mia moglie desideravamo adottare un bambino cileno per i legami affettivi che avevamo con quel Paese così lontano. Fu una nostra amica, la sig.ra Anita Fresno de Leighton, ad indirizzarci in quell’anno verso padre Alceste.
Venimmo a sapere che il padre era di origine italiana, appartenente all’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, e che ogni anno tornava nei mesi estivi in Italia sia per le sue precarie condizioni di salute che non sopportavano il freddo eccessivo, sia soprattutto per incontrare i bambini che negli anni aveva fatto adottare in Italia e le famiglie che li avevano accolti.
L’incontro ci lasciò un po’ spiazzati: la prima impressione fu di un uomo burbero, che non eccedeva nel dar confidenza, e anzi … con quel suo fare arguto, faceva in modo di provocarti, di farti sentire a disagio quasi arrivavi a chiederti “ma io cosa son venuto a fare qui da questo uomo così impenetrabile?”.
Andammo a pranzare al ristorante e lì fece perder quasi le staffe al proprietario, che era un nostro amico: ogni piatto romagnolo, che questi gli proponeva, veniva rimandato indietro con qualche commento fino ad arrivare a scegliere mozzarella e pomodoro, poi lasciati quasi interamente sul piatto.
Passarono i mesi e nessuna notizia arrivava dal Cile, per cui decisi, d’accordo con mia moglie, di avvisarlo che saremmo partiti comunque per il Cile (il viaggio sarebbe stato in ogni caso decisivo, perché non avremmo avuto la possibilità economica di ripeterne altri) come segno della nostra determinazione a rischiare tutto, per esaudire il nostro desiderio. Non saprei dire se l’aerogramma si è incrociato con la sua decisione o se essa è stata presa al suo arrivo (cosa che ritengo più probabile).
Fatto è che la domenica successiva, al ritorno da un viaggio al mio paese natale, verso l’una di notte squillò il telefono: padre Alceste dopo aver premesso che ci aveva cercato ininterrottamente nei giorni precedenti, ci annunciò che Paolo, questo era il nome del bambino che avremmo adottato, aspettava che lo andassimo a prendere e da quel momento la nostra famiglia sarebbe diventata ancor più una ‘famiglia di Paoli’ (anche io e mia moglie portiamo tale nome).
Ho fatto questa premessa per parlare del primo aspetto del carattere di padre Alceste, a cui però ne faceva seguito immediatamente un secondo: dal momento che aveva deciso che quel bambino era per te e tua moglie, lui diventava tenerissimo e pieno di attenzioni. Certo rimaneva il suo carattere rustico, ma accompagnato da un grande affetto.
Si trattava di due aspetti comportamentali agli antipodi tra loro, ma che recavano in sé la stessa logica: la preoccupazione per il figlio che donava alla famiglia. Voleva essere certo che questi futuri genitori avrebbero sfidato qualsiasi avversità o difficoltà per amore del figlio.
Padre Alceste, che indubbiamente aveva un grande carisma sia nel conoscere i bambini nel loro profondo essere, sia quelli che ne sarebbero divenuti i genitori, ci confidò più volte che quando si trattava di assegnare un bambino per lui era come un parto (non dormiva per notti intere) perché si rendeva conto della enorme responsabilità della sua decisione. E di questi … parti … ne avrebbe avuti più di mille!
All’inizio, quindi, saggiava la consistenza delle persone che si trovava di fronte sia singolarmente che come coppia, perché quella coppia doveva diventare la famiglia di un bambino che già tanto soffriva per non averne mai avuta una.
I bambini gli volevano tutti bene e lui li conosceva uno per uno, la loro indole, la loro storia, i loro desideri. Per ciascuno di loro dedicava del tempo ed essi lo amavano. All’hogar la sera non venivano mai chiusi i cancelli ed era una cosa di cui si vantava, perché nessun bambino aveva mai tentato di scappare da lì, dove si sentiva benvoluto. Questo comportava da parte di padre Alceste, non solo un’attenzione particolare ai piccoli, ma anche un’attenzione educativa nei confronti del personale dell’hogar, che doveva sentirsi impegnato in una missione più ancora che in un lavoro retribuito.
Di tutto il lavoro educativo di padre Alceste resta la prova indelebile data dai ragazzi che, ormai diventati adulti, continuano a ricordarlo sempre, con affetto immutato. In realtà, è stato lui che li ha raccolti da ogni dove, facendosi carico delle loro storie più disparate e disperate, e li ha rigenerati, donando loro una speranza, un futuro, un senso alla loro vita: una famiglia.
Lui diceva che questi bambini adottati non solo ricevevano amore, ma loro stessi donavano amore: si trattava di un dono reciproco, il riempimento di una solitudine affettiva che ognuno aveva vissuto per il suo proprio stato e che ora diveniva il terreno fertile ove la rispettiva vocazione di genitori e di figli andava verso il suo compimento.
Padre Alceste era certo che l’amore non solo curasse le ferite dello spirito, ma anche quelle del fisico. Era il testimone di bambini magari sordastri che, inseriti in una famiglia ed amati, ricuperavano il corretto uso dell’udito. Bambini incapaci di parlare e vissuti come animaletti cibandosi poco più che di radici, inseriti in una famiglia, recuperavano la parola, iniziavano a mangiare regolarmente seduti a tavola ed imparavano a leggere ed a scrivere. I miracoli dell’amore!
Tante sono le iniziative che ha promosso in quel periodo, per alleviare il disagio di quei bambini e, quando andava nei tribunali a difenderli per far ottener loro l’adottabilità di fronte allo sciagurato comportamento dei genitori naturali, non esitava a dare battaglia ad oltranza pur di salvaguardare il volto innocente di quei bambini. Questo, fintanto che il giudice avesse ben chiara la situazione del bambino nel caso avesse pensato di lasciare la patria potestà a quei genitori naturali che lo avevano già abbandonato.
Di una cosa si rammaricava molto: la non curanza della chiesa per l’adozione; nessun vescovo e pochissimi preti consigliavano le famiglie a adottare un bambino, famiglie che poi si sarebbero magari messe poi alla ricerca sfrenata e discutibile di tecniche fecondative economicamente significative alla fine spesso deludenti e mortificanti. Il padre si chiedeva come mai il clero avesse così tanta insensibilità verso l’adozione.
Ma ecco che, poco prima della morte, la sua vita fu inondata da una gioia inaspettata: il papa Giovanni Paolo II incontrò le famiglie adottive di Madre Teresa di Calcutta e dedicò al tema dell’adozione l’intera udienza, trattando il tema nel modo in cui padre Alceste aveva sempre desiderato.
Dalla nostra prima adozione, a cui poi ne è seguita una seconda, la amicizia e familiarità tra noi si sono sempre più rinsaldate. La sua vicinanza più stretta ed affettuosa con noi come con ogni altra famiglia che lo avesse voluto (lui era molto discreto e se percepiva che una famiglia non aveva piacere di continuare il rapporto con l’hogar, non insisteva anche se cercava comunque di avere sempre notizie dei suoi bambini).
L’ultima volta che io e la mia famiglia lo abbia incontrato è stato nel settembre 2003. Padre Alceste si sentiva vicino alla morte e ci mandò a dire che aveva desiderio di rivederci e così andammo a trovarlo a Tuscania. Ci mettemmo intorno al suo letto, io mia moglie Paola, i nostri figli Paolo Andrea e Luis Alejandro: parlammo a lungo e lui ebbe parole buone per ciascuno di noi, soprattutto per i nostri figli che aveva sempre portato nel suo cuore.
Ci disse che ormai la sua morte era prossima e che proprio per questo sarebbe tornato in Cile, quella che ormai era la sua terra … di adozione. Desiderava essere sepolto nell’hogar, in un luogo semplice … lì dove i suoi bambini avrebbero potuto andare a fare la pipì. È morto a Quinta de Tilcoco il 20 novembre 2003. Questo è il padre Alceste che io ho conosciuto.