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Sabato, 14 Maggio 2016 10:27

Respirare lo Spirito santo

372Oggi è il giorno della Pentecoste, il giorno della discesa dello Spirito Santo. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù, e improvvisamente discese su di loro, sotto forma di lingue di fuoco, lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità. Gesù aveva promesso ai suoi Apostoli che non li avrebbe lasciati orfani e aveva detto loro: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Questa promessa si è realizzata proprio nel giorno della Pentecoste.
La prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, descrive quel giorno, nel quale fu formata la Chiesa. A Nazareth, lo Spirito Santo era disceso sulla Vergine Maria per formare il corpo di Cristo; nel Cenacolo a Gerusalemme il Paràclito discese per formare il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Prima della discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli erano timidi e timorosi, non osavano predicare al popolo; mentre, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, essi iniziarono a predicare con coraggio, e così fecero fino alla suprema testimonianza del martirio.
Nel giorno di Pentecoste, che era già una festività giudaica, erano riuniti a Gerusalemme ebrei giunti da diverse parti del mondo allora conosciuto. Alcuni venivano dalla Mesopotamia, altri dalla Cappadocia, dall'Egitto e dall'Arabia. La cosa più sorprendente fu che ciascuno di loro sentì predicare gli Apostoli nella propria lingua. Fu chiaramente un miracolo che indicava come il Vangelo doveva essere predicato in tutto il mondo, fino a raggiungere gli estremi confini della terra. Nella loro predicazione, gli Apostoli erano istruiti interiormente dallo Spirito Santo. Gesù lo aveva detto chiaramente: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Lo Spirito Santo lo abbiamo ricevuto in dono anche noi. Lo abbiamo ricevuto già con il Battesimo, ma è soprattutto con la Cresima che il Paràclito è disceso su di noi e ci ha arricchiti con i suoi Sette Doni. Lo Spirito Santo è il nostro Santificatore. Lo dobbiamo pregare frequentemente, affinché, come dice san Paolo nella seconda lettura, non ci facciamo dominare dalle opere della carne (cf Rm 8,8), ovvero dal peccato che continuamente ci minaccia. Sarà una cosa molto bella ripetere ogni giorno, magari al mattino, la bella Sequenza allo Spirito Santo che abbiamo recitato prima della lettura del Vangelo. Con questa stupenda preghiera abbiamo domandato al Paràclito che ci invada nell'intimo del nostro spirito, che lavi la nostra anima, che la irrighi se arida, che la sani se piagata, che la scaldi se gelida. Recitiamo questa Sequenza con amore e attenzione.
La parola Paràclito, con cui è chiamato lo Spirito Santo, significa Consolatore. Egli ci consola nelle nostre miserie e guida la nostra preghiera, ispirandoci ciò che è bene domandare al Padre. Lo Spirito Santo arricchisce la nostra anima con i suoi Sette Doni, che ci fanno essere dei santi cristiani. Essi sono come dei piccoli semi che devono essere irrigati dalla nostra preghiera per giungere a maturazione. Nella vita dei Santi possiamo vedere il loro pieno sviluppo.
Il primo dono è la Sapienza, che ci permette di ragionare non secondo il mondo, ma secondo la profondità di Dio, e ci dona il gusto inesprimibile di Dio e delle realtà divine; poi abbiamo il dono dell'Intelletto, che ci consente di approfondire le verità della nostra Fede e di aderire ad esse quasi per un istinto soprannaturale; segue poi il dono della Scienza, che ci dà la capacità di risalire al Creatore partendo dalle creature e di vedere in ciascuna delle creature un riflesso di Dio; poi abbiamo il dono del Consiglio, che, nei momenti più importanti, ci suggerisce la decisione giusta da prendere secondo la Volontà di Dio, e, innanzitutto, ci suggerisce di ascoltare con docilità il consiglio di una saggia guida spirituale; vi è inoltre il dono della Fortezza che ci dà l'energia per resistere al male che c'è intorno a noi e, tante volte, anche dentro di noi; in seguito, c'è il dono della Pietà che perfeziona il nostro amore e lo dilata oltre l'umana ristrettezza, per poter così amare Dio e il prossimo nostro fino all'eroismo; infine, abbiamo il dono del Timor di Dio, che ci consente di evitare il peccato, non tanto per paura dei castighi, ma per puro amor di Dio.
Preghiamo con fiducia lo Spirito Santo che questi piccoli semi, nella nostra vita, giungano a perfetta maturazione.
missione-giovaniUn triduo particolare ci preparerà alla celebrazione della Solennità della Beata Vergine Maria del SS Rosario, titolare della Parrocchia affidata al nostro Ordine in San Ferdinando di Puglia.
Amati X Amare, quattro giornate di Missione Giovani animata dalle Suore Francescane Alcantarine e volta a rendere i giovani della nostra Parrocchia protagonisti nella missione verso i loro amici e coetanei per condividere  la luce e la gioia che solo Cristo, luce del mondo, può dare.
Preghiera, canto, danza, allegria per dar luogo alla festa della vita che sgorga dal Risorto e viene affidata a noi suoi discepoli.

Sabato, 07 Maggio 2016 10:34

Di questo voi siete testimoni

371La morte di Gesù ha costituito uno scandalo per i suoi discepoli, perché essi si erano plasmati un Cristo senza croce. Ma Gesù di Nazaret è il Messia; e non esiste altro Messia che il crocifisso e il glorificato. È attraverso la catechesi del Signore, risuscitato, che i discepoli capiscono che il Messia doveva soffrire e risuscitare dai morti. Era il disegno di Dio manifestato nelle Scritture. Il senso della croce e dell’accompagnamento dei discepoli sulla croce, si scontra con l’intelligenza, con il cuore e con i progetti dell’uomo.

Affinché i discepoli possano essere i testimoni autorizzati di Gesù Cristo, non solo devono comprendere la sua morte redentrice, ma anche ricevere lo Spirito Santo. Gesù si separa dai discepoli benedicendoli e affidandoli alla protezione di Dio Padre. Ascensione del Signore al cielo e invio dello Spirito Santo, per fare dei discepoli dei testimoni coraggiosi e per accompagnarli fino al ritorno di Gesù, sono strettamente collegati.

Lo Spirito Santo aumenterà la potenza della parola del predicatore e aprirà l’intelligenza degli ascoltatori. Della vita fragile del missionario egli farà una testimonianza eloquente di Gesù Cristo morto sulla croce e vivo per sempre. Nel mondo, al fianco dei discepoli, lo Spirito Santo sarà il grande Testimone di Gesù.

atti-okL’edizione di Osservatore Romano di Domenica 1 maggio ha presentato in un articolo di Davide Carbonaro, gli Atti che raccolgono i contributi dei centenari della morte di San Giovanni Leonardi (1609) e della nascita di Ludovico Marracci (1612). Di seguido proponiamo l’articolo titolato:“Secoli specchio del presente”.

Nel secolo XVI e nel  XVII: “Si delinearono le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l'illusione di una possibile e totale autonomia dell'uomo il quale sceglie di vivere come se Dio non ci fosse”. Con queste parole Papa Benedetto XVI contestualizzava in una catechesi del 2009 la figura, l’opera e l’intuizione profetica di San Giovanni Leonardi (1541-1609), di cui in questi giorni escono per i tipi della Libreria Editrice Vaticana gli atti del Convegno internazionale che nel 2009 commemorava il IV centenario della sua  nascita al cielo: San Giovanni Leonardi amico dei Santi. Personaggi, movimenti e modelli nell’esperienza spirituale e pastorale del Santo lucchese. In effetti, la vita del Leonardi fu segnata fin dall'inizio da una intima relazione con Cristo, ne riconobbe la signoria, non distolse lo sguardo dal suo volto, lo propose come una sorgente di verità a quanti vollero seguirlo nell'avventura dell'istituzione che lo Spirito fece sorgere dalla sua intelligenza e dal suo cuore. Amò e difese la Chiesa in un tempo di profonde lacerazione e contraddizioni, ebbe modo di subire numerose tribolazioni soprattutto da coloro che erano a lui più vicini. Servì i più piccoli investendo tempi ed energie per educare alla fede, rimodellò secondo le esigenze del Vangelo la vita consacrata chiedendo a tutti di fare gli interessi di Cristo. Gli Atti con i contributi di Benedetto XVI; Davide Carbonaro; Gian Luca D’Errico; Francesco Danieli; Adolfo Gacia Duran; Vittorio Pascucci e Gianfranco Ravasi, propongono una rilettura sincronica e diacronica di quelle “istanze di riforma ecclesiale” che accompagnarono il Fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio durante il servizio di Visitatore apostolico. E questo senza nulla togliere al bagaglio di esemplarità che traspariva dalla sua vita e dalle sue parole. Fu il connotato dell’amicizia spirituale con San Filippo Neri, San Giuseppe Calasanzio e tanti altri protagonisti della riforma della Chiesa che lo spinse a proporre, lui che in giovane età aveva esercitato l’arte dello speziale, la vigorosa medicina del Vangelo che instillò nei due memoriali rivolti a Papa Paolo V.  Il primo per la Riforma universale della Chiesa e l’altro per l’istituzione del Collegio di Propaganda Fide, le cui prime fondamenta vennero gettate con due amici, Juan Baptista Vives e Martin de Funes.  Di questa opera il Leonardi non ne vide la realizzazione, ma con lungimiranza la affidò al Papa: “Il Capo che ha da governare questa Congregazione et che sarà incominciata da lui”. Ed è  proprio nel solco di questa intuizione che nella metà del XVII secolo una dei figli del Leonardi per incarico di Papa Innocenzo XI e del Propaganda Fide, compirà l’ardua opera di mediazione culturale che fu la traduzione del Corano in latino (Alcorani textus universus) e della Bibbia vulgata in arabo (Biblia Sacra Arabica). Si tratta del lucchese P. Ludovico Marracci (1612-1700) di cui l’Ordine della Madre di Dio ha voluto in occasione del IV centenario dalla nascita riscattare la figura e l’opera, con due convegni celebrati a Roma e a Lucca nel 2012 e 2013. Le riflessioni sono confluite negli atti: Il Corano e il pontefice. Ludovico Marracci fra cultura islamica e Curia papale, a cura di Gian Luca D’Errico, Carocci editore, Roma 2015. I contributi affidati a Ignazio Del punta; Luca Santini; Gian Luca D’Errico; Francesco Bustaffa; Luca Andreoni; Giovanni Pizzorusso; Roberto Tottoli; Giovanni Rizzi; Paolo Branca; mettono in evidenza le implicanze, scientifiche, ermeneutiche e culturali che sottostanno al metodo di P. Marracci, senza escludere le prospettive odierne per quanto riguarda il dialogo e l’incontro tra cultura cristiana ed islamica. Le competenze di Marracci in campo linguistico sono attestate dall’assegnazione della cattedra di lingua araba alla Sapienza di Roma, affidatagli dal Pontefice Alessandro VII nel 1656 e che tenne per quarant’anni. Il testo degli atti oltre una presentazione prosopografica e del contesto storico in cui visse Marracci analizza il ruolo che egli ebbe presso la Congregazione romana del Sant’Uffizio e in quella dell’Indice. I diversi consulti rilasciati alle congregazioni ed in particolare ai pontefici, evidenziano la rottura di cui si fece interprete nei confronti dell’intransigenza del partito curiale dominante.  La sua levatura e confidenza con il Papa Innocenzo XI , di cui fu confessore, incisero in quella che è passata alla storia come “svolta innocenziana”. Gli atti infine,  approfondiscono le componenti culturali e le competenze scientifiche del Marracci orientalista e traduttore; l’uso delle fonti  con le quali lavorò, facendo confluire  criteri ermeneutici; teologici e missionari. Tutto ciò, ci permette di affermare con M. A. Ayuso Guixot, che: “Con il Marracci l’orientalismo scientifico fa i suoi primi passi”.

370Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell'anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l'interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c'è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all'aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C'è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d'amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d'ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.
Sabato, 23 Aprile 2016 09:06

AMATEVI, COME IO HO AMATO VOI

369Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua ci insegna quella che deve essere la misura del nostro amore fraterno. L'esempio che dobbiamo imitare è molto grande, il più grande che potessimo avere. Non dobbiamo amare il prossimo come lo ama una qualsiasi persona buona, ma come Gesù ci ha amati e continuamente ci ama. Comprendiamo subito una cosa: non riusciremo mai ad uguagliare l'amore di Gesù. Per quale motivo, dunque, Egli ci dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)?
La risposta penso sia soltanto una: Gesù ci dice di imitare un modello irraggiungibile per farci comprendere che dobbiamo e possiamo sempre migliorare e crescere nella carità. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di amare abbastanza.
Com'è che Gesù ci ha amati? Ci ha amati fino a morire in Croce per noi, fino al Sacrificio supremo, fino al dono dell'Eucaristia, e fino a donarci, dall'alto della Croce, quanto aveva di più caro: la Madre sua quale Madre nostra tenerissima. Poteva dimostrarci un amore più grande? Certamente no! Egli ha dato tutto: la sua vita e il suo amore per noi.
Sul suo esempio, dobbiamo amarci gli uni gli altri. A questa scuola divina, comprenderemo facilmente che la prova sicura dell'autentica carità è il sacrificio. Infatti, solo chi ama è disposto a sacrificarsi per una persona, fino a donare tutta la sua vita. Così fanno i genitori con i figli, così fanno le persone che si amano autenticamente e non sono accecate dall'egoismo. L'egoismo è l'esatto contrario dell'amore. L'amore è donazione; l'egoismo è solo ricerca del proprio tornaconto. Pensiamo a quante famiglie si sfasciano. Per quale motivo tante divisioni? Si sta insieme solo fino a quando ci è utile, ma quando c'è da affrontare qualche sacrificio, allora si molla tutto. Non era Gesù la misura dell'amore, ma unicamente il nostro io.
Dobbiamo un po' tutti convertirci dall'egoismo all'amore. Tanti si illudono di amare; ma, in realtà, cercano solo il proprio benessere. Se di fronte al sacrificio noi non amiamo più, allora significa che in realtà non abbiamo mai amato, ma abbiamo unicamente cercato il nostro io nelle consolazioni e nei benefici che ci venivano dalle persone che ci illudevamo di amare. È regola infallibile che i veri amici si vedono solo al momento della prova. Di questi veri amici, purtroppo, ce ne sono sempre molto pochi. Amare, dunque, costa sacrificio, e non può essere diversamente.
Sospinti da questo amore per il prossimo, Paolo e Barnaba predicavano il Vangelo fra molte difficoltà e opposizioni. I due Santi non badavano però a tali persecuzioni perché dicevano: «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Da loro impariamo che, se veramente vogliamo bene al nostro prossimo, innanzittutto dobbiamo ricercare il loro bene spirituale, la loro salvezza eterna. Per salvare le anime, Paolo e Barnaba non badavano ai sacrifici che inevitabilmente dovevano affrontare. Tutto era poco in paragone alla salvezza dei fratelli. Si sarebbero poi riposati in Paradiso; ma, finché erano su questa terra, c'era da lottare.
Una volta lasciata questa terra, avremo la giusta ricompensa. San Giovanni, nella seconda lettura di oggi, ci dice che in Paradiso Dio «asciugherà ogni lacrima [...] non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4). Pensiamo spesso al Paradiso e comportiamoci in modo da meritarlo.

Sabato, 16 Aprile 2016 12:05

La mano di Cristo, il pastore buono

368
Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo? Il dono della vita per sempre (cf. Gv 10,28) e quella convinzione profonda che siamo nella sua mano e che da essa nessuno potrà mai strapparci via (cf. Gv 10,28-29). Sì, la mano di Gesù: mano che ci tocca per guarirci; mano che ci rialza se cadiamo; mano che ci attira a sé quando, come Pietro affondiamo (cf. Mt 14,31); mano che ci offre il pane di vita; mano che si presenta a noi con i segni dell’aver sofferto per darci la vita (cf. Lc 24,39Gv 20,20.27); mano che ci benedice (cf. Lc 24,50), tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci. Ecco quella mano del Signore che più volte è stata dipinta tesa verso l’uomo, perché ognuno di noi per camminare ha bisogno di mettere la propria mano in quella di un altro. Solo così non ci sentiamo soli e ci sentiamo non esenti da cadute o sventure, ma sempre sostenuti dal Signore, sempre in relazione con lui. Queste parole del Kýrios risorto – “Nessuno strapperà le mie pecore dalla mia mano, perché sono il dono più grande che il Padre mi ha fatto, il dono più grande di tutte le cose” – sono e restano, anche nella notte della fede, anche nelle difficoltà a camminare nella notte, ciò che ci basta per sentirci in relazione con il Signore. Se anche volessimo rompere questa relazione e se anche qualcuno o qualcosa tentasse di romperla, non potrà mai accadere di essere strappati dalla mano di Gesù Cristo. L’Apostolo Paolo, significativamente, ha gridato: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm  8,35). No, niente e nessuno, “ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm  8,37). E la mano di Gesù Cristo risorto è la mano di Dio, perché lui e il Padre sono uno.
Ma dobbiamo dirlo: una fede così, anche se povera e fragile, scatena l’avversione e la violenza di chi non può credere in Gesù. Ecco perché, al sentire queste sue parole quei farisei, che credevano di vedere bene, raccolgono delle pietre per lapidarlo (cf. Gv 10,31). Dove c’è un’azione, un comportamento, una parola di amore, gli uomini religiosi vedono una bestemmia, un attentato al loro Dio, che vorrebbero fosse un Dio senza l’uomo, contro l’uomo! Amano infatti più la religione che l’umanità, più le idee e la loro dottrina che non l’umano, cioè i fratelli o le sorelle accanto a noi nella loro condizione di peccato, di fragilità: condizione, appunto, propria degli umani, che la mano di Dio deve salvare e rialzare. 
Sabato, 16 Aprile 2016 12:05

La mano di Cristo, il pastore buono

368
Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo? Il dono della vita per sempre (cf. Gv 10,28) e quella convinzione profonda che siamo nella sua mano e che da essa nessuno potrà mai strapparci via (cf. Gv 10,28-29). Sì, la mano di Gesù: mano che ci tocca per guarirci; mano che ci rialza se cadiamo; mano che ci attira a sé quando, come Pietro affondiamo (cf. Mt 14,31); mano che ci offre il pane di vita; mano che si presenta a noi con i segni dell’aver sofferto per darci la vita (cf. Lc 24,39Gv 20,20.27); mano che ci benedice (cf. Lc 24,50), tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci. Ecco quella mano del Signore che più volte è stata dipinta tesa verso l’uomo, perché ognuno di noi per camminare ha bisogno di mettere la propria mano in quella di un altro. Solo così non ci sentiamo soli e ci sentiamo non esenti da cadute o sventure, ma sempre sostenuti dal Signore, sempre in relazione con lui. Queste parole del Kýrios risorto – “Nessuno strapperà le mie pecore dalla mia mano, perché sono il dono più grande che il Padre mi ha fatto, il dono più grande di tutte le cose” – sono e restano, anche nella notte della fede, anche nelle difficoltà a camminare nella notte, ciò che ci basta per sentirci in relazione con il Signore. Se anche volessimo rompere questa relazione e se anche qualcuno o qualcosa tentasse di romperla, non potrà mai accadere di essere strappati dalla mano di Gesù Cristo. L’Apostolo Paolo, significativamente, ha gridato: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm  8,35). No, niente e nessuno, “ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm  8,37). E la mano di Gesù Cristo risorto è la mano di Dio, perché lui e il Padre sono uno.
Ma dobbiamo dirlo: una fede così, anche se povera e fragile, scatena l’avversione e la violenza di chi non può credere in Gesù. Ecco perché, al sentire queste sue parole quei farisei, che credevano di vedere bene, raccolgono delle pietre per lapidarlo (cf. Gv 10,31). Dove c’è un’azione, un comportamento, una parola di amore, gli uomini religiosi vedono una bestemmia, un attentato al loro Dio, che vorrebbero fosse un Dio senza l’uomo, contro l’uomo! Amano infatti più la religione che l’umanità, più le idee e la loro dottrina che non l’umano, cioè i fratelli o le sorelle accanto a noi nella loro condizione di peccato, di fragilità: condizione, appunto, propria degli umani, che la mano di Dio deve salvare e rialzare. 
amoris-letitiaMisericordia e integrazione: questo il nucleo dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia – La gioia dell’amore”, siglata da Papa Francesco il 19 marzo e diffusa oggi. Suddiviso in nove capitoli, il documento è dedicato all’amore nella famiglia. In particolare, il Pontefice sottolinea l’importanza e la bellezza della famiglia basata sul matrimonio indissolubile tra uomo e donna e guarda con realismo alle fragilità che vivono alcune persone, come i divorziati risposati, ed incoraggia i pastori al discernimento. In un chirografo che accompagna l’Esortazione inviata ai Vescovi, il Papa sottolinea che “Amoris Laetitia” è “per il bene di il bene di tutte le famiglie e di tutte le persone, giovani e anziane” ed invoca la protezione della Santa Famiglia di Nazareth. L’Esortazione raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla famiglia, svoltisi nel 2014 e nel 2015.
Cap. 1 La Parola di Dio in famiglia e il dramma dei profughi

Misericordia e integrazione: Amoris Laetitia ruota attorno a questi due assi che ne rappresentano l’architrave. Il Papa ricorda che “l’unità di dottrina e di prassi” è ferma e necessaria alla Chiesa, ma sottolinea anche che, in base alle culture, alle tradizioni, alle sfide dei singoli Paesi, alcuni aspetti della dottrina possono essere interpretati “in diversi modi”. Il primo capitolo del documento, dedicato alla Parola di Dio, ribadisce la bellezza della coppia formata da uomo e donna, “creati ad immagine e somiglianza di Dio”; richiama l’importanza del dialogo, dell’unione, della tenerezza in famiglia, definita non come ideale astratto, ma “compito artigianale”. Ma non vengono dimenticati alcuni drammi, tra cui la disoccupazione, e “le tante famiglie di profughi rifiutati ed inermi” che vivono “una quotidianità fatta di fatiche e di incubi”.

Cap. 2 La realtà e le sfide della famiglia. La grande prova delle persecuzioni
Poi, lo sguardo del Papa si allarga sulla realtà odierna, e insieme al Sinodo, tenendo “i piedi per terra”, ricorda le tante sfide delle famiglie oggi: individualismo, cultura del provvisorio, mentalità antinatalista che – scrive Francesco – “la Chiesa rigetta con tutte le sue forze”; emergenza abitativa; pornografia; abusi sui minori, “ancora più scandalosi” quando avvengono in famiglia, a scuola e nelle istituzioni cristiane. Francesco cita anche le migrazioni, la “grande prova” della persecuzione dei cristiani e delle minoranze soprattutto in Medio Oriente; la “decostruzione giuridica della famiglia” che mira ad “equiparare semplicisticamente al matrimonio” le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso. Cosa impossibile, scrive il Papa, perché “nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita assicura il futuro della società”.

Ideologia gender è  “inquietante”
Francesco ricorda poi “il codardo degrado” della violenza sulle donne, la strumentalizzazione del corpo femminile, la pratica dell’utero in affitto, e definisce “inquietante” che alcune ideologie, come quella del “gender” cerchino di imporre “un pensiero unico” anche nell’educazione dei bambini. Davanti a tutto questo, però – è il monito del Papa – i cristiani “non possono rinunciare” a proporre il matrimonio “per essere alla moda” o per un complesso di inferiorità. Al contrario, lontani dalla “denuncia retorica” e dalle “trappole di lamenti auto-difensivi”, essi devono prospettare il sacramento matrimoniale secondo una pastorale “positiva, accogliente” che sappia “indicare strade di felicità”, restando vicina alle persone fragili.

Matrimonio non è un ideale astratto. Chiesa faccia salutare autocritica
Troppe volte, infatti – afferma il Papa con una “salutare autocritica” – il matrimonio cristiano è stato presentato puntando solo sul dovere della procreazione o su questioni dottrinali e bioetiche, finendo per sembrare “un peso”, un ideale astratto, piuttosto che “un cammino di crescita e di realizzazione”. Ma i cristiani - nota Francesco – sono chiamati a “formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, così come faceva Gesù che proponeva un ideale esigente, ma restava anche vicino alle persone fragili.

Cap. 3 La vocazione della famiglia e l’inalienabile diritto alla vita
In quest’ottica, l’indissolubilità del matrimonio non va intesa come “un giogo”, e il sacramento non come “una ‘cosa’, un rito vuoto, una convenzione sociale”, bensì “un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi”. Quanto alle “situazioni difficili ed alle famiglie ferite”, il Papa sottolinea che i pastori, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere, perché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”. Se da una parte, dunque, bisogna “esprimere con chiarezza la dottrina”, dall’altra occorre evitare giudizi che non tengano conto della complessità delle diverse situazioni e della sofferenza dei singoli. Francesco ribadisce, poi, con forza, il “grande valore della vita umana” e “l’inalienabile diritto alla vita del nascituro”, sottolineando anche l’obbligo morale all’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari, il diritto alla morte naturale e il fermo rifiuto alla pena capitale.

Cap. 4 L’amore nel matrimonio è amore di amicizia
Ma qual è, allora, l’amore che si vive nel matrimonio? Francesco lo definisce “l’amore di amicizia”, ovvero quello che unisce l’esclusività indissolubile del sacramento alla ricerca del bene dell’altro, alla reciprocità, alla tenerezza tipiche di una grande amicizia. In questo senso, “l’amore di amicizia si chiama carità”, perché “ci apre gli occhi e ci permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale un essere umano”. In quest’ottica, il Pontefice sottolinea anche l’importanza della vita sessuale tra i coniugi, “regalo meraviglioso”, “linguaggio interpersonale” che guarda “al valore sacro ed inviolabile dell’altro”. La dimensione erotica dell’amore coniugale, dunque, non potrà mai intendersi come “un male permesso o un peso da sopportare”, bensì come “un dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi”. Per questo, Amoris Laetitia rifiuta “qualsiasi forma di sottomissione sessuale” e ribadisce, con Paolo VI, che “un atto coniugale imposto al coniuge…non è un vero atto d’amore”.

Cap. 5 L’amore diventa fecondo. Ogni figlio ha diritto a madre e padre
Soffermandosi, quindi, sulla generazione e l’accoglienza della vita all’interno della famiglia, il Papa sottolinea il valore dell’embrione “dall’istante in cui viene concepito”, perché “ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio”. Di qui, l’esortazione a non vedere nel figlio “un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale”, bensì “un essere umano con un valore immenso”, del quale va rispettata la dignità, “la necessità ed il diritto naturale ad avere una madre ed un padre”, che insegnano “il valore della reciprocità e dell’incontro”.

La famiglia esca da se stessa per rendere ‘domestico’ il mondo
Al contempo, il Papa incoraggia le coppie che non possono avere figli e ricorda loro che la maternità “si esprime in diversi modi”, ad esempio nell’adozione. Di qui, il richiamo a facilitare la legislazione sulle procedure adottive e di affido, sempre nell’interesse del bambino e contrastando, con le dovute leggi, il traffico di minori. Quindi, Francesco sottolinea che ovunque c’è bisogno di “una robusta iniezione di spirito familiare”, ed incoraggia le famiglie ad uscire da se stesse, trasformandosi in “luogo di integrazione e punto di unione tra pubblico e privato”. Perché ogni famiglia – è il monito del Papa – è chiamata ad instaurare la cultura dell’incontro e a rendere ‘domestico’ il mondo. Per questo, il Papa lancia “un serio avvertimento”: chi si accosta all’Eucaristia senza lasciarsi spingere all’impegno verso i poveri ed i sofferenti, riceve questo sacramento “indegnamente”.

Cap. 6 Alcune prospettive pastorali. Accompagnare gli sposi da vicino
A metà dell’Amoris Laetitia, il Papa riprende, in modo sostanziale, i temi sinodali. Ad esempio richiama: la necessità di una formazione più adeguata per i presbiteri e gli operatori della pastorale familiare; il bisogno di guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, perché “imparare ad amare qualcuno non è una cosa che si improvvisa”; l’importanza di accompagnare gli sposi nei primi anni di matrimonio, affinché non si fermi la loro “danza con occhi meravigliati verso la speranza” e siano generosi nella comunicazione della vita, guardando al contempo ad una “pianificazione familiare giusta”, basata sui metodi naturali e sul consenso reciproco; la necessità di una pastorale familiare missionaria che segua le coppie da vicino e non sia solo una “fabbrica di corsi” per piccole élites.

Preoccupante l’aumento dei divorzi. I figli non siano ostaggi
Oggi, crisi di ogni genere minano la storia delle famiglie – dice il Papa – ma ogni crisi “nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore”. Di qui, l’incoraggiamento a perdonare e sentirsi perdonati per rafforzare l’amore familiare, e l’auspicio che la Chiesa sappia accompagnare tali situazione in modo “vicino e realistico”. Certo: nella nostra epoca esistono drammi come il divorzio “che è un male” – sottolinea l’Esortazione – e che cresce in modo “molto preoccupante”. Bisogna, allora, prevenire tali fenomeni, soprattutto tutelando i figli, affinché non ne diventino “ostaggi”. Senza dimenticare che, di fronte a violenze, sfruttamento e prepotenze, la separazione è inevitabile e “moralmente necessaria”.

Divorziati risposati non si sentano scomunicati
Quanto a separati, divorziati e divorziati risposati, l’Amoris Laetitia ribadisce quanto già espresso dai due Sinodi: occorre discernimento ed attenzione, soprattutto verso coloro che hanno subito ingiustamente la scelta del coniuge. Nello specifico, i divorziati non risposati vanno incoraggiati ad accostarsi all’Eucaristia, “cibo che sostiene”, mentre i divorziati risposati non devono sentirsi scomunicati e vanno accompagnati con “grande rispetto”, perché prendersi cura di loro all’interno della comunità cristiana non significa indebolire l’indissolubilità del matrimonio, ma esprimere la carità.

Rispetto per omosessuali, ma nessuna analogia tra matrimonio e unione gay
L’Esortazione ricorda poi le “situazione complesse” come quelle dei matrimonio con disparità di culto, “luogo privilegiato di dialogo interreligioso”, purché nel rispetto della “libertà religiosa”. Riguardo alle famiglie con persone di tendenza omosessuale, si ribadisce la necessità di rispettare la loro dignità, senza marchi di “ingiusta discriminazione”. Al contempo, si sottolinea che “non esiste alcun fondamento” per assimilare o stabilire analogie “neppure remote” tra le unioni omosessuali ed il matrimonio secondo il disegno di Dio. E su questo punto, è “inaccettabile” che la Chiesa subisca “pressioni”. Particolarmente preziosa, poi, è la parte finale del capitolo, dedicata all’accompagnamento pastorale da offrire alle famiglie colpite dalla morte di un loro caro.

Cap. 7 Rafforzare l’educazione dei figli, diritto-dovere dei genitori
Ampio, poi, il capitolo dedicato all’educazione dei figli, “dovere gravissimo” e “diritto primario” dei genitori. Cinque i punti essenziali indicati dall’Esortazione: educazione non come controllo, ma come “promozione di libertà responsabili che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza”. Educazione come insegnamento alla “capacità di attendere”, fattore “importantissimo” nel mondo attuale dominato dalla “velocità digitale” e dal vizio del “tutto e subito”. Educazione come incontro educativo tra genitori e figli, anche per evitare “l’autismo tecnologico” di molti minori scollegati dal mondo reale ed esposti alle manipolazioni egoistiche esterne.

Educazione sessuale sia educazione all’amore e al sano pudore
Il Papa dice, poi, sì all’educazione sessuale, da intendere come “educazione all’amore” da impartire “nel momento appropriato e nel modo adatto”, insegnando anche quel “sano pudore” che impedisce di trasformare le persone in puro oggetto. A tal proposito, Francesco critica l’espressione “sesso sicuro” che vira al negativo “la naturale finalità procreativa della sessualità” e sembra trasformare un eventuale figlio in “un nemico dal quale proteggersi”. Infine, la trasmissione della fede, perché la famiglia deve continuare ad essere il luogo in cui si insegna a coglierne le ragioni e la bellezza. I genitori siano, dunque, soggetti attivi della catechesi, non imponendo, ma proponendo l'esperienza spirituale alla libertà dei figli.

Cap. 8 Accompagnare, discernere e integrare le fragilità
Riprendendo, quindi, uno dei temi centrali del dibattito sinodale, il Papa si sofferma sulle famiglie che vivono situazioni di fragilità ed afferma, in primo luogo, che “non ci si deve aspettare dall’Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Pertanto, i pastori dovranno promuovere il matrimonio cristiano sacramentale, unione esclusiva, libera e fedele tra uomo e donna; ma dovranno anche accogliere, accompagnare ed integrare con misericordia le fragilità di molti fedeli, perché la Chiesa deve essere come “un ospedale da campo”. “Non ci capiti di sbagliare strada – scrive Francesco – La strada della Chiesa è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione”, quella che non condanna eternamente nessuno, ma effonde la misericordia di Dio “a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero”, perché la logica del Vangelo dice che “nessuno può essere condannato per sempre”.

No a norma canonica generale, ma discernimento responsabile caso per caso
Integrare tutti, dunque – raccomanda l’Esortazione – anche i divorziati risposati che possono partecipare alla vita della comunità ad esempio attraverso impegni sociali o riunioni di preghiera. E riflettere su quali delle attuali esclusioni liturgiche e pastorali possano essere superate con “un adeguato discernimento”, affinché i divorziati risposati non si sentano “scomunicati”. “Non esistono semplici ricette – ribadisce il Papa – Si può soltanto incoraggiare ad un discernimento responsabile dei casi particolari, perché “il grado di responsabilità non è uguale per tutti”.

Eucaristia non è premio per i perfetti, ma alimento per i deboli
In due note a pie’ di pagina, poi, il Papa si sofferma sulla disciplina sacramentale per i divorziati risposati: nella prima nota afferma che il discernimento pastorale può riconoscere che, in una situazione particolare, “non c’è colpa grave” e che quindi “gli effetti di una norma non necessariamente devono essere gli stessi” di altri casi. Nella seconda nota, Francesco sottolinea che “in certi casi” l’aiuto della Chiesa per le situazioni difficili “potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”, perché “il confessionale non deve essere una sala di tortura” e “l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un alimento per i deboli”.

Esame di coscienza per divorziati risposati. Leggi morali non sono pietre
Per i divorziati risposati, risulta comunque utile “fare un esame di coscienza” ed avere un colloquio con un sacerdote in foro interno, ovvero in confessione, per aiutare la formazione di “un giudizio corretto” sulla situazione. Essenziale, però – sottolinea il Pontefice – è la garanzia delle condizioni di “umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa”, per evitare “messaggi sbagliati”, come se la Chiesa sostenesse “una doppia morale” o i sacramenti fossero un privilegio da ottenere “in cambio di favori”. Perché è vero che “è meschino” considerare l’agire di una persona solo in base ad una norma ed è vero che le leggi morali non possono essere “pietre” lanciate contro la vita dei fedeli. Però la Chiesa non deve rinunciare “in nessun modo” a proporre l’ideale pieno del matrimonio. Anzi: oggi è più importante una pastorale del consolidamento, piuttosto che del fallimento, matrimoniale.

Chi pone condizioni alla misericordia di Dio annacqua il Vangelo
L’ideale evangelico, allora, non va sminuito, ma bisogna anche assumere “la logica della compassione verso le persone fragili”. Non giudicare, non condannare, non escludere nessuno, ma vivere di misericordia, “architrave della Chiesa” che non è dogana, ma casa paterna in cui ciascuno ha un posto con la sua vita faticosa. E questo, in fondo, è “il primato della carità” che non pone condizioni alla misericordia di Dio “annacquando il Vangelo”, che non giudica le famiglie ferite con superiorità, in base ad una “morale fredda da scrivania”, sedendo sulla cattedra di Mosè con cuore chiuso, ma si dispone a comprendere, perdonare, accompagnare, integrare.

Cap. 9 Spiritualità coniugale e familiare. Cristo illumina i giorni amari
Nell’ultimo capitolo, Amoris Laetitia invita a vivere la preghiera in famiglia, perché Cristo “unifica ed illumina” la vita familiare anche “nei giorni amari”, trasformando le difficoltà e le sofferenze in “offerta d’amore”. Per questo, il Papa esorta a non considerare la famiglia come “una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre”, bensì come uno sviluppo graduale della capacità di amare di ciascuno. “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” è l’invito conclusivo di Francesco che incoraggia le famiglie del mondo a non “perdere la speranza”.

Da Radio Vaticana 
367Gli Apostoli erano andati a pescare, ma senza esito. All'alba, un uomo, che ancora non avevano riconosciuto, sulla spiaggia dice loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete" (Gv 21,6). Obbediscono e prendono una grande quantità di pesci. Allora, quel discepolo che Gesù amava, ossia Giovanni, disse a Pietro: "E' il Signore!" (Gv 21,7). Notiamo subito una cosa: Giovanni è sempre il primo, il primo a credere nella Risurrezione del Signore e il primo a riconoscerlo sulla spiaggia del mare. Giovanni è il primo perché è colui che ama di più. E' sempre l'amore ad aprire il nostro cuore al dono della fede. Al sepolcro Giovanni fu il primo a credere alla Risurrezione di Gesù, ma lasciò che fosse Pietro il primo ad entrare nel sepolcro vuoto; sulla barca Giovanni fu il primo a riconoscere Gesù, ma fu Pietro che per primo lo raggiunse, buttandosi in mare. Questo particolare ci fa comprendere che il vero amore a Gesù è sempre rispettoso della gerarchia voluta da Dio. Pietro era il primo nell'autorità e Giovanni fu sempre obbediente a questa volontà divina. Così dobbiamo fare anche noi: dobbiamo obbedire ai legittimi pastori della Chiesa non perché amano il Signore più di noi: dobbiamo obbedire ai legittimi pastori della Chiesa non perché amano il Signore più di noi (a volte potrebbe essere il contrario), ma perché hanno ricevuto da Dio la missione di governare la Chiesa.
Quando infine erano tutti sulla spiaggia e stavano consumando il pasto, Gesù, per ben tre volte, chiese a Pietro se lo amava. Pietro si rattristò di questa insistenza, e disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene" (Gv 21,17). Egli comprese bene il significato di quella triplice domanda: per tre volte aveva rinnegato il Signore, ora per tre volte gli viene chiesto se amava il Signore. Egli doveva riparare per tre volte il suo triplice rinnegamento. Questo particolare ci insegna che la migliore riparazione dei nostri peccati è sempre l'amore di Dio, l'amore che ci spinge a fare grandi cose per Lui e per i fratelli.
Ad ogni risposta di Pietro, Gesù replicò: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Questo ci insegna che, nella Chiesa, l'autorità non è dispotismo, ma servizio d'amore. Solo chi ama è capace di pascere il gregge di Cristo che è la Chiesa. Pietro, sospinto dall'amore di Cristo, fece grandi cose per Dio e per la Chiesa. Si spinse fino a Roma, nel cuore del paganesimo, ove subì il martirio. Ogni Papa è il Vicario dell'Amore di Cristo. Nei primi tre secoli, pressoché tutti i Papi sono morti martiri per la fede e per il loro gregge. Comunque, la vita di ogni Papa è un continuo martirio spirituale. [...]
Negli anni '50, a Roma, vi fu un uomo che voleva uccidere il Papa, che allora era Pio XII. Egli si aggirava spesso in Piazza San Pietro con un pugnale nascosto dentro la giacca. Grazie a Dio non riuscì mai a realizzare questo suo proposito. Con l'andare degli anni cresceva sempre di più nel suo cuore l'odio alla Chiesa e al Papa, finché in seguito a una apparizione della Madonna, egli si convertì profondamente, diventando, da persecutore, fervente apostolo. Il suo nome era Bruno Cornacchiola, e morì pochi anni fa a Roma. La Madonna, in seguito, gli apparve, diverse volte e gli parlò dei mali cui era soggetta la Chiesa. Diventato ormai anziano, egli disse che non si è persecutori della Chiesa solo pugnalando il Papa, come lui voleva fare, ma anche non obbedendogli, cosa che purtroppo avviene molto frequentemente ai giorni d'oggi.
Se veramente vogliamo essere obbedienti a Cristo, dobbiamo essere obbedienti al suo Vicario qui in terra. Preghiamo per lui e ascoltiamo con docilità il suo insegnamento.

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