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stemma e nome

p.-oscar-ok"Da questa porta d'ingresso a Calama Cristo ci accoglie tutti".  Giovedi 19 maggio. Sono le prime parole del saluto di Mons. Oscar Blanco nel suo ingresso ufficiale nella Diocesi di Juan Bauptista de Calama. Ai piedi della monumentale statua del Cristo che sovrasta il paesaggio lunare del deserto di Atacama. In lontananza l'oasi di Calama dove Papa Francesco ha chiamato P Oscar a servire un popolo buono e lavoratore, ricco di tradizioni religiose aperto alla speranza, al dialogo e all'accoglienza. Nei saluti ufficiali si sono alternate autorità  civili e religiose. Il saluto di Mons. Oscar è  stato preceduto dalle parole del Nunzio Apostolico in Cile S.E.  Mons. Ivo Scapolo. Il Vescovo Oscar circondato da alcune rappresentanze della Diocesi e da numerosi ragazzi e ragazze alcuni in costume tradizionale, ha salutato la Chiesa che ora è  chiamato a servire ricordando a tutti che: "Da questo luogo simbolico, dalla porta di Calama noi entriamo attraverso la porta che è  Cristo, entriamo in una città  che chiede la giustizia e la pace; per questo vi domando di lavorare tutti uniti. Dio vi benedica". Nella serata di ieri in una celebrazione presieduta in Cattedrale dal Nunzio Ivo Scapolo, Mons. Oscar ha recitato la professione di fede e al termine della liturgia eucaristica, in segno di profonda comunione con L'Ordine della Madre di Dio, ha ricevuto una reliquia del Fondatore San Giovanni Leonardi che da oggi vegliera' sulla Chiesa di Calama.


non-temere-okHa visto la luce di recente Non Temere. Dialogo su Giovanni, un libro sul nostro Fondatore, San Giovanni Leonardi, destinato a giovanissimi e giovani -  ma che risulta di gradevole lettura anche agli adulti, frutto del Progetto Vocazionale OMD Samuel.

«Diversamente da altre biografie, questo dialogo, con la sua scrittura veloce ed incalzante, col suo farci riflettere sulla folla di pensieri, dubbi, emozioni, decisioni e indecisioni che l’uomo Giovanni ha compiuto e provato, fa risaltare in pieno tutte le inattese svolte della vita di questo prete lucchese. Un prete che, arrivato alla decisione del sacerdozio già adulto, forse si sarebbe accontentato ben volentieri di pochi compagni e una piccola parrocchia per vivere nel servizio pastorale la sua pagina di Vangelo.

Un ritratto fresco e appassionato, frutto di un’assidua e accorta frequentazione delle fonti, sia delle prime narrazioni della vita che ne fecero i suoi primi compagni, sia dei ritratti meno lusinghieri che ne stilarono i suoi più accaniti avversari. […]

Narrando la vicenda umana e spirituale di Giovanni Leonardi, queste pagine ci rivelano ciò che davvero ci accomuna ai santi, quelli veri, quelli fatti di carne ed ossa, di dubbi e di sogni, figli del loro tempo, con un loro carattere preciso e non sempre facile, con le loro simpatie e antipatie, i loro affetti e desideri. Quei santi che, essendo uomini e donne alla scuola della vita come ciascuno di noi, possono anche cadere in madornali sviste ed incappare in errori e malintesi. Cosa allora rende la vita di Giovanni e quelle dei santi così speciali? La loro capacità di accogliere tutti i loro limiti come un prezioso bagaglio con il quale partire nella loro personale ricerca della verità, di una parola autentica sulla loro vita, le loro relazioni, il mondo, Dio.

Giovanni ce lo indica chiaramente: è possibile scrivere anche su righe storte, è possibile scoprire qualcosa di meraviglioso anche per vie che non avremmo mai scelto da noi stessi e per noi stessi.

Lasciamoci coinvolgere dall’avventura di Giovanni e camminiamo con fiducia, insieme a lui, per quelle strade che magari non saremo noi a scegliere, ma sulle quali avremo modo di costruire la trama della nostra, originalissima, “Biografia su righe storte”. » (dalla Postfazione)

Giovanni Leonardi, scrivendo dritto su righe storte, ponendo Gesù come centro e misura di ogni cosa, avendo Maria Assunta come compagna, madre,  maestra e patrona, sarà Fondatore dei Chierici regolari della Madre di Dio, Co-fondatore del Collegio Urbano di Propaganda Fide, Visitatore Apostolico: un gigante della Riforma, un Santo per tutta la Chiesa.

Chi desidera il testo può farne richiesta alla Comunità B.V. Maria del SS Rosario, Via Nicotera 2 – 76017 San Ferdinando di Puglia. 0883 621086.

smpIn occasione del Giubileo dei Diaconi la venerata icona di Santa Maria in Portico (Romanae Portus Securitatis) particolare protettrice della città di Roma, sarà traslata dal suo santuario di Campitelli in Piazza San Pietro  per l’Eucarestia presieduta da Papa Francesco il prossimo 29 Maggio. Con i permessi del Cardinale Vicario Agostino Vallini, una speciale processione giubilare partirà Sabato 28 maggio ore 16,30 dalla Chiesa di Santa Maria in Campitelli alla Chiesa di San Salvatore in Lauro. Il rito della traslazione ricalca i numerosi pellegrinaggi che i Pontefici nei secoli hanno voluto che fossero realizzati nei giubilei o in circostanze particolari con la piccola icona di Santa Maria in Portico, la cui devozione popolare si fonda su un’apparizione mariana avvenuta il 17 luglio del 524 alla nobile romana santa Galla figlia del Prefetto Simmaco e al Papa Giovanni I. La nobile Galla era solita accogliere e nutrire i poveri e i pellegrini nel portico della sua casa. Questo servizio che rendeva efficace il Vangelo della Carità, fu confermato, afferma una antichissima tradizione, da una singolare luce che avvolse la dispensa dove la santa custodiva il pane degli ultimi e dei bisognosi. Ed per questo motivo, ha affermato S. E. Mons. Rino Fisichella Presidente del Pontificio Consiglio della Nuova Evangelizzazione, incaricato dell’organizzazione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia,  che: “Per la particolare venerazione riservata dall’Urbe all’icona di Santa Maria in Portico è assai significativo, considerata l’origine diaconale della venerazione della santa effigie, che in occasione del prossimo Giubileo dei Diaconi, potesse essere traslata in Piazza San Pietro”.


Sabato, 14 Maggio 2016 10:27

Respirare lo Spirito santo

372Oggi è il giorno della Pentecoste, il giorno della discesa dello Spirito Santo. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù, e improvvisamente discese su di loro, sotto forma di lingue di fuoco, lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità. Gesù aveva promesso ai suoi Apostoli che non li avrebbe lasciati orfani e aveva detto loro: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Questa promessa si è realizzata proprio nel giorno della Pentecoste.
La prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, descrive quel giorno, nel quale fu formata la Chiesa. A Nazareth, lo Spirito Santo era disceso sulla Vergine Maria per formare il corpo di Cristo; nel Cenacolo a Gerusalemme il Paràclito discese per formare il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Prima della discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli erano timidi e timorosi, non osavano predicare al popolo; mentre, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, essi iniziarono a predicare con coraggio, e così fecero fino alla suprema testimonianza del martirio.
Nel giorno di Pentecoste, che era già una festività giudaica, erano riuniti a Gerusalemme ebrei giunti da diverse parti del mondo allora conosciuto. Alcuni venivano dalla Mesopotamia, altri dalla Cappadocia, dall'Egitto e dall'Arabia. La cosa più sorprendente fu che ciascuno di loro sentì predicare gli Apostoli nella propria lingua. Fu chiaramente un miracolo che indicava come il Vangelo doveva essere predicato in tutto il mondo, fino a raggiungere gli estremi confini della terra. Nella loro predicazione, gli Apostoli erano istruiti interiormente dallo Spirito Santo. Gesù lo aveva detto chiaramente: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Lo Spirito Santo lo abbiamo ricevuto in dono anche noi. Lo abbiamo ricevuto già con il Battesimo, ma è soprattutto con la Cresima che il Paràclito è disceso su di noi e ci ha arricchiti con i suoi Sette Doni. Lo Spirito Santo è il nostro Santificatore. Lo dobbiamo pregare frequentemente, affinché, come dice san Paolo nella seconda lettura, non ci facciamo dominare dalle opere della carne (cf Rm 8,8), ovvero dal peccato che continuamente ci minaccia. Sarà una cosa molto bella ripetere ogni giorno, magari al mattino, la bella Sequenza allo Spirito Santo che abbiamo recitato prima della lettura del Vangelo. Con questa stupenda preghiera abbiamo domandato al Paràclito che ci invada nell'intimo del nostro spirito, che lavi la nostra anima, che la irrighi se arida, che la sani se piagata, che la scaldi se gelida. Recitiamo questa Sequenza con amore e attenzione.
La parola Paràclito, con cui è chiamato lo Spirito Santo, significa Consolatore. Egli ci consola nelle nostre miserie e guida la nostra preghiera, ispirandoci ciò che è bene domandare al Padre. Lo Spirito Santo arricchisce la nostra anima con i suoi Sette Doni, che ci fanno essere dei santi cristiani. Essi sono come dei piccoli semi che devono essere irrigati dalla nostra preghiera per giungere a maturazione. Nella vita dei Santi possiamo vedere il loro pieno sviluppo.
Il primo dono è la Sapienza, che ci permette di ragionare non secondo il mondo, ma secondo la profondità di Dio, e ci dona il gusto inesprimibile di Dio e delle realtà divine; poi abbiamo il dono dell'Intelletto, che ci consente di approfondire le verità della nostra Fede e di aderire ad esse quasi per un istinto soprannaturale; segue poi il dono della Scienza, che ci dà la capacità di risalire al Creatore partendo dalle creature e di vedere in ciascuna delle creature un riflesso di Dio; poi abbiamo il dono del Consiglio, che, nei momenti più importanti, ci suggerisce la decisione giusta da prendere secondo la Volontà di Dio, e, innanzitutto, ci suggerisce di ascoltare con docilità il consiglio di una saggia guida spirituale; vi è inoltre il dono della Fortezza che ci dà l'energia per resistere al male che c'è intorno a noi e, tante volte, anche dentro di noi; in seguito, c'è il dono della Pietà che perfeziona il nostro amore e lo dilata oltre l'umana ristrettezza, per poter così amare Dio e il prossimo nostro fino all'eroismo; infine, abbiamo il dono del Timor di Dio, che ci consente di evitare il peccato, non tanto per paura dei castighi, ma per puro amor di Dio.
Preghiamo con fiducia lo Spirito Santo che questi piccoli semi, nella nostra vita, giungano a perfetta maturazione.
missione-giovaniUn triduo particolare ci preparerà alla celebrazione della Solennità della Beata Vergine Maria del SS Rosario, titolare della Parrocchia affidata al nostro Ordine in San Ferdinando di Puglia.
Amati X Amare, quattro giornate di Missione Giovani animata dalle Suore Francescane Alcantarine e volta a rendere i giovani della nostra Parrocchia protagonisti nella missione verso i loro amici e coetanei per condividere  la luce e la gioia che solo Cristo, luce del mondo, può dare.
Preghiera, canto, danza, allegria per dar luogo alla festa della vita che sgorga dal Risorto e viene affidata a noi suoi discepoli.

Sabato, 07 Maggio 2016 10:34

Di questo voi siete testimoni

371La morte di Gesù ha costituito uno scandalo per i suoi discepoli, perché essi si erano plasmati un Cristo senza croce. Ma Gesù di Nazaret è il Messia; e non esiste altro Messia che il crocifisso e il glorificato. È attraverso la catechesi del Signore, risuscitato, che i discepoli capiscono che il Messia doveva soffrire e risuscitare dai morti. Era il disegno di Dio manifestato nelle Scritture. Il senso della croce e dell’accompagnamento dei discepoli sulla croce, si scontra con l’intelligenza, con il cuore e con i progetti dell’uomo.

Affinché i discepoli possano essere i testimoni autorizzati di Gesù Cristo, non solo devono comprendere la sua morte redentrice, ma anche ricevere lo Spirito Santo. Gesù si separa dai discepoli benedicendoli e affidandoli alla protezione di Dio Padre. Ascensione del Signore al cielo e invio dello Spirito Santo, per fare dei discepoli dei testimoni coraggiosi e per accompagnarli fino al ritorno di Gesù, sono strettamente collegati.

Lo Spirito Santo aumenterà la potenza della parola del predicatore e aprirà l’intelligenza degli ascoltatori. Della vita fragile del missionario egli farà una testimonianza eloquente di Gesù Cristo morto sulla croce e vivo per sempre. Nel mondo, al fianco dei discepoli, lo Spirito Santo sarà il grande Testimone di Gesù.

atti-okL’edizione di Osservatore Romano di Domenica 1 maggio ha presentato in un articolo di Davide Carbonaro, gli Atti che raccolgono i contributi dei centenari della morte di San Giovanni Leonardi (1609) e della nascita di Ludovico Marracci (1612). Di seguido proponiamo l’articolo titolato:“Secoli specchio del presente”.

Nel secolo XVI e nel  XVII: “Si delinearono le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l'illusione di una possibile e totale autonomia dell'uomo il quale sceglie di vivere come se Dio non ci fosse”. Con queste parole Papa Benedetto XVI contestualizzava in una catechesi del 2009 la figura, l’opera e l’intuizione profetica di San Giovanni Leonardi (1541-1609), di cui in questi giorni escono per i tipi della Libreria Editrice Vaticana gli atti del Convegno internazionale che nel 2009 commemorava il IV centenario della sua  nascita al cielo: San Giovanni Leonardi amico dei Santi. Personaggi, movimenti e modelli nell’esperienza spirituale e pastorale del Santo lucchese. In effetti, la vita del Leonardi fu segnata fin dall'inizio da una intima relazione con Cristo, ne riconobbe la signoria, non distolse lo sguardo dal suo volto, lo propose come una sorgente di verità a quanti vollero seguirlo nell'avventura dell'istituzione che lo Spirito fece sorgere dalla sua intelligenza e dal suo cuore. Amò e difese la Chiesa in un tempo di profonde lacerazione e contraddizioni, ebbe modo di subire numerose tribolazioni soprattutto da coloro che erano a lui più vicini. Servì i più piccoli investendo tempi ed energie per educare alla fede, rimodellò secondo le esigenze del Vangelo la vita consacrata chiedendo a tutti di fare gli interessi di Cristo. Gli Atti con i contributi di Benedetto XVI; Davide Carbonaro; Gian Luca D’Errico; Francesco Danieli; Adolfo Gacia Duran; Vittorio Pascucci e Gianfranco Ravasi, propongono una rilettura sincronica e diacronica di quelle “istanze di riforma ecclesiale” che accompagnarono il Fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio durante il servizio di Visitatore apostolico. E questo senza nulla togliere al bagaglio di esemplarità che traspariva dalla sua vita e dalle sue parole. Fu il connotato dell’amicizia spirituale con San Filippo Neri, San Giuseppe Calasanzio e tanti altri protagonisti della riforma della Chiesa che lo spinse a proporre, lui che in giovane età aveva esercitato l’arte dello speziale, la vigorosa medicina del Vangelo che instillò nei due memoriali rivolti a Papa Paolo V.  Il primo per la Riforma universale della Chiesa e l’altro per l’istituzione del Collegio di Propaganda Fide, le cui prime fondamenta vennero gettate con due amici, Juan Baptista Vives e Martin de Funes.  Di questa opera il Leonardi non ne vide la realizzazione, ma con lungimiranza la affidò al Papa: “Il Capo che ha da governare questa Congregazione et che sarà incominciata da lui”. Ed è  proprio nel solco di questa intuizione che nella metà del XVII secolo una dei figli del Leonardi per incarico di Papa Innocenzo XI e del Propaganda Fide, compirà l’ardua opera di mediazione culturale che fu la traduzione del Corano in latino (Alcorani textus universus) e della Bibbia vulgata in arabo (Biblia Sacra Arabica). Si tratta del lucchese P. Ludovico Marracci (1612-1700) di cui l’Ordine della Madre di Dio ha voluto in occasione del IV centenario dalla nascita riscattare la figura e l’opera, con due convegni celebrati a Roma e a Lucca nel 2012 e 2013. Le riflessioni sono confluite negli atti: Il Corano e il pontefice. Ludovico Marracci fra cultura islamica e Curia papale, a cura di Gian Luca D’Errico, Carocci editore, Roma 2015. I contributi affidati a Ignazio Del punta; Luca Santini; Gian Luca D’Errico; Francesco Bustaffa; Luca Andreoni; Giovanni Pizzorusso; Roberto Tottoli; Giovanni Rizzi; Paolo Branca; mettono in evidenza le implicanze, scientifiche, ermeneutiche e culturali che sottostanno al metodo di P. Marracci, senza escludere le prospettive odierne per quanto riguarda il dialogo e l’incontro tra cultura cristiana ed islamica. Le competenze di Marracci in campo linguistico sono attestate dall’assegnazione della cattedra di lingua araba alla Sapienza di Roma, affidatagli dal Pontefice Alessandro VII nel 1656 e che tenne per quarant’anni. Il testo degli atti oltre una presentazione prosopografica e del contesto storico in cui visse Marracci analizza il ruolo che egli ebbe presso la Congregazione romana del Sant’Uffizio e in quella dell’Indice. I diversi consulti rilasciati alle congregazioni ed in particolare ai pontefici, evidenziano la rottura di cui si fece interprete nei confronti dell’intransigenza del partito curiale dominante.  La sua levatura e confidenza con il Papa Innocenzo XI , di cui fu confessore, incisero in quella che è passata alla storia come “svolta innocenziana”. Gli atti infine,  approfondiscono le componenti culturali e le competenze scientifiche del Marracci orientalista e traduttore; l’uso delle fonti  con le quali lavorò, facendo confluire  criteri ermeneutici; teologici e missionari. Tutto ciò, ci permette di affermare con M. A. Ayuso Guixot, che: “Con il Marracci l’orientalismo scientifico fa i suoi primi passi”.

370Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell'anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l'interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c'è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all'aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C'è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d'amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d'ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.
Sabato, 23 Aprile 2016 09:06

AMATEVI, COME IO HO AMATO VOI

369Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua ci insegna quella che deve essere la misura del nostro amore fraterno. L'esempio che dobbiamo imitare è molto grande, il più grande che potessimo avere. Non dobbiamo amare il prossimo come lo ama una qualsiasi persona buona, ma come Gesù ci ha amati e continuamente ci ama. Comprendiamo subito una cosa: non riusciremo mai ad uguagliare l'amore di Gesù. Per quale motivo, dunque, Egli ci dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)?
La risposta penso sia soltanto una: Gesù ci dice di imitare un modello irraggiungibile per farci comprendere che dobbiamo e possiamo sempre migliorare e crescere nella carità. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di amare abbastanza.
Com'è che Gesù ci ha amati? Ci ha amati fino a morire in Croce per noi, fino al Sacrificio supremo, fino al dono dell'Eucaristia, e fino a donarci, dall'alto della Croce, quanto aveva di più caro: la Madre sua quale Madre nostra tenerissima. Poteva dimostrarci un amore più grande? Certamente no! Egli ha dato tutto: la sua vita e il suo amore per noi.
Sul suo esempio, dobbiamo amarci gli uni gli altri. A questa scuola divina, comprenderemo facilmente che la prova sicura dell'autentica carità è il sacrificio. Infatti, solo chi ama è disposto a sacrificarsi per una persona, fino a donare tutta la sua vita. Così fanno i genitori con i figli, così fanno le persone che si amano autenticamente e non sono accecate dall'egoismo. L'egoismo è l'esatto contrario dell'amore. L'amore è donazione; l'egoismo è solo ricerca del proprio tornaconto. Pensiamo a quante famiglie si sfasciano. Per quale motivo tante divisioni? Si sta insieme solo fino a quando ci è utile, ma quando c'è da affrontare qualche sacrificio, allora si molla tutto. Non era Gesù la misura dell'amore, ma unicamente il nostro io.
Dobbiamo un po' tutti convertirci dall'egoismo all'amore. Tanti si illudono di amare; ma, in realtà, cercano solo il proprio benessere. Se di fronte al sacrificio noi non amiamo più, allora significa che in realtà non abbiamo mai amato, ma abbiamo unicamente cercato il nostro io nelle consolazioni e nei benefici che ci venivano dalle persone che ci illudevamo di amare. È regola infallibile che i veri amici si vedono solo al momento della prova. Di questi veri amici, purtroppo, ce ne sono sempre molto pochi. Amare, dunque, costa sacrificio, e non può essere diversamente.
Sospinti da questo amore per il prossimo, Paolo e Barnaba predicavano il Vangelo fra molte difficoltà e opposizioni. I due Santi non badavano però a tali persecuzioni perché dicevano: «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Da loro impariamo che, se veramente vogliamo bene al nostro prossimo, innanzittutto dobbiamo ricercare il loro bene spirituale, la loro salvezza eterna. Per salvare le anime, Paolo e Barnaba non badavano ai sacrifici che inevitabilmente dovevano affrontare. Tutto era poco in paragone alla salvezza dei fratelli. Si sarebbero poi riposati in Paradiso; ma, finché erano su questa terra, c'era da lottare.
Una volta lasciata questa terra, avremo la giusta ricompensa. San Giovanni, nella seconda lettura di oggi, ci dice che in Paradiso Dio «asciugherà ogni lacrima [...] non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4). Pensiamo spesso al Paradiso e comportiamoci in modo da meritarlo.

Sabato, 16 Aprile 2016 12:05

La mano di Cristo, il pastore buono

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Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo? Il dono della vita per sempre (cf. Gv 10,28) e quella convinzione profonda che siamo nella sua mano e che da essa nessuno potrà mai strapparci via (cf. Gv 10,28-29). Sì, la mano di Gesù: mano che ci tocca per guarirci; mano che ci rialza se cadiamo; mano che ci attira a sé quando, come Pietro affondiamo (cf. Mt 14,31); mano che ci offre il pane di vita; mano che si presenta a noi con i segni dell’aver sofferto per darci la vita (cf. Lc 24,39Gv 20,20.27); mano che ci benedice (cf. Lc 24,50), tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci. Ecco quella mano del Signore che più volte è stata dipinta tesa verso l’uomo, perché ognuno di noi per camminare ha bisogno di mettere la propria mano in quella di un altro. Solo così non ci sentiamo soli e ci sentiamo non esenti da cadute o sventure, ma sempre sostenuti dal Signore, sempre in relazione con lui. Queste parole del Kýrios risorto – “Nessuno strapperà le mie pecore dalla mia mano, perché sono il dono più grande che il Padre mi ha fatto, il dono più grande di tutte le cose” – sono e restano, anche nella notte della fede, anche nelle difficoltà a camminare nella notte, ciò che ci basta per sentirci in relazione con il Signore. Se anche volessimo rompere questa relazione e se anche qualcuno o qualcosa tentasse di romperla, non potrà mai accadere di essere strappati dalla mano di Gesù Cristo. L’Apostolo Paolo, significativamente, ha gridato: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm  8,35). No, niente e nessuno, “ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm  8,37). E la mano di Gesù Cristo risorto è la mano di Dio, perché lui e il Padre sono uno.
Ma dobbiamo dirlo: una fede così, anche se povera e fragile, scatena l’avversione e la violenza di chi non può credere in Gesù. Ecco perché, al sentire queste sue parole quei farisei, che credevano di vedere bene, raccolgono delle pietre per lapidarlo (cf. Gv 10,31). Dove c’è un’azione, un comportamento, una parola di amore, gli uomini religiosi vedono una bestemmia, un attentato al loro Dio, che vorrebbero fosse un Dio senza l’uomo, contro l’uomo! Amano infatti più la religione che l’umanità, più le idee e la loro dottrina che non l’umano, cioè i fratelli o le sorelle accanto a noi nella loro condizione di peccato, di fragilità: condizione, appunto, propria degli umani, che la mano di Dio deve salvare e rialzare. 
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