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Con Cristo
misurate le cose
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Con Cristo
misurate le cose
Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente a mettere Dio in cammino. Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio differente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma anche dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi. Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Padre non si oppone, non è mai contro la libertà. Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore malato di cose grandi e le piccole non saziano. Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ritorna, se per fame o per amore, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «vede quando è ancora lontano».Padre, non sono degno, trattami da servo. E lui lo interrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non emana verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato dell'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla. Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito? Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno prodigo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.
Non più la guerra, non più la guerra!": è il grido lanciato da Papa Francesco dinanzi a circa centomila persone, credenti e non credenti, giunte in Piazza San Pietro per partecipare alla Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e nel mondo intero. "La guerra - ha detto il Papa - non è mai la via della pace", mentre l'idolo del potere trasforma gli uomini in nuovi Caino che rendono sempre più sottili le ragioni per giustificare la loro violenza.
Il mondo che vogliamo è “un mondo di armonia e di pace” – come Dio lo ha creato – eppure ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Papa Francesco parte dal racconto biblico della creazione, opera stupenda di Dio, ferita quando l’uomo “lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà” e “si chiude nel proprio egoismo”: “Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto”. Quando l’uomo “rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo”, diventa come Caino – afferma il Papa – e “il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere”: “In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello”. Dall’età della pietra al terzo millennio è in fondo un atteggiamento che non è cambiato: “Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!”. Ma “dopo il caos del Diluvio – ha sottolineato il Pontefice - ha smesso di piovere: si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo”: “Penso anche oggi a quell’ulivo che rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Piazza de Mayo nel 2000, chiedendo che non sia più caos, chiedendo che non sia più guerra, chiedendo pace”. Il Papa si domanda: “E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace?”: “Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!”. La fede cristiana spinge a guardare alla Croce. “Come vorrei – afferma Papa Francesco - che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio”: “Lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace!”. Di qui l’esortazione “a guardare nel profondo della propria coscienza” per ascoltare quella parola che dice “esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione”: “Guarda al dolore del tuo fratello - ma penso ai bambini, soltanto a quelli - guarda al dolore del tuo fratello e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: 'Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!' (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965)”. “La pace si afferma solo con la pace – ribadisce il Papa – quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità” (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976). E conclude: “Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.
8 settembre 2013
Hanno celebrato le nozze a Gallipoli giovedì 5 settembre nella Chiesa del Sacro Cuore: Davide Tuccio e Giovanna Caputo. Il Dott. Tuccio è Direttore responsabile del Notiziario OMD. Il rito è stato presieduto dal Parroco P. Ignazio Miccolis. Ai novelli sposi gli auguri della famiglia leonardina.
8 settembre 2013
Mons. Vincenzo Viva (42 anni), sacerdote del clero di Nardò-Gallipoli, è stato nominato Rettore del Pontificio Collegio Urbano "de Propaganda Fide" in Roma. La nomina, effettiva dal 1° agosto 2013, è giunta dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il dicastero della Santa Sede che dirige e coordina l'opera di evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, da cui dipende anche integralmente il Collegio fondato da Urbano VIII il 1° agosto 1627. L'annuncio della nomina è stato dato dall'Amministratore diocesano, Mons. Luigi Ruperto. Don Vincenzo Viva succede nell'incarico al comboniano P. Fernando Domingues (53 anni), nominato recentemente Segretario Generale della Pontificia Opera San Pietro Apostolo. Il nuovo Rettore ha voluto rendere omaggio, accompagnato dai vice rettori e da quaranta nuovi alunni, alle reliquie di San Giovanni Leonardi domenica 1 settembre. Al termine della celebrazione eucaristica gli studenti insieme al Rettore hanno vuluto affidare al santo cofondatore di Propaganda Fide il nuovo anno accademico.
Il Collegio Urbano "de Propaganda fide" in Roma accoglie attualmente 160 seminaristi da 27 nazioni diverse, scelti e inviati dai rispettivi vescovi delle giovani chiese di quattro continenti (Africa, Asia, Oceania, America Latina) per essere formati al sacerdozio e svolgere nei loro paesi un qualificato servizio di evangelizzazione. Un'équipe di cinque vice-rettori e quattro padri spirituali collabora con il rettore nel compito formativo che si caratterizza per un accentuato spirito missionario, universale e interecclesiale, ma anche per la sua vicinanza alla tomba dell'apostolo Pietro e lo speciale vincolo con la Cattedra del suo successore, il Santo Padre a poche decine di metri dal Collegio. Il gruppo attualmente più numeroso è quello degli indiani, seguito dai cinesi e dai vietnamiti, numerosi anche i seminaristi provenienti da diversi stati africani. Nella plurisecolare storia del Collegio si ricordano in particolare il co-fondatore san Giovanni Leonardi, il direttore spirituale del Collegio san Vincenzo Pallotti e il Beato John Henry Newman, alunno tra il 1846-1847. Tutti i seminaristi frequentano gli studi alla Pontificia Università Urbaniana, che sorge sulla stesso colle romano del Gianicolo e conta nelle sue diverse Facoltà e istituti circa 1.400 studenti.
8 settembre 2013
Gesù, vedendo la folla numerosa che lo segue, si volta per metterla in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui. Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece adesioni meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità. E indica tre condizioni per seguirlo. Radicali. Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Parole che sembrano dure, eccessive, le diresti la crocifissione del cuore, con i suoi affetti, e invece ne sono la risurrezione. Infatti il verbo centrale su cui poggia tutta l'architettura della frase è: se uno non mi ama di più... Non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non ruba amori, aggiunge un 'di più'. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un potenziamento. Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è il sigillo, la garanzia che se stai con Lui, se lo tieni con te, i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della malattia da sopportare. Ma nel Vangelo la parola 'croce' contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore che non si arrende, non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine. Gesù possiede la chiave dell'andare fino in fondo alle ragioni dell'amore. Allora le due prime condizioni: Amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. La terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è innanzitutto un sacrificio ascetico, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: «io ho, accumulo, e quindi sono e valgo». Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti (M.L. King). Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare di più. Allora nominare Cristo e il Vangelo equivarrà a confortare la vita.
Sono trascorsi 439 anni da quando il 1 settembre 1574 San Giovanni Leonardi fondò l’Ordine della Madre di Dio nella chiesa lucchese della Rosa. Affidò a Maria Regina degli Angeli i primi compagni con la promessa della sua protezione e compagnia amica in ogni luogo l’Ordine fosse presente. Per tale occasione Il P. Generale P. Francesco Petrillo ha inviato ai religiosi OMD una lettera ricordando questo evento “nell’anno di grazia” dedicato alle Costituzioni e Regole le quali “indicano la via di fedeltà al Carisma di san Giovanni Leonardi”. Avvenimento che l’Ordine vive come “cammino spirituale e pastorale”. Ai piedi della Vergine Maria il 1 settembre l’Ordine riconosce la sua identità, afferma il P. Generale da: “Da vivere con gioia e da manifestare visibilmente nell’ardore evangelizzatore, nell’amore per la salvezza delle anime, nello slancio pastorale”. Tale anelito che distinse la vita del fondatore ci spinge a pensarci, augura e conclude il P. Generale: “come evangelizzatori del mondo e come animatori di una famiglia carismatica”.
1 settembre 2013
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Lettera 1 settembre 2013 (28.23 kB)
Sono pochi quelli che si salvano, o molti? Gesù non risponde sul numero dei salvati ma sulle modalità. Dice: la porta è stretta, ma non perché ami gli sforzi, le fatiche, i sacrifici. Stretta perché è la misura del bambino: «Se non sarete come bambini non entrerete!». Se la porta è piccola, per passare devo farmi piccolo anch'io. I piccoli e i bambini passano senza fatica alcuna. Perché se ti centri sui tuoi meriti, la porta è strettissima, non passi; se ti centri sulla bontà del Signore, come un bambino che si fida delle mani del padre, la porta è larghissima. L'insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande; lascia giù tutti i tuoi bagagli, i portafogli gonfi, l'elenco dei meriti, la tua bravura, sgònfiati di presunzione, dal crederti buono e giusto, e dalla paura di Dio, del suo giudizio. La porta è stretta ma aperta. In questo momento aperta. Quello che Gesù offre non è solo rimandato per l'aldilà, ma è salvezza che inizia già ora. È un mondo più bello, più umano, dove ci sono costruttori di pace, uomini dal cuore puro, onesti sempre, e allora la vita di tutti è più bella, più piena, più gioiosa se vissuta secondo il vangelo. È aperta e sufficiente per tanti, tantissimi, infatti la grande sala è piena, vengono da oriente e da occidente e sono folla e entrano, non sono migliori di noi o più umili, non hanno più meriti di noi, non è questo. Hanno accolto Dio per mille vie diverse. Dio non si merita si accoglie. Salvezza è accogliere Dio in me, perché cresca la mia parte divina, ed è così che io raggiungo pienezza. Più Dio equivale a più io. La porta è stretta ma bella, infatti l'attraversano rumori di festa, una sala colma, una mensa imbandita e un turbinare di arrivi, di colori, culture, provenienze diverse, un mondo dove gli uomini sono finalmente diventati fratelli, senza divisioni. Nel seguito della Parabola la porta da aperta si fa' chiusa e una voce dura dice: «Voi, non so di dove siete». Sono come stranieri, eppure avevano seguito la legge, erano andati in chiesa... Tutti abbiamo sentito con dolore questa accusa: vanno in chiesa e fuori sono peggio degli altri... Può accadere, se vado in chiesa ma non accolgo Dio dentro. Dio che entra e mi trasforma, mi cambia pensieri, emozioni, parole, gesti. Mi dà i suoi occhi, e un pezzo del suo cuore. Il Dio della misericordia mi insegna gesti di misericordia, il Dio dell'accoglienza mi insegna gesti di accoglienza e di comunione. E li cercherà in me nell'ultimo giorno. E, trovandoli, spalancherà la porta.
Giovedì 15 agosto, quando la Chiesa ricordava la solennità dell’Assunzione della Vergine Maria, due fratelli della Delegazione cilena: Claudio e Javier, hanno fatto la professione solenne nell’Ordine della Madre di Dio
L’Eucaristia è stata presiduta dal P. Alejandro Abarca, Delegato del Padre Generale per il Cile, ed il rito si è svolto nella parrocchia di San Lazzaro a Santiago. Numerosi fedeli hanno preso parte alla celebrazione, sopratutto dalle comunità dell’Ordine in Cile ed anche famigliari e amici dei religiosi.
Nell’omelia, P. Alejandro, ha sottolineato quella dimensione della vocazione che è sostenuta nella fede in Cristo. Anche questa viene arricchita con la testimonianza che germoglia della consacrazione che l’uomo fa liberamente, con amore verso Dio e gli uomini. Tutto questo ci permette ha concluso il P. Delegato, di incamminarsi nella santità e nella testimonianza cristiana nell’oggi.
Al termine, dopo la celebrazione, è i convenuti hanno potuto condividere un momento di festa nei giardini del seminario.
20 agosto 2013
On 9th August 2012, all the fathers of the Indian delegation came together in our seminary in Madurai for the third time in this year to deal the topic of "Reconciliation" as part of their permanent formation programme. On the third sitting of the ongoing formation programme, the resource person focused on the ways and means of building up our relationship with God. First, he pointed out the importance of getting rid of unhealthy concepts of God. Then, he proceeded to explain four different paths (in Sanskrit known as 'Margas'), Jnana Marga, Bhakti Marga, Karma Marga and Yoga Marga, which take us to God. The next sitting is fixed for 2nd October.
14 agosto 2013
Un padrone parte e affida la sua casa ai servi. La vera fortuna di noi servi inaffidabili consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso. Dio ha un cuore di luce e ti affida la casa, le persone, il mondo. E ti dice: tu puoi. Dio ha fede nell'uomo. La fiducia del mio Signore mi conquista, mi convince, mi fa dire: beato sei tu perché Dio ha fede in te. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli... non è ovvio, non è scontato stare svegli, non è un fatto dovuto o un obbligo. Quell'attesa fino all'alba ha il potere di emozionare e sorprendere Dio, è più di quanto non si aspettasse. Genera infatti in lui una risposta quasi eccessiva, esultante. Ed è il punto commovente, sublime di questa parabola, il momento straordinario, quando accade l'impensabile: Dio da padrone diventa servitore: vi dico che si stringerà le vesti ai fianchi (è l'abbigliamento del servo) li farà sedere a tavola e passerà a servirli. Da quello stupore di Dio, viene una voce: «questi miei figli mi sorprendono, capaci di incantarmi con un di più, un eccesso, una veglia fino all'alba, un vaso di nardo, un perdono con tutto il cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro del tempio, l'abbraccio e il pane dati al più piccolo. Metto ancora la mia gioia nelle loro mani!». Dio non è il Padrone dei padroni, è il servitore della vita. Non abbiamo pensato abbastanza a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone castiga, il servo aiuta; il padrone giudica, il servo sostiene; il padrone detta ordini, il servo ascolta e apre il cuore. Questi è il solo che io servirò perché è l'unico che si è fatto mio servitore. Dov'è il tuo tesoro lì è anche il tuo cuore. Ciò che per me è più prezioso è ciò che più amo. «Ami la terra? Terra diventerai. Ami Dio? Diventerai come Dio», scrive Agostino. L'uomo diventa ciò che ama. La fede avanza per scoperta di tesori, non per doveri. La vita cresce non per obblighi o divieti, ma per una passione, e la passione nasce da una bellezza. La bellezza di un Dio così fa avanzare la mia fede. Un tesoro di persone e di speranze è il motore della vita. Sufficiente a mettersi in viaggio verso Colui che ha nome amore, pastore delle costellazioni e pastore dei cuori, che ci metterà a tavola e passerà a servirci, con tutta la gioia di un padre sorpreso da questi suoi figli, questo piccolo gregge, coraggioso e mai arreso, che veglia sui tesori di Dio, che veglia fino alle porte della luce.