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Sabato, 09 Febbraio 2013 17:02

V Domenica del tempo Ordinario

247Dal Sermone “Beati gli occhi” (C.347)

Quando nostro Signore dice agli Apostoli: “Beati i vostri occhi perché vedono!” ( Cf. Lc 10,23). Non intende la beatitudine carnale e gaudente alla quale i filosofi hanno fatto riferimento; non di certo quella pratica; non tanto quella che si ottiene fidandosi della via, ma quella che è fruttuosa durante il cammino. Cioè, quella offerta dalla conoscenza della fede che si coniuga con la sapienza cristiana.

Fa proprio al caso nostro quel detto dell’Apostolo Paolo: “Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, abominevoli come sono, ribelli e incapaci di qualsiasi opera buona” (Tt 1,16). Così il Signore non si riferisce agli occhi della carne […]. Poiché alle volte ciò che si vede, non corrisponde a ciò che si crede. Infatti, altro vede l’anima e altro vede il corpo. In tal modo, dicendo beati i vostri occhi che vedono, intendeva dire: Beati quegli spiriti, quelle anime che hanno questa conoscenza di Dio e delle cose che gli appartengono.

Beati gli occhi che mi conoscono come il redentore del mondo, la salvezza, il bene, la speranza ed ogni sorta di felicità. Come afferma l’Apostolo: “In Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Cf. Col 2,3).  Coloro che conoscono e confessano questo,  devono abbandonare ogni altro affetto ed interesse. Devono lasciare la barca, la rete, l’umanità di sempre, i parente, cioè gli interesse della carne, abbandonare tutti gli affetti e negando se stessi, seguire me in modestia, in povertà, in croci, in carcere e persino nella morte. Beati dunque i vostri occhi perché vedono!
 
Sabato, 02 Febbraio 2013 08:21

IV Domenica del tempo Ordinario

246
Dal Sermone sulla vocazione di Matteo (C. 254)


Cristo è il medico celeste che vede l’uomo (Cf. Mt 9,9). C’è differenza tra lo sguardo di Dio ed il vedere dell’uomo. Dice Giobbe: Hai tu occhi di carne o anche tu vedi come l’uomo? (Cf. Gb 10,4). Dio non ha corpo né vede con gli occhi della carne. Il suo vedere si può dire in molti modi. Il primo approvando o accettando le cose buone che da lui sono state create (Cf. Gn 1,31).

Come fanno gli uomini che si compiaccono ammirare le loro opere. O come quando uno riceve un dono gradito che non si stanca di guardare, mentre se è ingrato lo allontana dai suoi occhi. Dio guarda punendo come quando gettò i suoi occhi sopra l’accampamento di Israele (Cf. Es 14,24), ma voi fratelli dice l’Apostolo  non siete nelle tenebre così che quel giorno vi possa sorprendere come un ladro (1Tess 5,4).

Lo sguardo di Dio protegge, come afferma il salmista: gli occhi del Signore sopra i giusti (Cf. Sal 33,15). Tale provvidenza e così grande che se Dio la ritira da noi, non siamo più capaci di reggerci da soli. Come un bambino che non sa camminare, è ritto quando la madre lo custodisce, ma quando questa lo lascia, cade per terra. Così Dio! O come uno che voglia riflettere la sua immagine in uno specchio bisogna che vi si rispecchi, così noi non possiamo immaginare di contemplare Dio il Signore nostro, se prima da lui non siamo ammirati come sua immagine.
 
Sabato, 26 Gennaio 2013 11:00

III Domenica del tempo Ordinario

245
Venne a Nazareth, dove era cresciuto (Lc 4,16)


Da un Sermone sul Paradiso (C. 294)

Si tratta di una materia così nobile e belle che se tutte le pietre preziose di questo mondo fossero raccolte insieme, sarebbero come fumo paragonate alla bellezza del Paradiso. […]

Oh città del mio Dio! Oh abitazione eccelsa! Oh luogo di riposo e di pace! Stanza della gioia! Dimora di ogni felicità! Cumulo di delizie! A te sospiro a te grido a te mi rivolgo, a te con i padri  esclamo: Ho Gerusalemme, casa di Dio! Dopo il mio amore a Gesù, tu sei la mia gioia e la mia consolazione, la tua dolce memoria sia refrigerio alla mia tristezza.

Ognuno si levi da questo fango, dalle viscose insidie di questo mondo e salga in cielo, a godere del riposo eterno a disporre per sempre della pace, trovarsi nell’eccelsa luce, ammirare l’incredibile bellezza e stare con il nostro Dio per sempre.
 
Sabato, 19 Gennaio 2013 07:27

II Domenica del tempo Ordinario

244
Sermone sulle nozze di Cana (C. 365)


Voglio trattare della nobiltà delle nozze raccontando il Vangelo nel quale Cristo è presente con la Santa Vergine a Cana. Quando Dio formò l’uomo, la prima cosa che fece fu quelle di dagli una sposa. Di tutto questo l’autore è Dio, il luogo è il paradiso, il tempo è quello della santa innocenza, il fine è la crescita del genere umano. Li benedisse, evitando scandali e paure, perché se non vi fosse stato il matrimonio, si sarebbe dato spazio alla brama. […]

Oh grandezza del matrimonio! Che tanti mali rimedia! Oh sapienza di Dio, affinché l’uomo sia in pace, viva quietamente, rimedi al disordine dell’universo, ha istituito questo santo sacramento. Per l’unione: i due erano una sola carne (Gen 2,24). Quanti esempi eccellenti che i figli possono apprendere dal padre e le figlie dalla madre! Tutto ciò fa quietare gli animi estingue odi ed inimicizie, realizza la pace. La nobiltà di questo sacramento la mostra Nostro Signore con volerlo onorare attraverso la sua presenza e compiendo il suo primo miracolo. 

Oh grandezza del matrimonio! Poiché non c’è altra immagine che più nobilmente ci invita a rappresentare l’unione di Cristo con la sua Chiesa Santa! Come afferma l’Apostolo Paolo: è grande in Cristo questo Mistero! (Cf. Ef 5,32) […] . Ma a me per quanto è grande questo sacramento mi viene voglia di pregare, nel vedere che, oggi dai cristiani ne viene fatto poco conto. Essi alle volte dimostrano che non è Dio l’Autore, ma il demonio; il suo fine non è generare, ma obbligare, non per contenere la brama, ma per accrescere il desiderio; non per unire gli animi, ma le passioni e gli istinti, senza considerare odio e liti. […]

Oh cristiani ciechi! Fermiamoci un attimo su questa presenza di Cristo alle nozze. E siccome tutte le cose sante, santamente si devono trattare, dovrebbero tutti gli sposi far partecipi alle loro nozze Cristo e la Vergine.
Venerdì, 11 Gennaio 2013 16:36

Battesimo del Signore

243
Da un sermone sulla Passione (C 247)


La Scrittura afferma che Mosè percosse con la verga la pietra e vi uscì acqua. Cristo è la pietra, la percossa è la piaga del costato da cui afferma Giovanni: uscì sangue ed acqua (Gv 19, 34).

Attesta ancora la Scrittura, che l’umanità di Cristo è l’arca di Noè alla quale applica le sue stesse proprietà e fra l’altro, riferisce che la porta laterale è la piaga del costato, come riporta in un commento lo stesso Agostino. La tempesta dei dolori in mezzo ai quali si trovò l’arca, e quella descritta, quando si contemplano ad uno ad uno le membra di Cristo.

Come dall’arca, quando terminò la pioggia la colomba turbata, uscì andando e tornando, finché si prosciugarono le acque sulla terra (Gen 8,7); così dopo la morte di Cristo i suoi uccisori non si pacarono, ed osservando con zelo la legge, dissero di voler tagliare le sue gambe perché non rimanesse il Crocifisso nel giorno di Pasqua.
 

Smetti di osservare le piccolezze, togli la tua ipocrisia! Poniti tra la lancia ed il cuore di Cristo per essere tu ferito. Ah! cuor mio, perché non fai da scudo tra la lancia ed il tuo Cristo, il tuo Signore? Perché non ripari tu quel colpo?

Entra in quella piaga che è la porta dell’arca, la piscina che risana, la vasca di Siloe, il Giordano, la porta del Tempio, la pietra di Mosè percossa dalla verga da cui infine viene ogni bene ed i sacramenti.
 
Sabato, 05 Gennaio 2013 10:31

Epifania del Signore

242
Da un Sermone sull’Epifania (C.238)

Come la calamita attira a sé il ferro e non vi è tra i due alcun impedimento così il Verbo fatto uomo attira a sé con l’altezza della sua divinità i cuori umani se questi non vi sovrappongono impedimento.

Infatti, Dio attira a sé il cuore dell’uomo come oggi ha fatto con i santi Magi. Sembra che Dio segua lo stesso modo di fare dei pescatori, i quali prendono i pesci con l’amo o come i cacciatori di uccelli, con il cibo, con la rete, con la mano a seconda delle varie nature di animali. Ora, così il più delle volte fa il divin pescatore quando attrae i pastori mediante un Angelo; i Magi attraverso una stella; Pietro per mezzo della rete; Paolo gettandolo a terra, la Samaritana ragionando con lei […] in effetti, ciascuno sente a suo modo di essere attratto.

Ecco, che oggi i Magi abituati a contemplare i cieli e le stelle per questa strada sono chiamati da una stella. […] Alla vista dei Magi e della stella, si turbò dunque Erode perché temeva di perdere il Regno. Così quando vorrai veramente seguire Cristo, allora il demonio si turberà perché avrà timore di perdere il regno della tua anima.

Ma i Magi non si curarono del turbamento di Erode, ma seguirono sempre il loro percorso finché trovarono ciò che cercavano. Imparate da questo anime devote, a calcolare e a mettere sotto i piedi le cose del mondo.
Lunedì, 31 Dicembre 2012 12:45

Maria S.S. Madre di Dio

241
Da un Sermone sulla circoncisione del Signore


(C. 430)

Si chiama fanciullo e non principe e per te è stato circonciso perché tu possa apprendere la semplicità cristiana […] Per te fu circonciso e fu chiamato con il suo nome Gesù. Gesù vuol dire Salvatore. Da questo apprendi o cristiano a porre ai tuoi figli nomi di salvezza o che conducano alla salvezza come quelli dei santi e delle sante.

[…] ora se il nome come affermano i saggi, è solito dimostrare la natura e la proprietà delle cose, i nomi dei santi ci mostrano come non vogliamo essere simili agli idolatri e ai pagani. Prendendo i santi per vostri avvocati certo essi vi aiuteranno a salvarvi.

Dunque Gesù è il suo nome. Nome potente in cielo in terra e nell’inferno. Nome dolce all’anima. Davanti a questo nome si prostrano tutte le creature del cielo. Tutti occorre che ci inchiniamo con il cuore onorandolo profondamente, imparando da ciò che la Chiesa insegna  ai sacerdoti e al popolo: il gesto di inchinarsi di fronte al nome di Gesù ottiene l’indulgenza dei peccati.

Questo nome dunque sia nel vostro cuore, perché questo nome vi farà osservare la divina legge, vi farà conoscere e confessare i vostri peccati, vi farà osservare non solo il culto interiore, ma anche quello esteriore, vi darà la forza di cominciare fin da piccoli a fare bene le cose, vi farà seguire la semplicità cristiana e finalmente vi farà circoncidere da ogni vizio.
 
Domenica, 23 Dicembre 2012 20:24

Natale del Signore

240
Da un Sermone sul Natale (C.455)


E’ Cristo il vero Cesare Augusto, vero signore dell’unverso. E’ lui che censisce il mondo e lo chiama alla fede. Ognuno nella propria città dovrà iscrivere il suo nome. Prima alla patria celeste dove è il nostro destino e quindi nella Chiesa  santa nella quale sono scritti i nomi di tutti coloro che appartengono a Cristo nel Santo Battesimo.

Occorre che anche noi con Giuseppe e Maria andiamo ad inscriverci a Betlemme che significa casa del pane. Quale è questa casa del pane se non la Chiesa santa? E di quale pane si tratta se non di quello per cui fu detto “Io sono il pane vivo”? (Gv 6,51). Ora tutti coloro che vogliono appartenere a Cristo ed entrare in questa casa, prenderanno questo pane e i loro nomi saranno scritti in cielo. Così scrive l’Evangelista: trovandosi in quel luogo per lei si compirono i giorni del parto (Lc 2,6) Dove erano? In una piccola stalla, in un luogo fatto per ritirarsi dalle intemperie, vicino alla strada, come alle volte ci viene rappresentato. 

Ho Dio mio, o mio Creatore  e Signore! Dove sei, dove abiti, dove vuoi nascere! Quale cuore non si strugge, non viene meno, non si commuove davanti a questo mistero! Mentre si trovavano in quel luogo. Dove sono mio Signore i palazzi dei potenti, i superbi edifici, le alte torri, le lussuose camere che convengono alla tua divina maesta?

Oh altezza, o superbia del mondo! Non ti confondi mentre il tuo Dio vuol nascere in un luogo così vile? E tu piccolo uomo che sei polvere e cenere, non ti sazi mai di costruire palazzi badando di porre il tuo paradiso in questo mondo!

E si compirono i giorni del parto di Maria che diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in panni e lo depose in un presepio. Poiché non vi era posto per lui nell’albergo. Presepio vuol dire due cose: sia mangiatoia grande per gli animali, sia piccola, come una cesta dove si mette la biada. […].  

Betlemme casa del pane, la Chiesa, il pane, Cristo, l’albergo, l’altare, il presepio, il nostro cuore. Non c’era per lui posto nell’albergo. Egli non si compiace  solo di stare nel tabernacolo, sull’altare, ma nel nostro cuore.

 
Sabato, 06 Aprile 2013 19:48

II Domenica di Pasqua

255
Da un sermone sulla domenica in albis (C. 338)


[…]  Stette Gesù in mezzo! E’ stato sempre suo desiderio essere in mezzo alla nostra umanità: quando nacque in un presepe; stette in mezzo tra i due ladroni sulla croce, piantato sulla terra; oggi è in mezzo ai suoi discepoli. Questo per mostrarci, o carissimi, che è lui la regola della vita cristiana.

Pace a voi! (Gv 20,19) Dolce voce, soave voce, poiché come dice la Scrittura: egli dispone le fondamenta della terra (Cf. Pr 8,29). Ora mi voglio soffermare sul senso della pace […]

Vedete carissimi, ciascuna cosa cerca il proprio ordine, la propria disciplina. Infatti, per quanto riguarda la pace, ciò che Dio fece nell’universo, lo realizzò nel mondo più piccolo, nell’uomo che egli  ha fatto giusto (Cf. Qo 7,29). Ora nell’ordine divino, dato che i sensi sono sottoposti alla volontà, non vi è tranquillità e pace davanti al peccato. […] Occorre essere in pace con Dio e con se stessi, pace con il prossimo come comanda il Signore, è necessaria la pace tra le nostre famiglie cosicché ne provenga beneficio a colore che le abitano.  

Pace ai governanti, perché abbiano davanti ai loro occhi, l’ordine stabilito da Dio ed il suo onore. Ugualmente sia fatta giustizia al povero come al ricco, perché il Signore sta in mezzo a noi. Pace affinché i poveri siano soccorsi.

E finalmente questa pace ha sempre voluta Cristo. Per questo venne dal cielo in un tempo di pace e gli angeli cantarono la pace, apparve ai suoi discepoli e lasciò loro la pace, ma soprattutto sul duro legno della croce egli fu la nostra pace.
 
Venerdì, 21 Dicembre 2012 00:00

IV Domenica di Avvento

239
Da un Sermone sull’Avvento (C.492)


Quanto più si avvicina il Natale, tanto più la Chiesa rinnova il motivo di preparare la via al Signore. Sette misteriose antifone, una per ogni giorno ci uniscono a vespro. La prima è fondamento delle altre.

Carissimi invochiamo dunque l’eterna sapienza che venga ad insegnare a noi poveri ed ignoranti la via della prudenza. O sapienza che esci dalla bocca dell’Altissimo e che tutto disponi con soavità e sapienza vieni ed insegnaci la via della prudenza.

In queste parole si rivela la nobiltà del maestro che è la sapienza dell’eterno Padre, il Verbo eterno, il Figlio di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose (Cf. Gv 1,3). In lui sono tutti i tesori della scienza di Dio (Col 2,3) colui che si estende sino ai confini della terra (Sap 8,1) donando a tutti l’esistenza e la perfezione ad ogni cosa da quelle più piccole a quelle più grandi.

Egli tutto sostiene con la potenza della sua Parola (Eb 1,3) senza violentarne alcuna, ma ogni cosa governa con bontà (Sap 8,1) muovendole secondo la propria natura[…]. Quale dottrina ci deve insegnare il gran maestro? La via della prudenza, cioè il modo, la regola e la forma della vita prudente. E per comprenderla ricordiamo che esistono tre specie di prudenza. La prima proveniente dalla carne fatta di trame inganni e malizie. La seconda ancora imperfetta, condotta da coloro che per la pace, posseggono una sorta di diffidenza. La terza è perfetta perché propria di coloro che non vivono nel peccato. Annoverata da Paolo tra i frutti spirituali, è chiamata discernimento.  Indicata tra le virtù cardinali le quali, non possono sussistere senza la grazia. Ora è proprio tale prudenza che la Chiesa invoca in questa antifona.
 
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